CARMEN di Enzo Moscato, regia di Mario Martone

Di : T. Pica

25 Mar 2015 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina – Roma, 18 marzo 2015/19 aprile 2015)

Al Teatro Argentina, si proprio al Teatro Argentina e non al Teatro dell’Opera o al Teatro La Scala di Milano, è in scena Carmen. L’opera secolare e indimenticabile di Bizet assume una veste completamente inedita.  Anzitutto, al posto dell’orchestra tradizionale, tipica di ogni opera lirica che si rispetti, prende posto nel golfo mistico la poliedrica Orchestra di Piazza Vittorio che assume nella narrazione diretta da Mario Martone un ruolo fondamentale grazie all’espressività e la poliedricità dei suoi componenti. Subito dopo il golfo mistico dei musicisti – che mai come in questa occasione diviene simbolo del Golfo di Napoli come crocevia di culture, volti, colori e artisti provenienti da tutto il mondo – si sviluppa la scena, anch’essa inconfondibilmente rievocativa dei vicoli partenopei nonché dei paesaggi realizzati dagli artigiani di San Gregorio Armeno. Lo spettatore si imbatte nella Carmen gitana (magistralmente interpretata da Iaia Forte) alla quale fa da contraltare il “soldatino forestiero” del Nord Italia (Roberto De Francesco). La storia è tremendamente attuale e per nulla lontana dai tristi fatti di cronaca nera che vedono sempre troppo spesso le donne vittime dei loro compagni. Mario Martone e Enzo Moscato, con la complicità dei colori, dei suoni e delle voci dei musicisti dell’Orchestra di Piazza Vittorio rivoluzionano l’opera lirica di Bizet, che rimane appannata sullo sfondo. Le musiche riscritte per l’occasione, e solo in parte ri-arrangiate ispirandosi al pentagramma lirico, sono le vere protagoniste del ritmo della storia portata in scena e creano un connubio inscindibile con i colori sfavillanti e luccicanti (delle lampadine, degli abiti di scena) contrapponendosi alla drammaticità della storia e alla tragedia del femminicidio. Questo, infatti, si consuma durante il chiasso e le risate di una processione guidata dalla torre decisamente kitsch, dotata di Madonnina illuminata, dalla quale un cantante neomelodico e un cantante arabo (forse tunisino o egiziano) – anch’esso decisamente neomelodico – intrattengono la folla dei “devoti” napoletani. Il tema della malavita, della disperazione, della “stupidità” dell’amore che supera il limite degenerando in gesti tragici, della rassegnazione di chi è nato e cresciuto nella Napoli arida dei sobborghi e, solo per questa circostanza storico-temporale-geografica, non fa nulla per provare a migliorare, a ribellarsi ad essere migliore, sono ben sintetizzati nella rappresentazione. L’Opera, però, prende inoltre le distanze dai Libretti di Bizet perché la Carmen di Martone non muore, non tace bensì, per mano del folle amante Josè, viene soltanto resa cieca. E così Carmen, seppur privata dei suoi luminosi occhi azzurri, non rimane al buio, non rimane la silente vittima del suo amante-carnefice. Carmen vive ed con le sue parole, le sue denunce, continua e continuerà a dar voce al suo pensiero che è sempre stato profondo a dispetto della sua immagine superficiale di prostituta. Carmen dunque come donna viva e pensante, forte, diviene il messaggio di speranza e di lotta avverso i soprusi e le violenze contro le donne e il femminicidio. Nella rappresentazione, purtroppo, non convince l’interpretazione del personaggio di Josè, un po’ giù di tono, spento, che non corrisponde al Josè mosso dalla cieca passione omicida per la sua Carmen. L’Opera realizzata dal talento di Martone e Moscato catalizza sicuramente l’attenzione per tutti i 75 minuti ma, forse, il merito va principalmente alla bellezza e al ritmo delle composizioni musicali (accompagnate da una valida Iaia Forte in veste di cantante) che rievocano non solo atmosfere gitane ma anche arabeggianti quasi a ricordare proprio quelle Terre in cui ancora troppo spesso alla donna è negata voce, è negato spazio, nella famiglia come nella società, in nome di un finto ed ottuso rispetto.

data di pubblicazione 25/03/2015


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