BUTCHER’S CROSSING di Gabe Polsky, 2022

(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)

La diligenza da Ellsworth conduce il giovane idealista,William (Will) Andrews a Butcher’s Crossing, un raggruppamento di poche fatiscenti baracche, sede dell’ufficio del signor McDonald, il più importante commerciante di pelli di bisonte del Kansas. Spera di trovare un lavoro, fare esperienze e guadagnare. Sconsigliato dal vecchio e disincantato rivenditore si offre comunque di partire per un rischioso viaggio a caccia di bisonti insieme ad un’altra spedizione di un cacciatore veterano che dice di conoscere una valle segreta ricca di mandrie. Si troverà coinvolto in una corsa drammatica e sconvolgente che lo segnerà a vita.

 

Come ci insegnano i grandi critici francesi, in particolare Andrè Bazin, il western rappresenta da sempre la mitizzazione della cultura americana. Questa fascinazione ha prodotto negli anni (fin dal cinema muto) una miriade di pellicole con ambientazione nell’Ovest degli USA. Si può dire che gradualmente, la narrazione ha fatto ricorso alla leggenda prima (eroi buoni e indiani cattivi) , poi alla storia (il revisionismo che ha chiarito i rapporti di forze). Siamo passati, quindi, per sommi capi e onore di sintesi, da Ombre Rosse del mitico John Ford a Balla coi Lupi di Kevin Costner, ovvero da un meraviglioso cinema di intrattenimento ad uno più attento alla storia e critico sul passato. Con Butcher’s Crossing il western segna un altro punto a suo favore, inserendosi nel solco del “western letterario” pur sempre nella sfera del revisionismo che, nell’occasione, parla del tema della distruzione dei bisonti da parte “dell’uomo bianco”. Il film come il bel romanzo di John Williams (l’autore del super best seller, Stoner) è una storia dura, spietata e refrattaria ad ogni romanticismo sulla speranza di poter controllare la natura. Ci sono scene che restano impresse nello spettatore: cavalli assetati, carri che precipitano verso torrenti, bufere spaventose e soprattutto la violenza dell’uomo verso le migliaia di placide bestie, i bisonti, uccisi senza necessità particolari. Ma, anche nei momenti di quiete , quando i quattro protagonisti si ritrovano nel fuoco di bivacco o quando sognano dolcezze o incubi, non c’è tempo per sentimentalismi di sorta. Come in Revenant (2015) di Inarritu che valse l’oscar a Leonardo di Caprio, anche Butcher’s Crossing ha una trama semplice che non racconterò, ma ha nei personaggi, nella natura e nella morale i suoi punti di forza. La regia di Polsky che è anche sceneggiatore con Liam Satre- Meloy è sobria ed efficace e, nell’occasione, pur stravolti dal blizzard e coperti da barbe e pellicce gli attori ben figurano.

Persino il tanto criticato, Nicholas Cage ( lo spietato Miller) , al primo western della vita,dopo oltre 100 film non tutti indimenticabili, fornisce una prova credibile , al pari del giovane e promettente , Fred Hechinger (il tenero Will Andrews ) e del rude Jeremy Bobb (lo scuoiatore di pelli , l’unico con un po’ si sale in zucca). Alla fine, tocca dirlo, quelli che escono meglio sono i poveri bisonti, inermi di fronte allo sterminio che nel 1874 portò il loro numero a ridursi a soli 300 esemplari rispetto ai sei milioni che pascolavano nelle praterie. Oggi, ce lo ricordano i titoli di coda, grazie all’impegno delle popolazioni native (gli indiani per intenderci) i bisonti sono ritornati in gran numero e sono specie protette e patrimonio della Nazione. Della serie “non è mai troppo tardi!”

E così anche narrando una storia del 1874 un film riesce a dare un contributo di verità a eventi storici per troppo tempo ignorati o manipolati.

data di pubblicazione:16/10/2022


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