con Valeria Mafera, Gloria Luce Chinellato, Alessandra Vagnoli, Manfredi Gelmetti e Paolo Andreotti
(Teatro Tordinona – Roma, 15 aprile 2025)
Esattamente ottanta anni fa, il 15 aprile, l’esercito delle forze alleate entrava nel campo di prigionia di Bergen-Belsen. Marta Ascoli veniva finalmente liberata dalla prigionia, insieme ad altre 60mila persone, vittime della follia nazista. Il racconto della deportazione e detenzione è scritto con parole essenziali ma potenti nel suo libro-testimonianza, Auschwitz è di tutti. Angelita Puliafito ne ha tratto nel 2014 lo spettacolo Così per caso e da allora non è passato un anno senza che sia andato in scena, soprattutto nelle scuole.
Ci sono voluti decenni prima che Marta Ascoli trovasse la forza di mettere per iscritto la storia della sua deportazione. Auschwitz è di tutti esce la prima volta nel 1998 (con Rizzoli è giunto alla seconda ristampa). La testimonianza è breve, detta con parole asciutte. Eppure spaventosa e terribile. Quello che è successo a lei e ad altri milioni di persone va ricordato perché nessuno dimentichi o, peggio ancora, nutra dei dubbi che sia realmente accaduto. Angelita Puliafito ha raccolto la testimonianza di Marta Ascoli e ne ha messo a punto la drammaturgia che affida a un gruppo di attori sinceramente commossi. Così per caso porta avanti la memoria della Shoah attraverso le parole di una dei sopravvissuti.
Trieste 1944. Le giornate tra Ida (Alessandra Vagnoli) e la giovane Marta (Gloria Luce Chinellato), madre e figlia, si svolgono tra i compiti di scuola e le faccende domestiche. Attendono che il padre e marito Giacomo (Manfredi Gelmetti) faccia ritorno a casa dal lavoro. Intanto, le notizie riferiscono di ebrei perseguitati. L’istinto è quello di pensare alla sicurezza della propria vita. Ma di lì a breve verranno catapultati a forza nella storia. La loro è una famiglia mista: il padre ebreo, la madre cattolica. L’ordinarietà delle cose viene improvvisamente interrotta. La sera del 19 marzo di quell’anno la famiglia viene arrestata e condotta nello Stammlager (in tedesco il campo dei prigionieri di guerra) della Risiera di San Sabba. Da qui transitarono migliaia di persone dirette poi a Buchenwald, Dachau. E naturalmente ad Auschwitz, dove venne deportata Marta insieme al papà Giacomo, che qui vi trovò la morte.
Sul forte contrasto tra la tranquillità del soggiorno di casa Ascoli e la tragedia del lager di Auschwitz si svolge il lavoro di messa in scena della Puliafito. I due ambienti sono mostrati in simultanea. Tutto accade in un eterno presente di luoghi e personaggi. La Marta adulta (Valeria Mafera) testimonia oltre il tempo con la sé da giovane. Appaiono insieme a tutti gli altri personaggi, congelati sul palco come fotografie o ricordi. Ognuno di loro è oggetto di un’indagine introspettiva da parte dell’autrice, che ne fa risaltare con profondo lirismo la solitudine e l’abbandono. La forma del monologo è preferita rispetto al dialogo, che appare solo all’inizio prima che la tragedia accada. Anche l’ufficiale delle SS (Paolo Andreotti) sarà colto nell’isolamento del suo delirio ariano.
Marta prigioniera prende coscienza dell’orrore. La ragazza si convince che per sbaglio è finita nel lager. Ed è per caso, poi, che si è salvata. Nel dicembre del ’44 viene trasferita al campo di Bergen-Belsen (lo stesso in cui trovò la morte Anna Frank). Un luogo dove i prigionieri venivano ammassati ad attendere la morte. Il 15 aprile del 1945 il campo veniva liberato e per Marta comincia la marcia di ritorno verso casa. È un periodo pieno di incubi. La forza di volontà, la fiducia negli esseri umani e l’ottimismo sono scomparsi.
La Marta adulta conduce ora una vita normale. Ha imparato a memoria in tedesco il numero tatuato sul braccio. Lo mostra senza imbarazzo perché a provare vergogna devono essere i suoi aguzzini, chi le ha causato tutto quel male, non lei. Su tutto una riflessione: pensi che le cose stiano accadendo altrove, lontano. Così per caso, invece, sono più vicine e possibili di quanto non si creda.
data di pubblicazione:03/05/2025
Il nostro voto:
Bellissima recensione. Ho visto più volte questo spettacolo e devo dire che confermo appieno la bellezza dello stesso e la valanga di emozioni che Lei ha descritto