IL FIGLIO di Florian Zeller, con Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Marta Gastini, Giulio Pranno, Riccardo Floris, Manuel De Martino, traduzione e regia di Piero Maccarinelli

IL FIGLIO di Florian Zeller, con Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Marta Gastini, Giulio Pranno, Riccardo Floris, Manuel De Martino, traduzione e regia di Piero Maccarinelli

(Teatro Il Parioli – Roma, 25 gennaio/5 febbraio 2023)

Teatro di sentimenti, di parole e di drammi. Zeller è specializzato sui temi della famiglia e si è felicemente trapiantato al cinema, germogliando una trilogia di successo. In scena si piange molto (troppo?) e si spara anche.

Incomprensioni universali che non hanno nazioni né continenti. Un figlio al centro del problema. E se il teatro è conflitto e contraddizioni qui le divaricazioni sono stringenti. La vita di un ragazzo liceale sembra interrotta da una brusca sutura: non va più a scuola, è apatico, si aggira tra il letto e qualche passeggiata, disdegnando l’aiuto dei genitori ed eventuali compagnie femminili. Né serve il trapianto dalla casa della madre separata al nido paterno ricco di nuova compagna e di un secondo figlio, fratellastro dell’adolescente. La situazione infatti non migliora fino a un tentativo di suicidio che lo conduce, dopo il salvataggio, a un tentativo di recupero psichiatrico. E nel racconto ci fermiamo qui per non spoilerare un finale piuttosto inatteso ma sempre su registri altamente drammatici. Lo spettacolo già sembra rodato con il buon affiatamento tra gli attori e una scena che divide in due gli ambienti familiari fino a configurarli nel ricovero ospedaliero. Efficace la divisione iniziale in quadri separati per ognuno dei quali inizialmente il pubblico spende un generoso applauso per Bocci e Ranzi interpreti ideali, ma la curiosità maggiore era rivolta a Giulio Pranno che, alla prese con una parte difficile, se la cava magnificamente, figurando come un soggetto di almeno sette anni più giovane. E chissà quante famiglie si riconosceranno nei quadretti familiari assemblati da Maccarinelli per l’ovvio tutto esaurito della prima con un parterre de roi in cui spiccava la presenza dell’ex Ministro dei Beni Culturali Franceschini.

data di pubblicazione:26/01/2023


Il nostro voto:

SONO LILLO – SERIE TV PRIME VIDEO, 2023

SONO LILLO – SERIE TV PRIME VIDEO, 2023

La serie con protagonista Lillo Petrolo porta alla scoperta dell’uomo dietro la maschera del super eroe Posaman, dopo lo straordinario successo avuto in LOL, disponibile sempre su Prime Video nella prima stagione, e di qui a poco anche nella seconda; 8 episodi (disponibili dal 5 gennaio), in una sorta di spin off inaspettato.

La serie offre uno sguardo da vicino sulla vita di Lillo, che vive un infinito conflitto interiore col suo alter ego Posaman, un supereroe il cui potere consiste nel mettere in scena solo sei pose più o meno elastiche. Attorno a questo gioco sul doppio, si muove tutto quel mondo della comicità, tra l’altro cambiata nel corso degli ultimi anni, grazie all’avvento di nuova linfa. In una miscela di realtà e di finzione, si mette in scena l’immortale dicotomia tra persona e personaggio; questo aspetto è molto interessante perché il pubblico si trova davanti a una serie ben diversa da quella aspettata, basata magari su una serie di tormentoni che lasciano il tempo che trovano.

Accanto a sé chiama poi alcuni altri grandi nomi della comicità italiana, da Pietro Sermonti a Paolo Calabresi, da Marco Marzocca a Valerio Lundini, Emanuela Fanelli, Maccio Capatonda, Corrado e Caterina Guzzanti, una squadra a dir poco straordinaria.

Se in LOL faceva ridere (e tanto), qui Posaman trascende: un’intera serie su di lui, intitolata autoironicamente e autoreferenzialmente Sono Lillo, ricca e originale, scritta bene e con un’enorme attenzione nella definizione degli sviluppi tra personaggi. Il richiamo a Boris e alla sua critica neanche troppo velata al mondo delle soap in TV è palese, e tra citazioni alte e basse (si va dalla suoneria del telefono che richiama l’eliminazione in LOL al pluripremiato Birdman) risulta quasi un capolavoro, con dentro un’infinita voglia di giocare, che traspare anche nei ‘bloopers’ finali.

