LIOLÀ di Luigi Pirandello, regia di Francesco Bellomo

7 Feb 2020 | Accredito Teatro

(Teatro Quirino – Roma, 4/16 febbraio 2020)

La commedia a carattere popolare di Liolà, il contadino che tra intrighi e pettegolezzi, arrivismo e gelosie, fa valere la sua bontà e la sua morale spensierata.

 

Il sole è una palla infuocata in un cielo blu terso che splende appena sopra la barriera di scogli oltre la quale si vede il mare. Il frinire assordante delle cicale, come le onde che battono sulla battigia si mischiano ai canti popolari trasportandoci nei colori e nei suoni in Sicilia. Il gruppo di case bianche – con l’uscio sempre aperto a dire fiducia e comunicazione tra le persone – si affaccia su uno spazio comune, una piazzola alla fine di ripide scalinate, bianche anche loro, centro gravitazionale della scena. È il luogo di aggregazione della piccola società contadina del borgo marinaro di Porto Empedocle, dove il regista ha scelto di ambientare la pièce trasportandola nei primi anni ’40. È qui che la commedia campestre, tra le prime scritte da Pirandello, prende vita. Luogo di solidarietà, pettegolezzi e condivisione del lavoro per una società tutta al femminile, strutturalmente organizzata in una complicata e rigida gerarchia, ma al cui vertice ci sono sempre e solo uomini.

Liolà è un contadino allegro e spensierato che ama tutte le donne ma non ne vuole sposare nessuna, un dongiovanni dai buoni sentimenti. Ha già tre figli, frutto di fuggevoli amori, che sua madre si dà la briga di crescere. Ne aspetta un altro da Tuzza, che vorrebbe per questo motivo chiedere in sposa, ma la proposta è rifiutata nonostante il peso della vergogna di una gravidanza illecita. Liolà si inserisce nella società in cui vive come una voce fuori dal coro. La sua filosofia del vivere senza morale ma con virtù – perché chi non ha virtù non sa regnare – è contagiosa e abbindolatrice. L’interpretazione di Giulio Corso, con le sue capacità vocali e mimiche da bravo cuntatore di storie, aggiungono al personaggio una notevole dose di simpatia e vitalità.

La roba appartiene invece tutta a Zio Simone, comico e goffo nella versione di Enrico Guarneri. È il ricco del villaggio ossessionato dal problema di non avere figli e quindi eredi a cui lasciare i suoi beni. La sua sterilità darà occasione a Zia Croce e a sua nipote Tuzza di ordire un intrigo per accaparrarsi una posizione economicamente più favorevole, nascondendo insieme il disonore della ragazza. Ma l’intervento di Liolà cambierà i piani. Metterà incinta anche Mita, la giovane sposa legittima di Zio Simone – umiliata e derisa da Tuzza in faccia a tutto il paese – dando così alla ragazza la possibilità di riscattarsi. Il figlio che nascerà da Tuzza si unirà al numero di quelli che Liolà già ha sulle spalle – “tre più uno fa quattro” dirà– a sottolineare la bontà della sua onestà di eroe positivo.

L’uso marcato del dialetto siciliano rende difficile la comprensione all’inizio, ma l’orecchio fa presto ad abituarsi. Allora ecco che emergono sfumature di senso che vanno ad arricchire la drammaturgia, aggiungendo al testo una sorta di leggerezza e realtà che altrimenti non sarebbe godibile. Anche il punto più tragico, il momento del capovolgimento del dramma operato da Liolà, diventa leggero. Merito anche di una recitazione che in più punti si avvale della soluzione comica di scimmiottare e gesticolare per mettere in ridicolo alcuni personaggi, sottolineandone l’esagerazione. Ma è la notevole partecipazione di Anna Malvica ad aumentare il valore di questo adattamento. La sua Zia Croce si distingue per verità e forza e perché porta sulla scena una conoscenza e una saggezza popolare che di questa storia ne sono l’anima.

data di pubblicazione:07/02/2020


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