Un documentario sconvolgente. Che turba le coscienze. E dimostra, una volta di più, come gli affari di Stato siano molto più importanti delle vite umane. Jamal Khashoggi entra con la massima fiducia nel consolato dell’Arabia Saudita a Instanbul il 2 ottobre 2018 non ne esce più. Un disvelato mistero della camera chiusa alla Dickson Carr? Molto di meno ma molto di più come grande cinema.
Una docufiction che è un pugno nello stomaco. Due ore di tensione per un giallo che in realtà giallo non è. Pura cronaca nera di Stato ovvero come il principe Mohammed Bin Salam ha ordito la macchinazione per far fuori un feroce critico del suo potere assoluto. Viene da sorridere amaramente a pensare come un uomo politico italiano abbia potuto recentemente alludere a questo Paese come artefice di un nuovo Rinascimento riscuotendo un compenso di 80.000 dollari per una conferenza prezzolata in loco. In realtà questa non è la nazione della democrazia ma quella dove chi comanda esercita un feroce potere assoluto che falcia i nemici senza porsi problemi di correttezza multiculturale. Khashoggi aveva lasciato l’Arabia Saudita per smania di libertà ed era ingenuamente entrato in quel Consolato per fruire del documento che avrebbe potuto permettergli di sposare la fidanzata turca. Le telecamere mostrano il suo ingresso ma non la sua uscita. Perché in quella sede consolare verrà selvaggiamente fatto a pezzi secondo i dettami di un piano premeditato affidato a crudeli esecutori. Un aereo di Stato aveva trasportato in Turchia 15 uomini (vertici, portaborse e killer) per questa esecuzione. Il giornalista rappresentava un pericolo perché i suoi articoli e i suoi twitt spargevano dubbi sull’operato del Principe. E il columnist era sul punto di fare un salto di qualità trasformandosi da opinionista in attivista anche grazie alla prova (giudicata colpevole) di un finanziamento di 35.000 dollari a suoi colleghi che intraprendevano una battaglia sui social, riaffermando il principio del diritto a un pensiero alternativo e avversativo. Cinema civile, teso, profondo con una colonna sonora martellante che non abbandona mai le immagini e le riempie di significato.
data di pubblicazione:16/02/2021
Scopri con un click il nostro voto:
Non trovo motivi di indignazione né di risentimento. Il film ha una forte connotazione social/politica ed è un preciso atto di denuncia nei confronti della responsabilità del Principe Saudita, come acclarato anche da fonte americane poche ore fa. La saldatura tra l’estetica e l’atto d’accusa è connaturata al plot e dunque parliamo di cinema e non di politica tout court. Naturalmente non escludo i richiami all’attualità anche italiana. Quando vedevamo i film di Elio Petri con Volontè protagonista non potevamo certo negarci riferimenti all’autoritarismo della polizia o a precise invasioni di campo dei servizi segreti. Dunque rimaniamo perfettamente nel campo di accreditati. Parliamo di cinema, di politica e di vita di tutti i giorni senza pretestuosi e divisivi sofismi.
Da assiduo lettore dei sempre competenti commenti di Accreditati, esprimo la mia adesione alle garbate e significative osservazioni critiche espresse da Giorgio su questa “recensione”.
Convengo anche io che manchi proprio tutto quello che un lettore serio, informato, impegnato ed appassionato di Cultura e Spettacolo (come credo siano quelli che seguono Accreditati) cerca, e fino ad oggi aveva sempre trovato, nei tanti giudizi critici finora espressi sulla qualità dei lavori recensiti. Non c’è infatti la benché minima articolazione di un’analisi tecnica/stilistica.
Non credo che si cerchi in Accreditati l’eco di fatti già noti e che già indignano le coscienze civili di ciascuno di noi, quanto piuttosto un consiglio, un parere ed un commento tecnico articolato sul lavoro di volta in volta preso in esame, a maggior ragione poi se basato, come nel nostro caso, su un fatto così sconvolgente!
Voglio tanto credere che, come si usa dire nelle migliori realtà: l’analisi critica del film sia saltata … “per motivi tecnici indipendenti dalla volontà di Accreditati”.
Se così non fosse, se ne dovrebbe dedurre che anche la natura e l’approccio “tecnico/professionale” di Accreditati sta cambiando.
nella gran canea di voci dissonanti che urlano la loro indignazione sovrapponendosi l’un l’altra per affermare così il proprio vuoto pensiero, fra tanti Illuminati privi di luce propria che aumentano solo la confusione con il loro nulla sapere su nulla Accreditati era una delle poche isole felici in cui si poteva ancora leggere e discutere di Cultura, Letteratura, Spettacolo ed Arte in modo molto intelligente, partecipe ed anche molto critico ma pur sempre in modo sereno, motivato professionalmente e nel rispetto soprattutto dell’intelligenza di chi legge.
Davanti a questa recensione mi domando invece se ci sia stato un corto circuito o se piuttosto manchino dei brani della recensione stessa. Perché, tralasciando la deriva sui fatti politici italiani opportuna o meno che sia poco mi interessa, non è questo il punto, quel che non vi ritrovo è invece proprio quel che cerco leggendo Accreditati, vale a dire :
– perché dovrei vedere questo film? – perché è giudicato ben fatto? – da chi è stato fatto? – come è stato girato? – quale è il messaggio? – quali le qualità tecniche?
e non solo che parla di un argomento degno della massima considerazione e riflessione umana, civile e politica di cui potrei essere già al corrente e più che informato ed indignato per conto mio e per convinzioni personali.
Accreditati dovrebbe darmi qualcosa che non trovo nella canea che c’è fuori!