IL DIARIO DI MARIA PIA di Fausto Paravidino, regia di Fausto Paravidino

Di : T. Pica

14 Gen 2015 | Accredito Teatro

(Teatro dell’Orologio – Roma, 13/25 gennaio 2015)

Al Teatro dell’Orologio di Roma ha debuttato Il diario di Maria Pia, l’Opera, forse, più intima e sentita di Fausto Paravidino che da qualche anno ha incantato i teatri di mezza Europa.

Avvolti da una scenografia minimale ma al contempo inspiegabilmente calda e dolce, l’Autore, regista e protagonista, mette in scena l’ultimo mese e mezzo di vita della madre – interpretata dalla bravissima Monica Samassa – e con la poliedricità mimica e (unica) vocale che lo contraddistingue regala allo spettatore delle perfette miniature, quasi dei carboncini dei personaggi che con lui e Iris sono stati vicino a Maria Pia, intorno al suo letto d’ospedale.

La malattia di Maria Pia le strappa tutto d’un fiato le forze e la dottoressa si ritrova improvvisamente orfana del proprio corpo, della sua dimensione corporea, e priva della vitalità fisica che l’ha sempre caratterizzata in famiglia e tra i colleghi medici.

Ma solo il fisico è sopraffatto dal cancro e ormai inerme. La mente di Maria Pia, seppure annebbiata e talvolta confusa, resiste caparbia e il diario scritto sotto dettatura da Fausto diviene la voce del flusso dei suoi pensieri e dei ricordi. Ma il diario è molto di più: è la testimonianza di quello che la malattia, il suo silenzioso avanzamento verso l’inesorabile evento della morte, con molta probabilità potrebbe determinare nella mente di ognuno di noi. E grazie a questo diario la morte non fa poi così paura. Fausto Paravidino riesce a rappresentare i sentimenti e i flussi che hanno attraversato e fatto compagnia a Maria Pia nel suo ultimo frammento di vita con incredibile leggerezza grazie a un misurato ricorso all’ironia, con cui sdrammatizza le troppo spesso ciniche, fredde parole “calcolatrici” dei medici e delle statistiche. Lo spettatore viene rapito senza rendersene conto dal groviglio di amore, stupore e nostalgie che attraversano la stanza di Maria Pia, ma senza soffrire. Si non c’è sofferenza, non vi è traccia di dolore: né sul volto di Maria Pia, né su quello dei suoi cari, né su quello del pubblico.

Nell’Opera il dolore lascia il posto a pensieri semplici, dolci, talvolta solo apparentemente banali, che confluiscono nel prestigioso ricordo del “caco d’autunno”, disegnato da Maria Pia a 6 anni, e nella giusta distanza con cui alla fine la protagonista rimpiange l’affannosa, talvolta smaniosa, ricerca di una cultura sempre maggiore che poi a conti fatti, in quel letto di ospedale, appare esser stata manieristica, inutile o quantomeno eccessiva. Ma, soprattutto, dal diario di Maria Pia, nel flusso delle sue riflessioni spontanee, irrompe la solenne allegoria del mare di ovatta che lungo il testo si contrappone, in una lotta simbolica, al rullo compressore della malattia. Ognuno di noi ha il suo mare di ovatta in cui ritrovare tutte le cose belle della propria esistenza terrena e forse basterebbe ricordarsi e “accarezzare” questo mare di ovatta un pò più spesso per godere a pieno di ogni nostro istante sulla Terra.

Infatti proprio questo soffice mare di ovatta, con le sue triturine, annienta ogni forma di paura, di sofferenza lungo l’intera rappresentazione fino all’ultimo punto messo da Fausto sul diario.

Ed ecco che, dopo aver assistito partecipe all’intera Opera senza turbamenti, con il punto definitivo della morte di Maria Pia, solo in quel preciso momento, mentre siamo completamente rapiti dalla scena finale, gli occhi sono improvvisamente e sorprendentemente carichi di lacrime che fluiscono quasi singhiozzando. Del tutto inaspettatamente ci si ritrova in lacrime ma senza alcun dolore, senza ansie, in lacrime ma con il sorriso dettato da una strana sensazione di serenità mista a felicità.

Che dire! Con Il diario di Maria Pia Fausto Paravidino da prova di una sensibilità forte, poetica ed assoluta regalandoci un suo momento unico e intimo che, sebbene “sulla carta” degli stereotipi dovrebbe essere doloroso e triste, lascia positivamente scossi dentro. Si esce dal Teatro con gli occhi posticci e umidi, ma senza una briciola di sofferenza…anzi.

Una catarsi unica nel suo genere.

data di pubblicazione 14 /01/2015


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