Sono Lillo funziona perché fa ridere della vita stessa, delle stramberie a cui andiamo incontro nella quotidianità, di quelle piccole e grandi contraddizioni che colpiscono l’essere umano; è in grado di intrattenere in parecchi momenti, e anche se qualche momento risulta prevedibile, alla fine il lato comico e a tratti caciarone della serie finisce per prevalere.

data di pubblicazione:25/01/2023

LO SPETTACOLO DELLE _, scritto e diretto da Marica Roberto, con Rosario D’Aniello e Alessandro Mannini, assistente alla regia Sabrina Marchetti

LO SPETTACOLO DELLE _, scritto e diretto da Marica Roberto, con Rosario D’Aniello e Alessandro Mannini, assistente alla regia Sabrina Marchetti

(Teatro in Trastevere – Roma, 24/29 febbraio 2023)

Un titolo aperto per uno spettacolo breve che ha molti labirinti, possibilità di equivoci, trabocchetti ma si apre a una lettura polifonica. Scena stimolante con classico schema duale. Rovesciamento e gioco delle parti invertito in corsa d’opera.

La Roberto ha ideato una grande multiforme metafora dell’esistenza attraverso il rapporto dialettico tra due attori che performano con convinzione ed aggressività. Il più remissivo prende l’iniziativa nella seconda parte e rovescia la dipendenza e il senso d’inferiorità. E sono virtuali anche gli spari che simulano il peso della condizione umana e del carico del mondo. C’è un mondo reale dietro la metafora, forse la crisi dell’occidente, un universo di migranti che si rovesciano sulle spiagge. E in cornice l’individualismo, la voglia di imporsi, di farsi ubbidire, di non deflettere. Un esperimento coraggioso in una sorta di apologo molto dialettico e contraddittorio, come è il teatro nella sua vera essenza. Un’efficace supporto video alimenta fascino alla messinscena. Un rutilante mondo in cambiamento alimenta il tempo sospeso e irreale di un’atmosfera metafisica. Anche il titolo rimanda allo standby, alla messa tra parentesi, all’anelito a una condizione umana diversa, necessariamente migliore. Gli attori generosamente non si risparmiano. Le voci assecondano i corpi e omogeneamente i movimenti scenici, essenziali ma anche abbondanti. Esprimono visioni, cecità, spirito di negazione. Le loro parole spesso cadono nel vuoto o nel contrasto con il partner e, come osserva l’autrice, sono immerse “in un loop drammatico, dalle tinte estreme, dove le voci irridono o violentano”. La tensione verso il meglio indica una speranza e una possibilità che la realtà, fuori dalle quinte teatrali dovrebbe assecondare. Con un grande condizionale conclusivo. Il “forse” della Roberto.

data di pubblicazione:25/01/2023


Il nostro voto:

THE PLANE di Jean-François Richet, 2023

THE PLANE di Jean-François Richet, 2023

Brodie Torrance è il comandante di un volo in rotta tra Singapore e il Giappone. L’aereo improvvisamente viene colpito da una violenta tempesta e il pilota è costretto a tentare un atterraggio di fortuna su una sperduta isola delle Filippine. Tra i superstiti, quasi tutti miracolosamente illesi, c’è anche un pericoloso pregiudicato ex Marine, ammanettato e scortato per essere consegnato all’FBI, che si rivelerà strategico quando i passeggeri e l’equipaggio verranno catturati e tenuti in ostaggio da uno gruppo di guerriglieri che occupano il territorio.

  

Jean-François Richet è un regista e sceneggiatore francese molto apprezzato per aver diretto diversi film d’azione e tra questi L’ora della fuga, con Vincent Cassel come protagonista, per il quale nel 2009 ottenne il prestigioso premio César per la regia. Il suo ultimo lavoro The Plane, action movie super adrenalinico, si inserisce pertanto bene in questo suo genere e riesce perfettamente a interessare e a coinvolgere emotivamente lo spettatore sin dai primi minuti di proiezione. Certo la sceneggiatura, curata da Charles Cumming e J.P. Davis, non brilla di particolare originalità, avendo già visto tanti film su disastri aerei e incredibili salvataggi di fortuna, ma in questo caso la storia risulta ben confezionata, asciutta e senza lungaggini che avrebbero sicuramente allentato la tensione a scapito della riuscita tutto sommato buona. Questa sicuramente dovuta anche alla presenza di un attore di tutto rispetto come Gerard Butler, già sperimentato in diversi ruoli d’azione, che interpreta esattamente la parte del capitano dell’aereo, sotto la cui responsabilità dipende l’incolumità dei suoi passeggeri, non soltanto per tirarli fuori dalla tempesta che colpisce l’aereo, quanto poi per sottrarli dalle mani di un gruppo di spietati e sanguinari ribelli. Co-protagonista in questa rocambolesca impresa è Mike Colter nei panni di Gaspare, tra i passeggeri ma ammanettato, pronto per essere consegnato alle autorità americane per alcuni crimini che ha commesso ma non è dato sapere. L’attore statunitense, con il suo fisico palestrato, è sicuramente adatto al ruolo di un ex Marine pronto a andare con la mano pesante contro i guerriglieri dell’isola, senza scrupoli e esitazione nella lotta proprio come il supereroe Luke Cage, dell’omonima serie televisiva, di cui dal 2016 ne è stato l’apprezzato protagonista. The Plane è un film che intrattiene bene lo spettatore, calibrato al punto giusto grazie alla regia di Richet, e che riesce anche a infondere quella giusta dose di suspense, senza eccedere nei toni in un plot forse improbabile ma sicuramente avvincente. Distribuito da Lucky Red e Universal Pictures International Italy, è proprio da consigliare agli amanti del genere action.

