LE CINQUE ROSE DI JENNIFER di Annibale Ruccello, regia di Geppy Gleijeses

foto da cartella stampa

con Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses

(Teatro India – Roma, 5/9 marzo 2025)

Tra i lavori più rappresentati di Annibale Ruccello – prematuramente scomparso a soli trent’anni nel 1986 – Le cinque rose di Jennifer è ora al teatro India per la divertente e insieme commovente interpretazione di Geppy Gleijeses (Produzione Dear Friends). Del drammaturgo napoletano il Teatro di Roma ha proposto a gennaio Anna Cappelli (con la regia di Claudio Tolcachir e l’interpretazione di Valentina Picello) e ad aprile è in programma il suo capolavoro, Ferdinando, per la regia di Arturo Cirillo.

Jennifer abita in un monolocale nel quartiere dove per una non specificata ragione sono stati confinati a margine tutti i travestiti. Più una condizione sociale che un luogo fisico situato chissà dove alla periferia di Napoli. Lo stile di vita a cui si ispira il suo comportamento è copiato dai giornali e dalla radio, che trasmette di continuo canzoni di Mina, Patty Pravo e Romina Power. Ma anche cattive notizie. Un serial killer si aggira infatti nella zona e miete vittime tra gli omosessuali. L’atmosfera noir della trama cela però una verità ben più profonda e teatrale. Jennifer vive una situazione di emarginazione e solitudine, aggravata dal cattivo funzionamento del telefono che intercetta telefonate di appartamenti vicini, ma non suona mai per lei. È infatti in attesa della chiamata di Franco, l’avventura di una sera, che le ha promesso l’impossibile: un amore esclusivo che promette di strapparla dal disagio.

La Jennifer di Gleijeses prende il carattere dal popolo, dai bassi napoletani, dove il dialetto è brusco, crudo e la vita si affronta con apparente strafottenza. Al suo fianco recita il figlio Lorenzo, nei panni di Anna, il travestito che piomba in casa sua con una scusa che per compensare l’isolamento – ulteriore ritratto di disperazione – si è trovato a rivolgere tutto l’affetto a una gatta, Rusinella.

Entrambi i personaggi vestono una solida armatura fatta di orpelli e distrazioni, feticci e falsi miti, per coprire la miseria e il degrado della loro condizione. E su questo forte contrasto si basa anche la scena di Paolo Calafiore. Allo spettatore infatti è concesso di vedere l’impalcatura che sorregge la scenografia iperrealista. Nella cucina dell’appartamento Jennifer prepara davvero il caffè e un sugo al pomodoro. Le pareti hanno uno squarcio e la claustrofobica stanza si vede contestualizzata nel luogo per eccellenza dell’illusione: il palcoscenico. Quando la realtà prende il sopravvento sulla finzione e questa viene mostrata nella sua effimera consistenza (la radio si azzittisce perché viene a mancare la corrente e il telefono rimane isolato per un guasto), allora tutto il mondo intorno a Jennifer si frantuma, risucchiandola nel vuoto. A causarne la morte è la disperazione che arriva quando crolla ogni fronzolo al quale si appoggiava la sua sicurezza.

La regia di Geppy Gleijeses coglie quindi le intenzioni del testo in questa versione apparsa la prima volta al Festival di Spoleto nel 2017. Come maestro indiscusso della scena, propone un lavoro nel pieno rispetto e valorizzazione di una tradizione partenopea e nazionale che, anche dopo e oltre Eduardo (forse evocato nella scenografia dalla presenza della ringhiera di un finto balcone), continua a stupire e a commuovere il pubblico attraverso un’analisi veritiera e sconcertante della società in cui siamo immersi.

data di pubblicazione:08/03/2025


Il nostro voto:

1 commento

  1. Questa recensione offre una lettura approfondita e sensibile dell’opera, cogliendo in pieno la complessità emotiva e sociale del personaggio di Jennifer. La descrizione della solitudine e della disperazione della protagonista è potente e riuscita, evidenziando come l’autore esplori la sua condizione attraverso un intreccio di elementi simbolici e realistici.
    Una recensione ben scritta, che sa valorizzare ogni aspetto della pièce con una visione critica e appassionata.

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