PADRI E FIGLI – LEHMAN TRILOGY (II PARTE) di Stefano Massini, regia Luca Ronconi

17 Dic 2016 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina – Roma, 25 Novembre/18 Dicembre 2016)

Ancora in scena fino al 18 dicembre al Teatro Argentina di Roma Lehman Trilogy, ultimo capolavoro registico di Luca Ronconi, lo spaccato di oltre cento sessanta anni di storia raccontati attraverso le vicende dei Lehman, una delle famiglie più influenti d’America: dalla Guerra di Secessione alla crisi del ’29, tra continue ascese e improvvise cadute, fino al definitivo fallimento del 15 settembre 2008.

Un testo di Stefano Massini suddiviso in due parti, Tre fratelli e Padri e figli. La seconda parte si apre nella New York degli anni Dieci del Novecento. Ai tre fratelli sono succeduti i figli: Philip (figlio di Emanuel) vuole speculare in Borsa, mentre Herbert (figlio di Mayer) si dedica alla politica e diventa governatore di New York, mentre suo cugino Robert riesce a traghettare la società superando la crisi del ’29 fino agli anni ’60, riempiendo l’America “di televisori, di telefoni, di consumo”.  I Lehman cambiano pelle, con loro si evolve tutto il sistema finanziario mondiale, si passa dall’economia reale alla finanza.  Sono loro gli ultimi eredi della dinastia, alla morte di Robert, la Lehman Brothers finisce in mano a trader aggressivi e senza scrupoli e il declino si fa inarrestabile, fino al crollo definitivo del 2008.

È un’autentica epopea, una saga familiare di tre generazioni: tre fratelli, poi i figli e i nipoti, sempre più voraci in quell’illusione di fare soldi per i soldi, vittime della loro stessa spregiudicatezza. Il collasso della banca è anche, in chiave di metafora, il collasso di una famiglia ormai inesistente, moralmente svanita e preda di nuovi “mostri” ben più agguerriti nell’impadronirsi del potere.

Ed è l’ennesima ed ultima affascinante sfida di Ronconi nel voler tradurre in scena testi impossibili e indefinibili. Un percorso potente, drammatico ed ironico al tempo stesso fatto di ascesa  e declino, di capitalismo, di giochi di potere, di banche e denaro, di mutamenti sociali ed economici, specchio delle contraddizioni del mondo in cui viviamo.

La storia della famiglia Lehman è la parabola del sogno americano e della voracità dell’economia. I Lehman riescono a superare tutte le crisi, tutte le guerre e crescono e si accrescono fino allo scontro finale, che li vedrà sconfitti.

Tempi rallentati associati a ritmi vorticosi, la “Trilogia Lehman” di Ronconi si basa totalmente sulla parola, con gli attori che si raccontano, descrivono le azioni, parlano in prima e in terza persona, muovendosi su una scena che è una grande scatola bianca illuminata a giorno, con un orologio appeso, sedie che salgono e scompaiono da botole, tavoli che scorrono, e insegne che disegnano linee.  Ogni personaggio che racconta se stesso ed il suo pensiero.

A portare in scena l’ascesa economica e il drammatico tracollo della famiglia americana Lehman un cast di grandi interpreti, con Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Martin Ilunga Chishimba, Paolo Pierobon, Fabrizio Falco, Raffaele Esposito, Denis Fasolo, Roberto Zibetti, Fausto Cabra, Francesca Ciocchetti e Laila Maria Fernandez.

data di pubblicazione:17/12/2016


Il nostro voto:

1 commento

  1. Un’altra recensione interessante, come sempre accade, di Ryss, che tuttavia non mi trova d’accordo su due punti.
    Il primo riguarda l’elogio di Ronconi nel “tradurre in scena testi impossibili e indefinibili”: la ballata di Massini, a mio modesto parere, si attaglia invece perfettamente al teatro; ed è anche per questo motivo che le sue opere sono state rappresentate con successo in tutta Europa, attraverso diversi adattamenti. In secondo luogo non mi trovo d’accordo con la valutazione (ottimo) relativa alla seconda parte, che ho trovato più spenta della prima. Se in “Tre Fratelli” le interpretazioni di Popolizio, Gifuni, Pierobon e De Francovich sono trascinanti e brillanti (tant’è che i primi due hanno vinto anche numerosi premi per i loro monologhi), in “Padri e figli” non si raggiunge lo stesso pathos; e, nonostante la bravura di Cabra (padrone indiscusso della scena, ma non all’altezza degli altri attori sopra citati), mancano quel coinvolgimento e curiosità che al contrario contraddistinguono la parte iniziale.

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