LA RAGAZZA SENZA NOME di Jean-Perre e Luc Dardenne, 2016

Liegi. Jenny Davin è un medico che lavora a ritmi serrati. Pur essendo molto giovane, è stata chiamata a sostituire momentaneamente l’anziano medico titolare di un ambulatorio, riuscendo in poco tempo a conquistarsi la stima dei pazienti del quartiere. In attesa di trovare una struttura a lei più consona e trasferirsi altrove, Jenny si avvale dell’aiuto di uno stagista: un laureando taciturno e problematico, con il quale sovente deve discutere in merito alle procedure da seguire con i pazienti. Una sera, nel bel mezzo di una delle loro discussioni Jenny decide, al fine di controllare che il giovane completi tutte le attività della giornata prima di tornare a casa, di non aprire la porta dell’ambulatorio chiuso già da un’ora pur avendo sentito suonare il campanello…

 

Ma l’indomani si scoprirà che a suonare il campanello, anche se una sola volta e fuori orario, era stata una giovane donna africana, visibilmente in fuga da qualcosa ed anche molto spaventata, come si evince dal video della telecamera di sorveglianza dell’ambulatorio che Jenny dovrà mostrare alla polizia. Il suo cadavere è stato ritrovato proprio quella mattina non lontano dall’ambulatorio, senza un documento o un qualsiasi indizio che ne possa rivelare l’identità. Da quel momento la vita di Jenny non sarà più la stessa.
La ragazza senza nome ha l’andamento di un noir con tanto di colpo di scena finale e tiene a tratti con il fiato sospeso, ma soprattutto è il manifesto di quell’inconfondibile modo dei fratelli Dardenne di scavare nei gesti e nelle scelte quotidiane delle persone comuni, in cui lo spettatore si riconosce. Accolto tiepidamente a Cannes, dove è stato presentato in concorso quest’anno, il film ricorda nella struttura il precedente Due giorni, una notte: in entrambi c’è una sorta di “corsa con il tempo” da parte della protagonista e, come fu per la brava Marion Cotillard che rincorreva i voti dei colleghi per evitare il licenziamento, anche Adèle Haenel, non meno brava nel ruolo di Jenny, è mossa da un forte senso di colpa oltre che dall’etica professionale nel fare la sua personale quanto affannosa indagine al fine di dare un nome a quel volto disperato di donna. Encomiabile la sua figura professionale che non sa darsi pace per aver commesso una leggerezza seppur giustificata, ma pur sempre deprecabile dal suo punto di vista, continuando comunque imperterrita a seguire i suoi pazienti, con dedizione, pazienza, competenza.
Il film tuttavia, come anche fu per Due giorni, una notte, non raggiunge la profondità di Rosetta, la sensibilità de Il matrimonio di Lorna e la magia de Il ragazzo con la bicicletta che rimangono, per chi scrive, film di un’intensità tale da far pensare che i famosi registi belgi abbiano negli anni perso un po’ del loro smalto, pur continuando a mantenere un posto alto nell’olimpo dei grandi per il loro crudo realismo, per la semplicità delle storie e per la poesia della loro narrazione.

data di pubblicazione:02/11/2016


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