BLACKHAT di Michael Mann, 2015

Honk Hong, la centrale nucleare di Chai Wan subisce un attacco hacker (a carico dei sistemi di raffreddamento delle barre) che provoca l’esplosione di un reattore. Poco dopo, a Chicago, la Borsa subisce l’aggressione informatica dello stesso hacker, che fa schizzare alle stelle il prezzo della soia. La reazione delle Autorità è immediata. L’esercito cinese e l’F.B.I. decidono di unire le proprie forze per stanare il blackhat, e cioè l’hacker malintenzionato, creando una task force che si avvale della collaborazione di un ex pirata cibernetico statunitense, Nicholas “Nick” Hathaway, detenuto per una lunga serie di crimini informatici. Inizia così una serrata caccia all’uomo che porterà i protagonisti dagli Usa in Cina, Malesia ed Indonesia.

Michael Mann torna dopo sei anni d’assenza (Nemico Pubblico, 2009) e lo fa in maniera prepotente, firmando un thriller cibernetico di pregevole fattura. La storia è intensa, nonostante alcuni (voluti) buchi di sceneggiatura che non pregiudicano la narrazione, anzi, la esaltano, contribuendo ad accrescere l’interesse dello spettatore. Il ritmo è alto, la musica accompagna con maestria le sequenze più emozionanti (che sono copiose) e dei cali d’attenzione non si vede nemmeno l’ombra.

Fedele alla propria tradizione cinematografica, Mann mescola l’azione col sentimento, fonde i colpi d’arma da fuoco e la violenza al ritratto psicologico dei protagonisti, profondo e disilluso. Nick non è una brava persona (e ne è perfettamente consapevole), ciononostante non rinuncia a difendere o vendicare i propri affetti. Blackhat è quindi un film di genere, pregno però di elementi d’autore: il pessimismo e la malinconia sono tangibili, come tangibili sono le paure post 11 settembre, ancora radicate nella coscienza statunitense. I riferimenti a Collateral e Miami Vice sono lampanti, mentre la figura di Nick sembra ricalcare quella di Frank, protagonista di Strade Violente.

Blackhat non è per tutti: rigoroso e iper-realista nel ricostruire le procedure informatiche, nonché complesso e dettagliato nei dialoghi e nei confronti umani. Tante le scene che sono un piacere per gli occhi: le panoramiche delle metropoli, le inquadrature dall’alto, in aereo o in elicottero, la rappresentazione del mondo cibernetico – tra cavi, processori e strumenti vari- come un mondo a sé stante, che vive delle proprie regole, nonché la straordinaria sequenza del conflitto a fuoco nel tunnel e tra i container (dove Mann fa uso del digitale in maniera assolutamente innovativa).

Da non perdere. Chapeau.

 

data di pubblicazione 13/03/2015


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