TITO E GIULIO CESARE riscritture tratte da William Shakespeare a cura di Michele Santeramo e Fabrizio Sinisi per la regia di Gabriele Russo e Andrea De Rosa

13 Mag 2019 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina – Roma, 7/12 maggio 2019)

Dal 7 al 12 maggio in scena al Teatro Argentina di Roma due originali rivisitazioni dei capolavori shakespeariani, a firma di Michele Santeramo e Fabrizio Sinisi per la regia di Gabriele Russo e Andrea De Rosa, Tito e Giulio Cesare, presentati uno dopo l’altro, in uno spettacolo unico, nati nell’ambito del progetto Glob(e)al Shakespeare, per il Napoli Teatro Festival, premiato dall’Associazione Nazionale dei Critici come “migliore progetto speciale” 2017.

 

In Tito Michele Santeramo riscrive Tito Andronico smontando la struttura epica e tragica a favore di un timbro certamente drammatico, ma sorprendentemente ironico e crudo splatter. Tito Andronico è semplicemente un eroe stanco, provato dagli anni trascorsi a fare la guerra. È un padre di famiglia che si ritrova dei figli cresciuti ma immaturi, oberato dal peso della responsabilità e con un gran desiderio di normalità, di casa e famiglia. Ma la guerra semina rancori, ingiustizie e vendette. La spirale che si accende è la causa della tragedia, la sete di vendetta è ineluttabile ed inevitabile e coinvolge tutti: il sangue deve scorrere, le parti sono scritte, non possono ribellarsi neppure gli attori stessi. La struttura di Gabriele Russo punta sui giochi di ruolo degli attori, ora interni, ora esterni alla tragedia, per riportare anche un’altra verità, l’assurdità e l’inutilità di tutto Tito è un uomo che dopo tanti anni di guerra vorrebbe godersi le sue piccole cose; suo malgrado è costretto a vendicarsi e rispondere al ruolo cui è destinato.

Andrea De Rosa, insieme al drammaturgo Fabrizio Sinisi, riscrive il testo shakespeariano Giulio Cesare (Uccidere il tiranno), cercando una risposta al grande dubbio: si vuole, si può, si deve uccidere il Tiranno? Il tipo di narrazione scelta privilegia l’aspetto politico e filosofico dell’opera originale: il regista realizza un allestimento asciutto in cui Bruto, Cassio e Casca a metà tra terra e aria, cercano le ragioni profonde del loro omicidio, si interrogano ed alla fine soccombono. Nel frattempo Antonio cerca di ricomporre l’ordine delle cose dando sepoltura a Cesare e cercando di guidare il cambiamento: chi, o cosa può venire dopo Cesare? Se tornare alle antiche forme o assecondare il nuovo corso degli eventi. Tutto in una notte: le arringhe e le giustificazioni dei tre congiurati e la terra che ricopre il corpo del tiranno.  È vero che Cesare ha aggredito la struttura democratica di Roma per farsene unico interprete e dopo Tarquinio il superbo, un uomo solo ha accentrato nella propria persona un immenso potere. Convinti di agire per il bene della res publica Bruto, Cassio e Casca decidono di uccidere l’uomo che si è trasformato, davanti ai loro occhi, in Tiranno. Ma si accorgono presto che l’identificazione tra Cesare e Roma è ormai profonda e irreversibile. Il rapporto fra popolo e Cesare è un rapporto ambiguo, di amore, violenza e sottomissione: Cesare oramai impersona lo Stato, lo ha plasmato e modificato nel Dna. Non si può sconfiggere un potere che risiede proprio nella comunità che lo subisce e niente potrà tornare come prima.

Un allestimento unico per le due tragedie che condividono identità, spazio scenico e attori per un linguaggio potente e fortemente contemporaneo fatto di voci e di cose, di pause e di azioni, che insieme, diventano due parti di una riflessione unitaria sul concetto di potere, o ancor di più un’intensa e beffarda riflessione sulle “conseguenze del potere”.

data di pubblicazione: 13/5/2019


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