EDEN di Ron Howard, 2025

(Foto privata)

Tra la prima e la seconda guerra mondiale, due utopisti tedeschi, Friedrich Ritter e Dora Strauch lasciano la Germania e vanno a vivere nell’isola di Floriana alle Galapagos. Pensano di sfuggire alla civiltà europea che credono in declino e contano di vivere in quel posto sperduto in perfetta solitudine. Speranza vana. Vengono raggiunti prima dalla famiglia Wittmer e in seguito da una sedicente baronessa con amanti- aiutanti al seguito. La sopravvivenza tra i diversi gruppi non sarà idilliaca.

Gli inizi di Eden si soffermano sull’instaurarsi della vita sull’isola da parte della famiglia Wittmer, padre (Daniel Bruhl), madre (Sydney Sweeney) e figlio cagionevole (Toby Wallace), appena giunti alle Galapagos, per sfuggire al nazismo e seguaci delle idee di Fredrich Ritter. L’ambiente ostile ed il trattamento loro riservato, almeno inizialmente, da parte di Fredrich (Jude Law) e Dora (Vanessa Kirby) smonteranno, sulle prime, gli entusiasmi di una nuova avventura. A complicare ulteriormente le cose sarà l’arrivo della baronessa Eloise (Ana De Armas), avventuriera priva di qualsivoglia scrupolo morale. Le diverse motivazioni dei personaggi: l’idealismo di Ritter e moglie, l’esigenze da sopravvivenza della famiglia Wittmer e gli obiettivi della baronessa (costruire un lussuoso albergo per ricchi) creeranno un’inevitabile miscela esplosiva. In apparenza quindi, un film di avventure con un climax che va crescendo fino alla violenza tout court?  Non direi o meglio non solo. Ron Howard, regista di interessanti pellicole e, cito a caso A Beautiful Mind, Apollo 13, Frost/Nixon, riflette piuttosto sui conflitti umani, la convivenza forzata, il ruolo della donna, la profondità stessa dell’esistenza, l’utopia, come ispirazione ideale, quasi sempre irrealizzabile o irrealizzata. Il rifiuto della scienza e della politica, la libertà creativa e sessuale, il vegetarianesimo, ma anche la voglia di lasciare tracce della propria esistenza, il desiderio del potere della mente, questo ed altro ancora avevano spinto nel 1929 Fredrich Ritter a recarsi a Floreana, da cui inviava periodici aggiornamenti alla stampa europea. Il personaggio, realmente esistito e tutta la storia, si basa su testimonianze dei sopravvissuti agli eventi raccontati nel film. La narrazione, senza essere un thriller in senso stretto, alterna tensione a pause che consentono al regista riflessioni sulle condizioni della vita di allora come di oggi. I personaggi sono ben delineati, assolutamente convincenti nei rispettivi ruoli, in virtù di un cast di altissimo livello. Jude Law offre un ritratto sfaccettato dell’idealista frustrato, Vanessa Kirby è una moglie dalla fede incrollabile, la Sweeney e Bruhl, misurati e coerenti piccolo borghesi, ma, direi che su tutti primeggia per bellezza, carisma ed eclettismo, Ana De Armas, la spumeggiante e controversa baronessa. Un po’ per i personaggi, un po’ per le atmosfere, il film mi ha ricordato due pellicole, il Fitzcarraldo di Herzog e il più recente, Capri Revolution del nostro Martone. In entrambi c’era l’utopia, e la riflessione filosofica sulla vita e le relazioni umane quando vengono private delle convenzioni sociali. Nel complesso una singolare ed intensa esperienza cinematografica, certo non un intrattenimento leggero, ma un percorso ricco di domande anche scomode, per una rievocazione che riesce a cogliere tanto la bellezza aspra dei luoghi quanto la ricchezza degli stati d’animo degli individui. Ovviamente, la fotografia di Mathias Herndl è parte integrante, nonché valore aggiunto, nell’immersione suggestiva cui ci si sottopone in oltre due ore di proiezione.

data di pubblicazione:18/04/2025


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1 commento

  1. Ho trovato tutto sopra le righe: come rendere poco credibile una storia vera!

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