L’ANGELO DI FUOCO di Sergej Prokof’ev – direzione di Alejo Pérez e regia di Emma Dante

2 Giu 2019 | Accredito Teatro

(Teatro dell’Opera di Roma, 23 maggio/1 giugno 2019)

In scena al Teatro dell’Opera di Roma dal 23 maggio al 1° giugno L’angelo di fuoco di Sergej Prokof’ev, opera complessa e poco nota, che esplora il mondo dell’esoterismo e della magia, temi cari all’avanguardia russa del primo Novecento, in una nuova produzione che annovera come direttore d’orchestra Alejo Pérez e come regista Emma Dante e tra gli interpreti Leigh Melrose, Ewa Vesin, Sergey Radchenko, Maxim Paster, Mairam Sokolova e Petr Sokolov, Anna Victorova e Goran Jurić.

 

Rappresentato a Roma solo un’altra volta nel 1966 diretto da Bruno Bartoletti per la regia di Virginio Puecher, L’angelo di fuoco è la storia di una tragica ossessione fra superstizione e razionalità che ruota intorno alla figura della protagonista, Renata, tratta dal celeberrimo romanzo di Brjusov, ed ambientata nella inquietante Germania del ʼ500, tra duelli, premonizioni e stregonerie. Renata, fin da bambina veniva  guidata dal suo angelo custode Madiel per essere avviata ad una vita casta e di santità, ma poi si invaghisce dello stesso che, furente, si trasforma in una colonna di fuoco.  La vicenda della protagonista avanza tra le solitudini di un convento e visioni demoniache, fino alla condanna al rogo da parte dell’Inquisizione per essersi congiunta carnalmente con il Demonio. Prokof’ev compose questa visione musicale in ritiro sulle Alpi, tra il 1922 e il 1927. Opera quasi impossibile da rappresentare, con una lunga e complessa gestazione ebbe poi una storia particolarmente tormentata. Il libretto di Brjusov fu considerato troppo inquietante e simbolista tanto che L’angelo di fuoco fu rappresentato ben 30’anni dopo la composizione, a due anni dalla morte del compositore.

Bene e male, reale e sovrannaturale si scontrano continuamente. Due sono i demoni che vede Renata, uno bianco e uno nero, in una doppia percezione dei fenomeni che avvengono sul palco, ovvero se gli spiriti sono visibili anche gli altri personaggi, se il tavolo che si solleva, i colpi battuti dallo spirito, esistono davvero o sono solo nella testa della protagonista.

Renata è combattuta tre castità e passione ma non riesce a capirlo: per lei Madiel è solo uno spirito buono, uno spirito d’amore, pur trattandosi di un amore carnale. È circondata dalla morte, è una donna osteggiata da un mondo maschilista che non le permette di esprimersi. E così, distrutta dal dolore del suo desiderio sessuale impuro, sbagliato, Renata viene punita per le proprie visioni, tanto sante, quanto demoniache. Quando sul finale si ritirerà in convento, alla ricerca di pace, troverà invece ancora dolore e sofferenza. Verrà esorcizzata senza successo dall’inquisitore che tenta di estirpare il male che c’è in lei e che sta contagiando tutto il convento. Le suore intorno a lei, però, si pongono in sua difesa, la notte cala su di lei mentre viene trasformata in una Madonna, con in testa un velo nero e sul petto un enorme Sacro Cuore di Maria perforato da pugnali.

La costruzione visiva è di altissimo impatto: la cripta albergo e la cripta monastero, la camera piena di libri e di sapere si ergono a protagonisti grazie allo splendido lavoro di Carmine Maringola ed ai costumi feticcio di Vanessa Sannino, dagli stracci inquietanti delle visioni e dei mendicanti, alle tonache rosse dei religiosi, ai cani cani/demoni dello studio del filosofo Agrippa.

Emma Dante compie un’operazione straordinaria in grado di sovrapporre il suo immaginario personale, fatto di Sicilia, di cattolicesimo, di superstizione e di morte all’immaginario grottesco, esoterico e simbolista del Prokof’ev di inizio Novecento. Ma l’Angelo di fuoco è uno spettacolo vincente per la maestria di Alejo Pérez. Una direzione musicale estrema, esagerata, che bene ha reso le atmosfere demoniache dell’opera.

data di pubblicazione:02/06/2019


Il nostro voto:

2 Commenti

  1. Solo un genio come Emma Dante, e le capacità scenografiche di Carmine Maringola potevano mettere in scena un’opera di questa portata.

  2. Emma Dante ancora una volta riesce a dare il meglio di sé in una regia perfetta in ogni dettaglio. Un’opera certo non facile da portare in scena ma il risultato ottenuto è quello di fare entrare lo spettatore in quell’atmosfera cupa dove si ritrovano tutti gli elementi dell’esoterismo e dell’esorcismo. Geniale l’ispirazione alle catacombe dei Cappuccini di Palermo dove la morte viene rappresentata negli aspetti più crudi: la lotta tra il bene e il male, il razionale con il visionario, i tratti cabalistici di una storia che sa di divinazione e di demonizzazione…

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