DIRITTO AL CORTO – FESTIVAL DEL CORTOMETRAGGIO SOCIO-GIURIDICO

Si è da poco conclusa la prima edizione di Diritto al Corto – Festival del cortometraggio socio-giuridico, iniziativa promossa dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”, con il patrocinio dell’Assessorato alla Creatività, con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio e dell’Assessorato alla Cultura, Creatività e Creazione artistica di Roma Capitale (www.dirittoalcorto.it).

Le proiezioni, tenutesi il 28-29 maggio e il 2-3 giugno 2015, hanno mostrato quanto eterogenee possano rivelarsi le prospettive di quell’attributo “socio-giuridico”, inserito nel sottotitolo del Festival e che indubbiamente rappresenta l’elemento di più evidente originalità dello stesso.

La serata conclusiva si è tenuta presso il Teatro Palladium di Roma, di fronte a una platea gremita. Apertosi con un omaggio musicale di Andrea Rea, l’evento si è chiuso con la premiazione dei cortometraggi vincitori. I premi sono stati sono stati attribuiti da una Giuria di esperti, presieduta da Pupi Avati e composta da Valerio Aprea, Enrico Carocci, Valeria Fabrizi, Lilli Garrone, Blasco Giurato, Francesca Inaudi, Davide Perino, Pino Strabioli.

Questi i premi assegnati:

Primo premio “Miglior cortometraggio”: Un día de campo (di Carlos Caro) – Spagna

Premio speciale “Pupi Avati”: Un día de campo (di Carlos Caro) – Spagna

Premio speciale della Giuria (ex aequo): Cuando todo pase (di Suso Imbernon) – Spagna  e Bishtar az do saat (di Ali Asgari) – Iran

Premio “30 e lode”: La smorfia (di Emanuele Palamara) – Italia

L’ideatore e il Direttore artistico di “Diritto al Corto” è Antonella Massaro, Ricercatore confermato di Diritto penale per professione e Accreditata per passione. Quasi doveroso, quindi, tracciare insieme a lei un bilancio sul Festival, a conclusione di un’esperienza che tutti gli Accreditati hanno seguito fin da quando quel progetto ha iniziato a muovere i suoi primi (incerti) passi.

Antonella, la prima domanda è d’obbligo. Un Festival di cortometraggi organizzato da un Dipartimento di Giurisprudenza: non ti è sembrata una scelta “azzardata”?

Sì, all’inizio è stata indubbiamente la mia remora principale. L’entusiasmo e la buona volontà a volte non bastano, rendendosi per contro necessarie delle competenze professionali. Ci sono state però delle circostanze che mi hanno convinto a continuare. Anzitutto organizzo già da tempo proiezioni di film in Dipartimento, alle quali seguono incontri seminariali o veri e propri convegni sui temi emersi dalla pellicola. Non è necessario che sul grande schermo compaiano giudici o avvocati per valorizzare il connubio tra cinema e diritto: abbiamo proiettato Lo Stato della follia, Miele, Terraferma e le numerose tesi richieste alla nostra cattedra sui temi degli ospedali psichiatrici giudiziari, delle pratiche di fine vita e dell’immigrazione irregolare mi hanno convinto che il cinema possa funzionare (anche) quale autentico strumento didattico. Certo, il rischio che si corre è quello di una pressoché esclusiva valorizzazione del “contenuto” a tutto discapito del “contenitore”, ma, visti i risultati, è un rischio che ho accettato di correre volentieri.

Quanto a Diritto al Corto, poi, abbiamo cercato di bilanciare l’inesperienza dei selezionatori con la autoevidente competenza della Giuria di esperti ai quali abbiamo affidato la scelta dei cortometraggi vincitori.

 

Parliamo proprio della Giuria. Una prima edizione tenuta a battesimo da un Presidente di eccezione come Pupi Avati, che ha attribuito anche un premio speciale.

Sì, Pupi Avati ci ha mostrato fin da subito una così cordiale disponibilità da averci sinceramente sorpreso. Ha accettato il nostro invito raccogliendo quella che, per molti aspetti, era ancora un esperimento dall’esito affatto scontato. Ha visionato e valutato i singoli cortometraggi in tempi rapidissimi, malgrado i suoi numerosi impegni. Ha voluto scrivere una motivazione per il suo “premio speciale”. E ci ha fatto i complimenti per il lavoro che abbiamo svolto. Ecco, questo è stato il “premio speciale” per me e per l’intera organizzazione.

Tutti i giurati, per la verità, hanno mostrato, anche pubblicamente (durante la serata conclusiva), il loro apprezzamento per il nostro lavoro e per il livello dei cortometraggi inseriti in selezione. È stata una conferma significativa per noi tutti, che, insieme alla voce emozionata dei registi ai quali abbiamo comunicato l’esito della nostra selezione, è forse il fotogramma più rappresentativo di questa prima edizione di Diritto al Corto.

