L’AUTORE E IL SUO DOPPIO di Fabrizio Gifuni, ideazione e regia di Roberta Lena, al suono G.U.P. alcaro

4 Mar 2017 | Accredito Teatro

(Teatro Vascello – Roma, 2/12 Marzo 2017)

 

Un solo attore per una foresta di voci; un sublime autore per una selva di immagini feroci.”

 

Con passo felpato Gifuni fa il suo ingresso sul palco. L’oscurità lo circonda. Indossa un vestito bianco dello stesso colore delle pagine del libro “Lo straniero” di Camus che andrà a leggere e interpretare; i suoi capelli e la folta barba avvolgono la sua figura come la punteggiatura circonda i diversi enunciati; e la sua voce vigorosa darà vita alle parole stampate, scritte dall’autore francese.

Appena arrivato al centro del palco, due fari lo accecano. La luce del sole lo risveglia e così entra nel personaggio.

A Meursault è da poco deceduta la madre. Si trova nella stanza dell’ospizio ove dimorava. Lui non le si avvicina. Certamente è dispiaciuto per la morte, ma non lo dà a vedere, gli scivola addosso. Nella camera entrano altre figure indistinguibili; ma lui resta in disparte, distaccato, e dopo poco prenderà commiato, senza un gesto di saluto né una parola.

Lo stesso giorno del funerale materno incontrerà sulla spiaggia Maria, una donna che già conosceva, di cui si era invaghito ma che non amava. Visto l’interesse ricambiato, inizieranno una relazione fisica; ma quando lei gli chiederà di sposarla, risponderà con sincerità: per lui era indifferente, non l’amava, e reputava il matrimonio una questione non seria.

Oltre a Maria, Meursault non aveva molte relazioni, interagiva di rado con il suo vicino Raimondo, un personaggio riottoso e prevaricatore, che una sera finì per maltrattare la donna con cui si frequentava. Tale accadimento non restò senza seguito: alcune persone (tra cui il fratello della compagna) iniziarono a pedinare Raimondo per vendicare l’offesa; finché un mattino, mentre si dirigevano insieme verso il lungomare, ebbero con loro una colluttazione in cui Raimondo rimase sfregiato. Un fendente colpì quest’ultimo sul viso e li costrinse a battere in ritirata. Ma Raimondo non si diede per vinto, e non appena si fu ripreso costrinse Meursault ad accompagnarlo fuori. Durante la tranquilla passeggiata di ritorno sulla spiaggia, Meursault si imbatte all’improvviso in uno degli assalitori, che gli punta immediatamente il coltello sul viso. Abbagliato dal sole e accecato dall’adrenalina, estrae la pistola che aveva tolto per prudenza a Raimondo.

Un solo rumore. Rapido. Secco. Istantaneo. Un corpo che cade a terra. Inanime. Immobile. Freddo. E poi altri quattro colpi vengono sparati e si insaccano nel corpo ormai inerte: dopo poco Meursault ha le manette ai polsi e viene condotto al commissariato per l’interrogatorio. Ed è qui che comincia la sua storia.

Albert Camus, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, Julio Cortázar e Roberto Bolaño sono questi gli autori che Fabrizio Gifuni rappresenterà sul palco del teatro Vascello dal 2 al 12 marzo. Nel primo spettacolo riesce insieme a Roberta Lena a condensare in un’ora e mezza centosessanta pagine di libro. Si potrebbero nutrire riserve riguardo la lettura di un libro a teatro, c’è chi potrebbe insinuare che se ne possa fare un uso migliore se lo si legge da soli (come ha fatto provocatoriamente Emanuale Trevi nella sua intervista all’attore), ma Gifuni a tal proposito ha risposto: “Io stesso amo leggere nella mia intimità. Ciò che mi è più estraneo è l’idea di qualcuno che, in maniera più o meno accattivante, esegua un testo scritto. Un libro è un risultato, un magma che si è solidificato. È giusto che prenda la sua strada basata sull’atto di lettura. Io vado in cerca di altro: voglio entrare nella testa di chi lo ha scritto”.

E Gifuni riesce efficacemente nel suo obiettivo di trasportare lo spettatore nel mondo di Camus, nei suoi luoghi immaginari, mettendo in scena le sue inquietudini, il suo malessere, la sua albagia: nuance che non sempre è possibile cogliere con la lettura, ma che l’attore romano riesce a materializzare attraverso la sua voce: “la parte più segreta e misteriosa del corpo” (come diceva Orazio Costa). Una voce che l’attore modula diversamente in base al personaggio evocato, e chiudendo gli occhi si ha la sensazione che sul palco vi siano davvero più teatranti.

Palcoscenico in cui la scenografia è essenziale: sono presenti dei bauli per trasportare il materiale dello spettacolo in un angolo, e nell’altro vi è la postazione da dove G.U.P. alcaro fa partire i suoni che si incanalano nel fiume di parole dell’attore, contribuendo a dare un’ulteriore dimensione alla lettura del testo.

Anche gli effetti scenici sono ridotti all’osso: è l’illuminazione che domina la scena. Le luci calde che rischiarano il candido vestito di lino indossato da Gifuni restringono le pupille e tolgono profondità, in modo che la sua figura si distingua nettamente nel buio che lo avvolge, come una lucciola nella notte; ma nel momento in cui il suo personaggio raggiunge l’apice della sua ribellione, allora i fari posizionati in basso si spengono repentinamente e due luci fredde scendono dall’alto, dilatando le pupille del pubblico e conferendo di nuovo profondità allo spazio: in modo da far fluttuare nell’aria la sua figura, un’ascensione liberatoria, in cui il suo personaggio prende forza, sicurezza e consapevolezza di ciò che gli sta per accadere.

Meursault l’anaffettivo si desta quindi dal suo torpore, ma non si scorda che “non si è mai completamente infelici”. Da questo spettacolo si può invece uscire felici per aver assistito ad una straordinaria interpretazione, anche se gli intervalli temporali tra le diverse scene descritte (in cui viene inserita la musica), se da un lato permettono all’attore di riposarsi, dall’altro risultano vuoti e imbarazzanti – alla staticità continua del personaggio sarebbe in tal caso opportuno abbinare del movimento, per spezzare con il resto della narrazione. D’altra parte, se è vero che non si mai completamente infelici, non lo si è nemmeno felici.

data di pubblicazione: 04/03/2017


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