UN PADRE, UNA FIGLIA di Cristian Mungiu, 2016

Un padre, una figlia e un esame di maturità per poter fuggire dalla realtà; una prova in cui devono districarsi entrambi, nel fitto groviglio di problemi che affliggono la Romania.


La telecamera apre il suo occhio sul desolante panorama offerto dall’urbanizzazione industriale rumena. Edifici squadrati, bianchi e asettici affondano le loro radici di cemento nel terreno, una volta verde e incontaminato. Non solo il suolo è corrotto, anche coloro che lo vivono sono ingabbiati in un intricato sistema clientelare – sotto le mentite spoglie  di una solidarietà reciproca e benevola (io aiuto te, così tu aiuti me) – che lega ministri, medici, poliziotti. In un Paese dove è difficile emergere senza avere le giuste entrature, Romeo ­­– sanitario onesto e alacre – cerca di costruire un futuro altrove alla giovane figlia Eliza. Dopo aver ottenuto la borsa di studio per la prestigiosa università di Cambridge, alla studentessa rumena manca solo l’esame di maturità per poter emigrare. “Una semplice formalità”, secondo il sentir comune, che invero nasconde innumerevoli insidie, le quali si paleseranno dopo che Eliza, mentre si avvicinava alla scuola per sostenere l’esame, viene aggredita e subisce un tentativo di violenza sessuale. Un evento che scatenerà il pandemonio: Romeo proprio mentre stava per posizionare l’ultima carta sul castello costruito per la figlia, si vede crollare repentinamente tutto ciò che aveva edificato.

Cristian Mungiu, a quasi dieci anni dalla Palma d’oro ricevuta per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, plasma un film ricco di tematiche sociali di stringente attualità. Non c’è spazio per la cura della fotografia, per preziosismi o virtuosismi; la pellicola è volutamente scarna sotto il punto di vista estetico, ma altamente introspettiva per quanto attiene alla caratterizzazione dei personaggi. Il ritmo cadenzato e limaccioso, a scapito del coinvolgimento emotivo, permette di osservare la vicenda in modo critico e distaccato.

La Romania dipinta dal regista non è così distante dal nostro Paese: la corruzione e l’emigrazione dilaganti sono fenomeni che imperversano anche in Italia. Ed è in virtù di questo contesto che il protagonista della storia matura la convinzione di approntare un futuro migliore alla figlia; lui che, tempo addietro, fu costretto a tornare in patria. Il disperato tentativo di Romeo, tuttavia, sembra essere più una ricerca egoistica di realizzazione personale attraverso la figlia, la quale – invece – è estremamente legata all’heimat. D’altronde, come ammonisce la madre del protagonista durante il film, se tutti partissero per cercare fortuna in un’altra nazione, chi resterebbe per provare a cambiare la situazione?

Consigliato a: chi ricerca un film che racconta una vicenda profondamente umana, tra corruzione, tradimenti, rapporti familiari farraginosi; ed a cui piace molto l’aspetto psicologico.

Sconsigliato a: chi piacciono i film che indugiano sulla fotografia o sulla colonna sonora; qui prevale il dramma della storia raccontata.


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data di pubblicazione: 28/08/2016

 

1 commento

  1. trovo molto azzeccata l’analisi fatta al film dove si mette in risalto un stato di fatto (in Romania come in Italia) istituzionalizzato. Come dicevano i latini manus manum lavat. Il film mi sembra, a tale proposito, genuino e tocca in effetti problematiche a noi oggi ben note. sono pertanto d’accordo su quanto ascrive ArtRosi. Il film va visto sotto questa luce. Ma una domanda… si saprebbe dare una spiegazione al termine heimat? non esiste una parola equivalente in italiano, ma ArtRosi (volutamente?) ha reso perfettamente il concetto…

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