È SOLO LA FINE DEL MONDO di Xavier Dolan, 2016

Louis è gravemente malato e per questo decide di far visita alla sua famiglia, che non vede da circa dodici anni. Il suo ritorno a casa turberà un equilibrio che forse non è mai esistito.

“Un po’ di tempo fa, da qualche parte”, Louis (Gaspard Ulliel), scrittore teatrale giovane e talentuoso, sale su un aereo per fare ritorno a casa. Gli resta poco da vivere e vuole incontrare la sua famiglia, che non vede da dodici anni, per dare l’annuncio della sua morte e per avere l’impressione di essere padrone, fino alla fine, della propria vita.

Durante la sua lontananza Louis ha mandato segnali attraverso puntuali ma scarne cartoline, infarcite di quelle che a casa chiamano “frasi ellittiche”: brevi parole di circostanza, che anche i postini possono leggere e che non comunicano nient’altro se non l’assenza di chi le scrive.

Il ritorno a casa del “figliol prodigo” viene accolto con un misto di strabordante eccitazione e di malcelato risentimento. Louis si vedrà costretto ad affrontare veri e propri duelli, verbali ed emotivi, con ciascuno dei suoi familiari, desiderosi di scendere nell’arena con lui per un chiarimento, per ricordare insieme il passato, per carpire dalle sue scarse parole e dal suo sorrisetto enigmatico cosa accadrà nel futuro, o anche solo per abbracciarlo.

La madre Martine (Nathalie Baye), il fratello Antoine (Vincet Cassel), la sorella Suzanne (Léa Seydoux), la cognata Catherine (Marion Cotillard): tutti avrebbero qualcosa da dire, ma nessuno riesce né a parlare né ad ascoltare, perché, forse, nessuno è realmente capace né di parlare né di ascoltare. Le parole si susseguono con un ritmo a metà strada tra l’isterico e il bulimico e le urla lasciano uno strascico di incolmabile silenzio tra chi pare legato solo da un sia pur incancellabile vincolo di sangue.

Basato sull’omonima piéce teatrale di Jean-Luc Lagarce, il nuovo film dell’enfant prodige Xavier Dolan, già incoronato con il Grand Prix a Cannes 2016 e in corsa come miglior film straniero per gli Oscar 2017, resta forse leggermente al di sotto delle aspettative. È indubbiamente un film sull’incomunicabilità e sull’incomprensione, che tuttavia risultano esasperate a tal punto da coinvolgere anche lo spettatore, avvolto da un vortice di dialoghi che rischiano di sfiorare in più punti un livello di pericolosa stucchevolezza. Anche gli intermezzi affidati ai flash back, relativi alle domeniche che la famiglia ancora felice era solita trascorrere insieme o all’adolescenza tumultuosa di Louis, si arrestano spesso al livello del banale “già visto”.

La regia, prodiga di primi e primissimi piani che scavano dentro i personaggi, e la fotografia, pronta a sottolineare efficacemente alcune delle più significative svolte narrative, sono ovviamente impeccabili. Così come convincente risultano tanto il cast, già strepitoso “sulla carta”, quanto la sempre adeguata colonna sonora.

L’inquadratura del “faccia a faccia” tra madre e figlio, però, che rievoca quello celebre di Mommy, non riesce ad andare oltre la suggestione estetica rispetto a un film dotato di ben altro spessore emotivo e narrativo.

Data di pubblicazione: 9/12/2016


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4 Commenti

  1. La buona riuscita di una pellicola, al di là degli aspetti meramente tecnici che riguardano la fotografia o la regia in generale, secondo me è da attribuirsi alla capacità o meno della stessa di intaccare la sfera individuale dello spettatore. Come se quel solco lasciato debba successivamente essere rielaborato e fatto proprio dall’individuo e ragionato con il suo sè. Un fiume di parole alternate ai silenzi, pesanti e imbarazzanti dei protagonisti, per mettere in luce l’incomunicabilità dei sentimenti familiari o forse il mal celato imbarazzo per non saperli esternare al momento giusto. Si rincorrono i tempi, cadenzati dall’orologio a cucù, dove però non si arriva mai al momento giusto per fare o dire. Non mi ha per niente disturbato il ricorso ad un elementare simbolismo adottato dal giovane regista per concludere il discorso, forse mai iniziato: l’uccellino fugge dalla sua casa prigione e vola impazzito alla ricerca di una via di scampo…che non troverà.

  2. Nel giorno che dovrebbe glorificare il desco familiare e la letizia dello stare in famiglia, il film di Dolan arriva dritto al cuore delle cose familiari. Avendo letto qualcosa prima mi aspettavo un mare di parole, e invece i silenzi sono la parte più importante di questo film magnifico. È vero si parla, ma lo si fa per coprire l’imbarazzo di tutto quello che si vorrebbe dire e non si dice.

  3. Con “Juste la fin du monde” Dolan torna a sperimentare e a rischiare con una regia davvero originale, dopo l’applauditissimo “Mommy”, che tra i suoi sei film è il più accessibile e, forse per questo, da molti considerato il più riuscito. Penso di non aver mai visto un film che riesca a trasmettere meglio di questo piccolo capolavoro i meccanismi complessi di incomunicabilità, reticenza e ridondanza che caratterizzano spesso i rapporti familiari e, più in generale, tutti quei rapporti umani così pieni d’amore da non riuscirlo a tirare fuori. Tutti gli attori eccezionali, Nathalie Baye più di tutti, forse proprio perché il rapporto madre-figlio è in assoluto la specialità di Dolan.

  4. Concordo con l’autore della recensione quando parla di dialoghi bulimici. Sentirsi estranei a casa propria, con i propri familiari e trovare un’empatica comprensione fatta di sguardi con chi non ti conosce e ti vede per la prima volta. La famiglia di Loius, la loro casa si fonde e riassume nella casetta dell’uccellino dell’orologio a cucù e nel suo epilogo.Tutti gli .attori sono bravissimi, specialmente Vincent Cassel, Marion Cotillard e il protagonista Gaspard Ulliel. Le musiche e la regia confermano il talento dell’enfant prodige del cinema francese Xavier Dolan. Tuttavia la violenza e l’isteria dei dialoghi prigionieri di se stessi, in una sorta di campana di vetro dove il fratello maggiore, Antoine, vuole proteggere in modo maldestro, quasi infantile, sua sorella e sua madre dal fratello amato, idolatrato che per dodici anni si è disinteressato di tutti loro, mettono a dura prova – specialmente nella prima parte del film (più lenta e ricca di primi piani) – l’attenzione dello spettatore che attende la rivelazione risolutiva su cui si muovel’intero film In ogni caso da vedere!

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