data di pubblicazione:25/01/2023


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AFTERSUN di Charlotte Wells, 2023

AFTERSUN di Charlotte Wells, 2023

Sophie e il padre Callum stanno trascorrendo insieme una vacanza in una località balneare della Turchia. La vita dentro il villaggio turistico, le nuove conoscenze, il primo bacio: dopo anni, la ragazza rivive quei meravigliosi momenti attraverso dei filmini che lei stessa aveva girato in quei giorni. In quelle immagini che scorrono, il passato diventa presente con la nostalgia di qualcosa che forse non potrà più ripetersi, le situazioni cambiano con il rimpianto di non poterle più riproporre come si vorrebbe…

  

Charlotte Wells, sceneggiatrice e regista scozzese, si presenta sulla scena cinematografica internazionale con il suo film di esordio Aftersun che ha già guadagnato diversi consensi, e non solo da parte del pubblico. Il successo è sicuramente dovuto all’originalità della narrazione dal momento che viene presentata una storia che riguarda in effetti un qualcosa apparentemente già archiviato nella mente della giovane protagonista, senza peraltro fornire contezza di capire a volo cosa sia potuto succedere prima e dopo quel preciso momento. Sophie (Frankie Corio) è una bambina molto intelligente di appena undici anni che sta trascorrendo con il padre una breve vacanza estiva al mare. Tutto ciò che riguarda i fatti antecedenti e successivi è appena tratteggiato da alcune immagini molto frammentarie che volutamente lasciano allo spettatore il rompicapo di risistemare i vari tasselli del puzzle. C’è sicuramente una separazione in corso tra la madre e il padre (Paul Mescal), appena trentenne, fortemente legato alla figlia sia pur in maniera non opprimente, cosa che permette ad entrambi di scambiarsi le prime confidenze anche nel campo delicato dei sentimenti. Oggi Sophie è accanto a un’altra ragazza, presumibilmente la sua compagna, e si sente un neonato piangere, forse suo figlio. Questi piccoli flash non danno molti indizi, tutto rimane fuori dal contesto, ciò che importa è tutto concentrato in quei giorni di vacanza che erano la base indimenticabile di un rapporto padre-figlia verosimilmente genuino. Quello che la regista mette in luce, e lo fa veramente con grande professionalità, è il fluire di quei giorni, come sospesi tra due momenti, il prima e il dopo, carichi di dolore, forse per qualcosa di non realizzato, di non vissuto, di non compreso. Ecco dove sta la singolarità di questo film: una storia semplice ma raccontata in maniera discontinua, senza una normale sequenza temporale che possa agevolare la comprensione degli eventi. Ma proprio questa voluta reticenza è la chiave per provare a comprendere qualcosa che sfugge, quel sentimento così presente in quei giorni e che oggi la protagonista non ritrova più. Un film che va visto per scoprire, tra le pieghe del racconto, qualcosa che non risulta per niente facile da raccontare.

data di pubblicazione:24/01/2023


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IO VIVO ALTROVE! di Giuseppe Battiston, 2023

IO VIVO ALTROVE! di Giuseppe Battiston, 2023

Un ipotetico film di Natale, uscito però sotto Carnevale, mutato da Bouvard e Pécuchet, romanzo incompiuto di Faubert. E alla fine incompiuto è anche il film che rimane a mezza strada tra la favola contadina e un proposito didattico buonista troppo esplicito. Regia acerba di Battiston e dialoghi spesso impalpabili.

