GRAZIE PER LA CIOCCOLATA di Claude Chabrol, 2000

Claude Chabrol, un autore che ho frequentato sempre poco, con questa ultima opera ha creato un autentico capolavoro che definirei di “ingegneria registica”.

Provate a immaginare: un probabile scambio di neonati, di cui uno fecondato artificialmente; un incidente stradale in cui perde la vita una donna il cui marito sposerà la sua migliore amica; un altro incidente identico vent’anni dopo. E ancora: una donna, Mika, figlia adottiva e erede e presidente di una industria di cioccolato; un pianista famoso; suo figlio, un ventenne che ama le lingue morte e le lumache; una bellissima ragazza che suona il piano anche lei e sua madre, direttore di un Istituto di Medicina legale.

Si rischiava il feuilleton o uno di quegli incasinatissimi noir americani di questi ultimi anni. Chabrol, invece, costruisce una tanto invisibile quanto robusta struttura drammaturgica e filmica che incastra a perfezione le situazioni, esplora vertiginosamente la psiche dei personaggi, senza cedimenti o sbavature ma allo stesso tempo senza fastidiose invadenze e il risultato è un meccanismo impeccabile e profondo che non sarebbe dispiaciuto a Stanley Kubrick.

Inoltre si diverte a citare (letteralmente: nominandoli) Fritz Lang e Jean Renoir suggerendo così chiave di lettura giusta.

Del resto non è difficile intuire che la soluzione dell’intrigo è in quei thermos pieni di cioccolato che Mika (Isabelle Huppert, bravissima e di classe , comme d’habitude) prepara per i familiari e gli ospiti di cui, per “sublimare” le sue frustrazioni, dirige silenziosamente la vita e la morte.

All’esterno, l’algida Losanna ben fotografata da Renato Berta, in sintonia con il perbenismo e le perversioni dell’ambiente umano.


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