PIAZZA DEGLI EROI di Thomas Bernhard, regia di Roberto Andò – traduzione di Roberto Menin, con Renato Carpentieri

17 Gen 2022 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina – Roma, 12/23 gennaio 2022)

A un anno dal debutto televisivo, Piazza degli eroi (Heldenplatz) di Thomas Bernhard arriva sulle tavole del Teatro Argentina di Roma, nella visione metaforica del regista e direttore del Teatro di Napoli, Roberto Andò. Un dramma che denuncia apertamente il manifestarsi di nuovo in Europa di atteggiamenti antisemiti e fascisti, trent’anni fa come oggi.

 

“L’antisemitismo è tornato, è una nuvola nera sull’Europa.” Così tuonava un anno fa la scrittrice e poetessa Edith Bruck, sopravvissuta ai campi di concentramento, intervistata al Tg1 poco prima del 27 gennaio, Giorno della Memoria. Anche Thomas Bernhard lanciò lo stesso allarme nel 1988, pochi mesi prima di morire, scrivendo questo testo, Piazza degli Eroi, che Roberto Andò mette in scena oggi – per la prima volta in Italia – con la stessa lucida convinzione dell’autore. La storia non è maestra di vita. Semmai è il contenitore di un orrore mai del tutto cancellato – quello scatenato da una umanità impazzita durante il secondo conflitto mondiale – che torna a farsi sentire con uguale crudele intensità nonostante il tempo sia andato avanti. Il riproporsi dell’odio antisemita che animò la folla di Piazza degli Eroi a Vienna nel 1938, quando l’Austria venne annessa al Terzo Reich da Hitler, è lo stesso che portò Bernhard a scrivere quest’opera, ed è la causa che dà voce oggi ai movimenti reazionari e populisti di tutta Europa e non solo. Per questo il professor Josef Schuster ha scelto di suicidarsi, gettandosi da una delle finestre del suo appartamento che si affaccia proprio sulla piazza incriminata. Sarebbe dovuto tornare a Oxford, lì dove aveva già vissuto e insegnato, ma il gesto che ha compiuto cambia i piani della famiglia Schuster, costretta a rimanere in Austria. Si va in campagna a Neuhaus, lì dove, con la medesima intenzione di fuggire da un mondo incattivito, si era rifugiato Robert, il fratello del defunto Josef. È la signora Zittel, la governante di casa Schuster, a informarci di tutto nel primo dei tre quadri in cui è suddivisa l’opera. Attraverso il suo personaggio interpretato da Imma Villa, che racconta i fatti della famiglia senza essere per questo pettegola o civettuola, ma commiserante nei confronti del professore, veniamo a sapere molte cose del grande assente. Il professor Josef ingombra con il suo ricordo la vita di tutti, riempie i pensieri e anima i dialoghi degli altri personaggi. La scena è invasa dagli oggetti che gli sono appartenuti. Scarpe, camicie, abiti e documenti. Tra essi si aggira la figura di un pianista (Vincenzo Pasquariello), un personaggio fuori dell’elenco delle comparse appuntato dall’autore, ma usato qui dal regista come simbolo di un candore perduto. Invisibile agli altri protagonisti sulla scena, trova rifugio nella lettura e nella musica, unica arma di difesa del professore quando era ancora in vita. Anche Robert, il filosofo ritirato dal mondo, è tormentato dal ricordo del fratello. Renato Carpentieri interpreta il personaggio conferendogli un’apparente rassegnazione davanti alla stupidità umana che ripete i suoi crimini, ma che esplode con voce tonante di rabbia quando si trova a denunciare l’ottusità e la bruttezza di un mondo animato dalla megalomania sovranista, alimentata da uno pseudo socialismo corrotto dall’industria e dalla chiesa. La traduzione di Roberto Menin sottolinea in particolare l’aspetto politico del messaggio di denuncia portato avanti dal professor Robert Schuster. La protesta e la rivoluzione spettano ai giovani, alle due figlie di Josef, Anna e Olga, condannate a camminare in un bosco di alberi che non hanno più radici e dai quali cadono a pioggia solo foglie morte. L’Europa ha dimenticato il suo passato violento, per questo si ripete nell’errore e nella stupidità. L’incubo non è finito, è ancora presente. Le voci che ottenebrano la mente della vedova Schuster (Betti Pedrazzi) ne sono la prova tangibile. Lo strepito che veniva su dalla piazza nel 1938 agita ancora la sua mente e i suoi ricordi. La tragedia non è ancora finita. Ecco perché rappresentare Heldenplatz di Bernhard è necessario, e il contesto politico e sociale che stiamo vivendo presenta – come dice il regista – il “momento giusto e opportuno.” È necessario un importante sforzo di concentrazione per seguire questo spettacolo fino alla fine, ma il messaggio che trasmette, lucido e incontrovertibile, lascia provati e edificati allo stesso tempo. Il pericolo di una violenta virata a destra con tutto il suo bagaglio di disvalori razzisti e suprematisti esiste, non possiamo ignorare di essere stati avvisati.

data di pubblicazione:17/01/2022


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