BRIMSTONE di Martin Koolhoven, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

La complessa rete di rapporti che lega una giovane donna e un Reverendo si traduce in un viaggio nel fanatismo religioso e nella miseria umana, ambientato nella desolazione del West.

Stati Uniti d’America, Badlands, XIX secolo. Liz (Dakota Fanning) parla solo attraverso il linguaggio dei segni, ma, anche grazie al supporto della figlioletta, sembra perfettamente inserita in una di quelle piccole comunità del Wild West raccolte intorno alla propria Chiesa e al proprio Reverendo, in cui però la pietà e la devozione sono solo la fragile facciata dietro la quale si celano i sentimenti più oscuri e degradanti. L’arrivo del nuovo Reverendo (Guy Pearce, in una delle sue migliori prove d’attore) turba profondamente Liz. La paura e la violenza irrompono prepotentemente nella storia, che, seguendo un andamento ritroso, dall’Apocalisse fino alla Genesi, chiarisce la complessa trama di rapporti che lega i due protagonisti.

La composita epopea raccontata da Martin Koolhoven conduce nell’abisso delle pulsioni più orride e ripugnanti, alimentate da un farneticante fanatismo religioso che arriva a giustificare ogni più squallida miseria umana. Dall’altra parte si pongono (e si oppongono) la speranza che diviene coraggio, il desiderio di rivalsa che diviene anelito di emancipazione. Il finale tenterà di (ri)comporre, sia pur in maniera contraddittoria, il nero e il bianco chiamati a fronteggiarsi nel corso della storia.

Con Brimstone la selezione ufficiale di Venezia 73 esplora un’ulteriore sfaccettatura dei generi, approdando a western con tanto di duello tra pistoleri sul terreno polveroso della via antistante al bordello cui è affidato un ruolo cruciale nell’intreccio narrativo. Le numerose ed esplicite scene di violenza rappresentano indubbiamente una delle cifre più caratterizzanti del film, anche se non sempre conferiscono un reale valore aggiunto a quel viaggio nella desolazione umana del West che forse il regista olandese intraprende con qualche punta di eccesso di zelo.

L’impressione complessiva è quella di un racconto ridondante, non solo per la durata di 148 minuti, ma anche per la tendenza a sovraccaricare il filo rosso di una storia che diviene difficile da rinvenire quando il film volge al termine.

Non basta l’elegante citazione de La pietà di Michelangelo e, più in generale, l’evidente ricerca estetica che pervade tutto il film. Così come non basta la solidità del cast, con le convincenti interpretazioni di Guy Pearce, Dakota Fanning, Emilia Jones (nel ruolo di Liz da adolescente) e il cammeo di Kit Harington e Carice van Houten, provenienti direttamente da Il trono di spade.

Brimstone, malgrado la durata, resta un’opera per molti aspetti incompiuta, che non riesce nell’impresa, centrata da Arrival con la fantascienza, di muovere dalle costanti del genere per poi superarle in maniera originale.

data di pubblicazione: 04/09/2016







1 commento

  1. sono d’accordo. questo film ha solo qualche pregio formale inoltre la negatività della vicenda è talmente estrema che suscita ilarità involontaria

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