FALLING – STORIA DI UN PADRE di Viggo Mortensen, 2021

Willis (Lance Henriksen), è un uomo burbero ed irruente. Affetto da una lieve demenza senile che lo rende verbalmente violento e poco incline ad un necessario cambio di vita, si vede tuttavia costretto a lasciare la fattoria dove ha sempre vissuto, per trasferirsi in California da suo figlio John (Viggo Mortensen) per degli accertamenti clinici. In quella breve convivenza, non riuscendo a volte a comprendere quale “stagione della vita” stia vivendo, Willis scaglia tutta la sua rabbia sul figlio, di cui non approva lo stile di vita. Quei momenti di aspro confronto riportano a galla anni di incomprensioni e vecchi rancori all’apparenza insanabili perché ognuno tenta inutilmente di cambiare l’altro.

 

Tante sono le cose che ci racconta Viggo Mortensen in questa sua opera prima da regista, forse troppe, in un film un po’ lungo e a tratti ridondante. Tuttavia lo fa con competenza, profondità e molta sensibilità, da artista poliedrico quale è.

Poeta, fotografo, musicista e pittore, fondatore nel 2002 di una casa editrice indipendente, Viggo Mortensen oltre ad aver lavorato come interprete per alcuni dei più grandi registi del mondo, può essere definito l’attore feticcio di David Cronenberg (presente in Falling– Storia di un padre con un cameo che lo ritrae nella veste di un medico), che ne ha sempre elogiato il suo impegno nella preparazione dei personaggi, riconoscendogli una accuratezza ed un rigore quasi maniacali da grande studioso.

Mortensen dichiara che l’idea di sceneggiare e dirigere il film, gli nacque di ritorno dal funerale di sua madre, in un momento intimo in cui tutti i ricordi si affollavano nella sua mente senza un vero ordine logico proprio come i flashback che ritroviamo nella pellicola: quei ricordi diventano appunti su di un taccuino e rappresenteranno “l’ossatura di base di quella che alla fine sarebbe diventata la sceneggiatura del film”.

Parzialmente autobiografico, il film in realtà indaga la complessità del rapporto tra un padre ed il proprio figlio in una famiglia che ha solo alcuni tratti in comune con quella del regista-attore. Il suo John è un progressista della West Coast che vive con il suo compagno e con la loro figlia adottiva; suo padre Willis invece ha il viso solcato dal sole e dal gelo di quella terra di nordest da cui proviene, e le sue idee sono decisamente conservatrici. Il cuore della storia nasce dunque dalla contrapposizione di queste due Americhe, ma riesce a regalarci immagini di reale cambiamento, sia di quello che è sempre stato il modello di maschio americano che di famiglia tradizionale. John ed il suo compagno Eric (Terry Chen) si amano e si rispettano molto e la loro figlia Mónica non sembra affatto subire dei traumi da questa unione: realizzare questa immagine di famiglia alternativa ma felice, senza cadere in uno stereotipo poco credibile, è il vero merito del film.

Gli interpreti sono tutti bravissimi, a cominciare da Lance Henriksen nel ruolo del padre arrabbiato innanzitutto con quei fantasmi che affollano la sua mente, ma anche Laura Linney nel ruolo di Sarah, la sorella di John, lascia il segno con la sua breve apparizione; anche se è proprio Viggo Mortensen a regalarci un’altra delle sue interpretazioni memorabili che, passando attraverso lo sguardo, arrivano direttamente al cuore.

Peccato per quella manciata di minuti di troppo che, nonostante le ottime intenzioni, non fanno di questa opera prima il film che ci saremmo aspettati da un artista così completo.

data di pubblicazione:01/09/2021


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