SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE di Luigi Pirandello, regia di Gabriele Lavia

6 Gen 2016 | Accredito Teatro

(Teatro Eliseo – Roma, 5/24 gennaio 2016)

Dopo quasi cent’anni dalla prima rappresentazione a Roma al Teatro Valle, era un giorno di maggio del 1921, con un esordio tempestoso ed un pubblico in massima parte infuriato sicuramente in difficoltà per comprendere appieno la complessità del lavoro filosofico pirandelliano, i Sei personaggi si presentano oggi al Teatro Eliseo sotto l’eccellente regia di Gabriele Lavia, un marchio ed una garanzia per il teatro italiano.

Il regista, nonché attore principale, riesce ad rielaborare il testo, riveduto e corretto dallo stesso Pirandello in vari tempi, riprendendo tuttavia alcuni punti salienti della versione originaria e portandoci sul palcoscenico una edizione molto fedele a dettami scenografici imposti da una voce fuori campo che ci seguirà durante tutta la rappresentazione, come se lo stesso Pirandello desse voce a se stesso per curare in prima persona la messa in scena.

Il lavoro si presenta complesso, come lo stesso Lavia afferma, in quanto si rappresenta un teatro in disintegrazione che sovverte le regole sceniche classiche, per arrivare alla conclusione che l’attore non potrà mai identificarsi con il personaggio stesso recitato. L’attore interpreta la propria visione reale delle cose mentre il personaggio porta in sé la verità, perché interpreta sulla scena frammenti della propria vita vissuta: dunque una drammaturgia che nasce da dentro e che nessun attore potrà mai rendere credibile in quanto non sperimentata da lui stesso.

La scena si apre su una compagnia di attori che, seguiti da un intransigente capocomico, tenta di provare il secondo atto di un’opera dello stesso Pirandello, Il gioco delle parti. Ben presto irromperanno sul palcoscenico i “sei personaggi”, lugubri e luttuosi nei loro abiti neri, per cercare di vivere se stessi sulla scena grazie ad un autore che li rappresenti: solo che qui non occorrono né copioni da seguire né suggeritori, perché le parole dell’anima non possono essere scritte né suggerite. È proprio questa la rivoluzione pirandelliana: il passaggio dalla vita alla creazione artistica, la verità che prende dunque forma reale sulla scena.

Risulteranno vani i tentativi da parte del capocomico di assegnare alla propria compagnia le parti da recitare, in quanto pur riconoscendo la validità drammaturgica del lavoro, si renderà ben presto conto dell’impossibilità di rappresentare il dramma stesso, fuori dal contesto che coinvolge direttamente gli stessi personaggi.

Ecco che il teatro, grazie alla scena e alle luci dalle tonalità cromatiche molto forti, abbatte nella sua essenzialità le proprie barriere, per portare sul palcoscenico uno spazio di vita non più di finzione ma dove ognuno recita se stesso con la propria parte, portandosi il peso di colpe e rimorsi per qualcosa di non fatto o irrisolto.

Il dramma prosegue con un ritmo incalzante, quasi non curante delle interruzioni dovute alla originaria perplessità di portare in scena qualcosa che non trova riscontro concreto in un copione, fino alla conclusione tragica nel finale, dove emergono forti e chiari gli elementi della tragedia classica: l’abbandono, la pietà, la morte. Il ritmo a tratti claustrofobico viene esaltato dall’irrompere di tuoni come se un deus ex machina, burbero e collerico, volesse far sentire la propria presenza scenica con un ammonimento dall’alto quasi a sottolineare l’ineluttabilità del fato che travolge i personaggi e che non risparmia loro sofferenza e dolore.

Apparirebbe ridondante esaltare l’eccellenza interpretativa dell’intera compagnia, ma sicuramente va menzionato Gabriele Lavia nella parte del padre, e la figlia Lucia nella parte della figliastra, ruolo decisamente non facile perché si tratta di rappresentare una giovane, ancora quasi bambina, avviata per caso alla prostituzione, che ha già provato le avversità più crudeli della vita e che quindi non riesce a reprimere nei gesti la propria  aggressività emotiva ed il proprio disprezzo.

Con Gabriele e Lucia Lavia sono in scena altri 19 grandi attori (Federica Di Martino è la Madre, Andrea Macaluso il Figlio, Silvia Biancalana il Giovinetto, Letizia Arnò la Bambina, Marta Pizzigallo Madame Pace mentre gli altri attori della Compagnia teatrale sono Michele Demaria,  Giulia Gallone, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Malvina Ruggiano, Luca Mascolo, Daniele Biagini, Maria Laura Caselli, Anna Scola, Carlo Sciaccaluga, Alessandro Baldinotti, Massimiliano Aceti, Matteo Ramundo e Alessio Sardelli). Scene di Alessandro Camera, costumi di Andrea Viotti e musiche di Giordano Corapi. Produzione della Fondazione Teatro della Toscana.

Alla prima dello spettacolo alta era la rappresentanza in sala di attori, personalità dello spettacolo e della cultura nazionale che hanno dimostrato unanimemente un altissimo gradimento.

data di pubblicazione 06/06/2016


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