Dalle tue parole emergono l’impegno e la difficoltà con la quale avete proceduto alla selezione dei cortometraggi iscritti al Festival. È un’impressione corretta?

Un’impressione più che corretta. Ci siano trovati a gestire un numero e un livello tecnico-artistico di cortometraggi che non avremmo potuto neppure lontanamente immaginare quanto abbiamo pubblicato il nostro bando. Lo abbiamo fatto a tarda notte, magari attorno al tavolo della sala riunioni di uno studio da avvocato o affidandoci a un boccale di birra che facesse da spartiacque tra il nostro lavoro e la nostra passione. Non è stato semplice, ma si è trattato di una sfida che io e tutti gli organizzatori siamo stati felici di aver raccolto.

Quando abbiamo fatto realizzare da Mike Miranda, media partner di Diritto al Corto, il logo del Festival, non sapevamo bene cosa quel regista in toga si sarebbe trovato a dover dirigere. Abbiamo recitato a soggetto, senza un copione ben definito. Con tante difficoltà, tanti errori, ma con la voglia di vedere come andasse a finire la storia della strana coppia “toga e megafono”.

La selezione ufficiale e quella dei cortometraggi fuori concorso mostrano una significativa varietà di cortometraggi, tanto per Paese di produzione quanto per temi affrontati. Puoi dire di condividere il “verdetto della Giuria”?

 

Abbiamo cercato di proporre una selezione che fosse il più rappresentativa possibile del materiale visionato: per nazionalità, per temi affrontati e per background produttivo del cortometraggio selezionato.

Volendo indentificare un filo conduttore, lo si potrebbe individuare nella contrapposizione, spesso dialettica, tra Diritto e Giustizia, tra ciò che è scritto nelle leggi e nei codici e ciò che si avverte “giusto” sulla base di una valutazione extra (o pre) giuridica. Una contrapposizione che, durante la serata finale, ho voluto sintetizzare leggendo, in sequenza, i celebri versi di Antigone (ripresi, in qualche modo, dal cortometraggio Prohibido Arrojar Cadáveres a la Basura di Clara Bilbao) e le parole della requisitoria del Cons. Iacoviello relativa al “processo Eternit”.

Ben due cortometraggi italiani, del resto, avevano da sfondo il “caso Ilva”: Alle Corde di Andrea Simonetti (in concorso) e Thriller di Giuseppe Marco Albano (fuori concorso), quest’ultimo vincitore del David di Donatello 2015.

Siamo stati poi significativamente colpiti dall’elevato numero di cortometraggi spagnoli “ispirati” dai temi legati alla crisi economica degli ultimi anni. Ne abbiamo inseriti due in selezione ufficiale: Metros útiles di David Cervera e Cuando todo pase di Suso Imbernón, vincitore del premio speciale della Giuria.

Il premio speciale della Giuria ha in realtà fatto registrare un ex aequo, attribuendo un trofeo anche a Bishtar az do saat di Ali Asgari, storia di divieti giuridici, regole culturali o religiose e imperativi morali. I giurati, fatta eccezione per il Prof. Carocci, non sapevano che Ali è stato uno studente del Dams di “Roma Tre”: una bella coincidenza, che ha reso ancor più “simbolica” la consegna del trofeo.

Il premio “30 e lode”, assegnato da una Giuria di 30 studenti, specializzandi e dottorandi del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”, è andato a La smorfia di Emanuele Palamara, delicata ma penetrante fotografia della tutela dell’arte e della cultura nel nostro Paese. Il fatto che l’ultima serata si tenesse proprio presso il Palladium, teatro che di certo non ha vissuto un semplice momento di transizione, ha attribuito al premio, almeno secondo me, una valenza del tutto peculiare.

L’autentico trionfatore del Festival è stato però Un día de campo di Carlos Caro, che, girato in “campo di lavoro” ugandese, rappresenta un tanto potente quanto commovente appello a una più effettiva tutela dei diritti dell’infanzia. Un día de camposi è aggiudicato tanto il premio speciale assegnato dal Presidente Pupi Avati quanto il primo premio come miglior cortometraggio, che prevedeva anche una somma in denaro. Siamo stati davvero felici nel sapere da Carlos che l’intera somma confluirà nella campagna di raccolta fondi, associata al cortometraggio, che servirà a donare un aiuto concreto ai “protagonisti” del cortometraggio. I fondi raccolti saranno usati anche per costruire una scuola.

Per rispondere alla domanda, sarebbe stato difficile anche solo sperare che i “nostri” premi riassumessero così efficacemente lo spirito che, fin dalla prima ed embrionale idea, ha animato Diritto al Corto.

data di pubblicazione 14/06/2015

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