DANCER IN THE DARK di Lars von Trier, 2000/2025

(Foto privata della locandina)

Per la nuova edizione di Cinema in festa, il Rouge et Noir di Palermo ripropone il musical Dancer in the Dark, proiezione in lingua originale di una versione restaurata del film, già vincitore a Cannes nell’anno 2000. È la storia di Selma, immigrata cecoslovacca negli Stati Uniti, condannata alla cecità per una malattia degenerativa, la stessa che è stata trasmessa geneticamente al figlio Gene. Unica via d’uscita, per salvare almeno lui dal “buio”, un’operazione molto costosa, per la quale la donna risparmia lavorando “a tentoni” e senza sosta in fabbrica. Quando la somma racimolata – lasciapassare per la luce – le viene sottratta dal padrone di casa senza scrupoli, la situazione precipita. Così lei, accusata di omicidio e sottoposta a giudizio, sarà condannata al braccio della morte e ad una prolungata agonia.

I temi affrontati in questo film, l’emarginazione e l’handicap – tanto quello fisico, del singolo, quanto quello dell’intero sistema – sono tra i più dolorosi, e tra i più duri da trattare. È il sogno americano tramutato in incubo. Dove la povertà, la disabilità (Selma immigrata ceca quasi cieca) e la colpa o colpevolezza vanno di pari passo, ma in una contrapposizione ideologica connotata anche geograficamente (Selma donna dell’est nel paese dei colonizzatori).

La sceneggiatura, tuttavia, si colora di interpretazioni candidamente poetiche (quella di Björk nelle vesti della protagonista, innanzitutto, ma Catherine Deneuve in versione teneramente materna, o Peter Stormare nel ruolo di Jeff, l’innamorato fedelissimo, non sono da meno). Così come di canti e danze tra l’ironico e il visionario (di punto in bianco tutti si mettono a ballare e a cantare!), concentrati di inquietudini escapiste che diluiscono il pathos nei momenti cruciali.

Ciascun rumore o ticchettio, gli stessi suoni dei macchinari nella fabbrica diventano musica. Ciascuna mossa un passo di danza. Lo stesso ricorrere dei numeri, nel corso della narrazione, sembra “dare il tempo”, come seguendo una partitura (citati più volte i 2056 dollari e 10 centesimi messi insieme a fatica; scanditi da più voci, nel finale, i 107 passi verso il patibolo).

Per di più, da quell’unica macchina da presa a mano dei momenti più cupi o iperrealistici si passa a una moltitudine di videocamere in grado di dilatare lo spazio, proprio quando il musical prende campo. Punti di vista molteplici che sono altrettanti occhi dati in prestito a chi non può più vedere. Ma cosa c’è da vedere? canterà Selma, di fronte ad un Jeff improvvisamente turbato e incredulo, nella scena del binario (“tu non vedi!”). Ed è come se lo chiedesse a ciascuno di noi, noi spettatori. Cosa c’è da vedere? Non le cascate del Niagara, non la Tour Eiffel né la Grande Muraglia cinese. Non le sette meraviglie del mondo, niente di tutto questo. Se volete vedere l’innocenza mortificata e punita, se volete guardare in faccia la giustizia mentre si prostituisce per denaro, drogata di pregiudizio. Se volete vedere la pietà, anche, qui nell’amica Kathy/Cvalda e persino nella carceriera compassionevole. Se volete vedere l’amore di un uomo, pronto al sacrificio per lei, la donna amata, per non lasciarla sola nel momento estremo. Questo è il film da guardare, con cuore e coraggio. E senza troppa paura.

data di pubblicazione:12/06/2025


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1 commento

  1. Complimenti per la recensione approfondita e sensibile . Grazie Daniela

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