AMERICAN SNIPER di Clint Eastwood, 2015

statuetta

Il mondo è popolato da tre categorie di uomini: le pecore, i lupi e i cani da pastore. Chris non è nato né per subire passivamente il male né per prestare a quel male le proprie fauci: la missione alla quale è destinato è quella di difendere chi non ha la forza o la capacità di badare a se stesso, anche quando ciò comporti la definitiva eliminazione dell’avversario.

In American Sniper Bradley Cooper presta il suo volto e i suoi muscoli a Chris Kyle, il cecchino “Leggenda” dei Seals, che ha messo a segno 160 bersagli durante la guerra in Iraq. Per quanto il film si riveli a tratti intriso di celebrativo patriottismo, Clint Eastwood sembra scongiurare il rischio di una compiaciuta celebrazione della guerra americana “di difesa e di liberazione” e delle sue logiche fatte (anche) di uno straripante ego virile, che magari indossa la maschera dell’insindacabile senso del dovere e veste il mantello del supereroe che protegge la città dall’alto, con il potere della sua mira infallibile.

La storia di Chris Kyle, forse esageratamene patinata per ciò che attiene alla sua dimensione privata al fianco dell’impeccabile mogliettina Sienna Miller, finisce piuttosto per mostrare come tra i fumi e le polveri del campo da battaglia la dicotomia bene/male divenga meno nitida dell’immagine delle Torri gemelle che si sgretolano guardata attraverso il televisore. Nel momento in cui nel mirino finiscono donne e bambini, persino il più fedele e intrepido cane da pastore prova la lacerante sensazione di trasformarsi in lupo spietato.

Quel campo da battaglia che si rende esperienza inevitabilmente totalizzante per i combattenti che, per le ragioni più diverse, decidano di mettervi piede. Anche quando si torna a casa, non si torna mai veramente. Il rombo di un motore, un suono metallico, un cane che gioca con un bimbo: ogni dettaglio della “vita” finisce per assumere la consistenza della “morte”.

132 minuti di ritmo incalzante per un film che in più di una sequenza lascia lo spettatore con il fiato sospeso e che, pur non essendo forse tra le prove migliori di Eastwood, si caratterizza per quel misto di spettacolarità e di esistenzialismo che rendono riconoscibile il suo cinema.


data di pubblicazione 04 /01/2015


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