LA VITA ACCANTO di Cristina Pezzoli, con Monica Menchi

7 Feb 2016 | Accredito Teatro

(Teatro dei Conciatori – Roma, 2/7 febbraio 2016)

Nella cornice del Teatro dei Conciatori, la tela che fa da sfondo al palcoscenico si anima: al chiaro di luna, sulle note della canzone di Debussy, un’ombra scura si staglia sullo sfondo e si muove dando vita a immagini mostruose. Da questa atmosfera orfica, fa il suo ingresso sulla scena l’attrice Monica Menchi, avvolta da una veste bianca ma con un viso cupo – contrapposizione tra bianco e nero che agisce come presagio degli accesi contrasti cui si assisterà nel corso della rappresentazione.

La candida figura è Rebecca, una bambina nata orba (ancorché il trucco somigli più a una benda oculare che a una malformazione), che, per il suo aspetto sgradevole, sarà emarginata dalla società. Prima ancora che la comunità, saranno i genitori — interpretati dalla stessa attrice (unica sul palco), che dimostra una versatilità straordinaria — a non riuscire ad accettare la natura della loro figlia e, pertanto, la costringeranno a vivere reclusa in casa (come accadde alla poetessa Emily Dickens: solo che nel caso della scrittrice inglese la reclusione non è forzata, bensì voluta). L’inadeguatezza della fanciulla alla vita cela, in realtà, una profonda e radicata incapacità dei genitori: il padre, appena può, scappa dai suoi doveri e si dedica unicamente al lavoro; mentre la madre, affetta da depressione, non riesce a condividere le sue emozioni con i suoi familiari, e ciò la porta a racchiudere i suoi pensieri in un diario segreto. Sopperisce all’assenza dei genitori la zia, che scoprirà il talento innato di Rebecca: la piccola si dimostrerà essere un prodigio del pianoforte. Ciò nondimeno, tale sua capacità non le permetterà di evitare di essere oggetto di scherno da parte dei compagni di scuola per la maschera spaventosa che la natura le ha incollato sul volto; tant’è che, in un momento di disperazione, arriverà a esprimere il desiderio di “evaporare come la nebbia sul fiume”.

Fiume che si porterà via la madre: incapace di sopportare la vita, si getterà nell’acqua per annegare i suoi dolori e farsi trascinare via dalla corrente – come accade all’Ofelia shakespeariana. Moto dell’acqua che scandisce altresì i tempi della messinscena: a volte impetuosa (nei momenti delle sofferenze subite da Rebecca), a volte calma e placida (quando alla protagonista è permesso esprimersi con la musica del pianoforte).

La vita per Rebecca, nonostante tutte le esperienze negative che ha dovuto patire, continua; e lo scorrere del tempo le permetterà di far emergere (e vedersi riconosciuto) il suo talento musicale: un riscatto finale della bellezza interiore sulla ripugnanza esteriore.

Non conosciamo mai la nostra altezza

Non conosciamo mai la nostra altezza
finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
arriva al cielo la nostra statura.


L’eroismo che allora recitiamo
sarebbe quotidiano, se noi stessi
non c’incurvassimo di cubiti

per la paura di essere dei re.
Emily Dickinson

data di pubblicazione:07/02/2016


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