NICO, 1988 di Susanna Nicchiarelli, 2017

“Non chiamarmi Nico, chiamami con il mio vero nome: Christa”. Una parabola al contrario, e non il classico biopic, racconta pochi anni della vita di una icona senza raccontarne il personaggio e la sua carriera ma, al contrario, come è diventata negli ultimi anni della sua vita. Da cantante dei Velvet Underground, modella e musa di Andy Warhol per la sua bellezza leggendaria, il personaggio Nico diviene Christa Päffgen e vuole camminare da sola come artista, come donna e come madre.

 

Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli, Premio Orizzonti alla 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, parla della breve ma intensa storia di una donna che ha vissuto due vite andando prima in cima per poi toccare il fondo e scoprendo che entrambi questi poli opposti erano “vuoti”. La regista, già vincitrice nel 2009 per Controcampo con Cosmonauta, in particolare si concentra su una piccola porzione della vita di questa donna, rappresentandola senza alcuna idealizzazione di quello che fu il suo periodo d’oro, concentrandosi solo su ciò che era diventata negli anni ’80, lontana dai clamori del successo, quando con la sua piccola band girava l’Europa. Il film si chiude nel 1988: alla vigilia del crollo del muro di Berlino e del grande cambiamento.

Ad incarnare Nico è la splendida attrice e cantante danese Trine Dyrholm, Orso D’Oro alla Berlinale 2016 per La comune ed interprete di film intensi come Festen, In un mondo migliore, Love Is All You Nedd, che riesce grazie alle sue doti di interprete a tutto tondo ad entrare nella voce oltre che nel fisico di Christa, una donna che “che non si adatta bene e che lotta contro tante cose”, anche contro quella bellezza che un tempo le aveva regalato la notorietà, inventando assieme alla regista un personaggio dotato di una tagliente ironia, una buona dose di cinismo e di un atteggiamento dissacrante verso tutto ciò che l’aveva resa famosa. In particolare la regista si sofferma sul difficile ruolo di madre della sua protagonista e sul fragile rapporto con suo figlio Ari che, a causa della sua tossicodipendenza, le era stato sottratto alla tenera età di quattro anni ed affidato ai nonni paterni. Non essendoci molte testimonianze, se non qualche filmato e le sue canzoni, alcuni dei personaggi rappresentati nel film sono inventati: essi creano una sorta di piccola comune che ruota intorno alla vita e all’arte della protagonista, per ammissione della stessa regista che a Venezia ha dichiarato di aver ritrovato la realtà lavorando sulla fantasia.

I Gatto Ciliegia, gruppo musicale torinese fondato alla fine degli anni ’90, hanno curato le musiche del film come fu per Cosmonuata e La scoperta dell’alba.

data di pubblicazione:11/10/2017


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