 

Anche un film onesto nei propositi e nelle tesi può deludere se non è assistito da un solido impianto di sceneggiatura. E così da spettatori sembra un po’ la sagra del già visto (recentemente Astolfo) con il trapianto di due amici molto diversi che, per un caso fortuito (troppo fortuito?) si riciclano in una casa di campagna, rifiutando le metropoli, con il sogno troppo miraggio di costruirsi il fabbisogno per vivere grazie ai terreni ereditati dalla nonna di uno dei due. E nel Friuli ostico si scontreranno con l’irsuta popolazione locale, scoprendo quanto è amaro il pane che uno deve cuocere da solo nell’inventato paesetto di Valvana. E se uno troverà l’amore questo sarà anche la causa dell’incendio che distruggerà il fienile. Peripezie assortite in cui prevale sempre la legge di Murphy. Cioè quello che potrebbe andare male andrà peggio…L’accoppiata Battistom-Ravello, una strana coppia poco assortita, funziona fino a un certo punto per la prevedibilità del plot in cui fine esplicito è quasi dichiarato fino dalla prima scena. Apprezzabili certi bozzetti campestri con personaggi di durezza quasi ritagliata dal legno. Però il tutto ricade negli stilemi di un cinema italiano senza guizzi e sorprese. C’è molta Slovenia e anche un po’ di Tuscia nel decorativo country. Lo si assolve con minore fatica se si ripensa a Flaubert e al tentativo all’italiana di ripercorrerne le orme narrative anche se le aspettative non si traducono in realtà filmica.

data di pubblicazione:24/01/2023


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TESTIMONE D’ACCUSA di Agatha Christie, regia di Geppy Gleijeses

TESTIMONE D’ACCUSA di Agatha Christie, regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 17/29 gennaio 2023)

Leonard Vole viene accusato dell’omicidio di Emily French, una ricca donna che era disposta a lasciargli la sua eredità. Sul banco dei testimoni compare a deporre contro di lui la moglie, Romaine Heilger. Sarà l’avvocato Sir Wilfrid Robarts a difenderlo, ma il caso è molto più complesso di quello che appare. In scena al Teatro Quirino di Roma il perfetto dramma giudiziario della ‘maestra del giallo’ Agatha Christie.

 

 

 

Non capita spesso nel panorama dei teatri italiani di veder rappresentati testi che altrimenti rimarrebbero a prendere polvere sugli scaffali delle nostre librerie. È un bene allora che ci siano registi come Geppy Gleijeses che hanno il coraggio di portare in scena grandi autori poco frequentati, come accadde l’anno scorso con Processo a Gesù di Diego Fabbri e quest’anno con Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution, 1953) di Agatha Christie. L’indiscussa “regina del giallo” ha avuto più fortuna per i romanzi che per i suoi lavori teatrali, tra cui però compaiono capolavori come quello in scena al Quirino in questi giorni e il ben più famoso Trappola per topi (The Mousetrap, 1952), entrambi adattati da due racconti. Ma il coraggio risiede anche nel proporre al pubblico uno spettacolo della durata di due ore senza intervallo – un tempo che non siamo quasi più abituati a concedere a un prodotto culturale – a cui è necessario prestare molta attenzione per apprezzarne il perfetto meccanismo dell’indagine e il realismo di un linguaggio accurato nella terminologia legale. Si apprezza in particolare la volontà del regista Geppy Gleijeses di rispettare il testo nella sua totalità, senza tagli o ammodernamenti – se si fa eccezione per l’aggiunta di alcune battute sul finale che riscattano la figura femminile di Romaine – per una messa in scena efficace e fedele. Prodotto dalla Gitiesse Artisti Riuniti in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto, Testimone d’accusa non può essere portato in scena senza tener conto dei dettagli sui costumi sociali in cui è ambientata l’opera. Il dramma è fortemente contestualizzato e Geppy Gleijeses, per nostra fortuna, lo rispetta.

Al centro dell’indagine c’è la figura di Leonard Vole che viene accusato di omicidio. È un personaggio in apparenza buono, semplicione, che cattura la nostra simpatia soprattutto per l’interpretazione di Giulio Grosso, che ne sottolinea con bravura eccezionale l’ingenuità. Una coppia di avvocati prende le sue difese. L’avvocato Mayhew (Antonio Tallura) e Sir Wilfrid Robarts, ruolo affidato a Geppy Gleijeses in sostituzione di Giorgio Ferrara, assente per una lieve indisposizione. Non compare quindi nessun Poirot o Miss Marple a investigare sui fatti, ma Sir Wilfrid ne è uno stretto parente. Non manca la pipa a caratterizzare il personaggio. Animato dal dubbio e da una sottile intelligenza, conduce la sua inchiesta prendendo a bersaglio la moglie di Leonard, la tedesca Romaine Heilger interpretata da Vanessa Gravina. Quest’ultimo personaggio è senza dubbio il più complesso di tutta la pièce e insieme quello più teatrale, per profondità psicologica e capacità di trasformazione. Vanessa Gravina dimostra di aver compreso a pieno le ragioni e il mistero che si celano dietro la sua Romaine. È un personaggio quasi pirandelliano per la forza che ha nel saper mascherare la verità che porta dentro, nonostante i pregiudizi della corte. È una donna, “Ma chi vuoi che creda a una moglie” dice Sir Wilfrid, e per di più straniera di un paese che era stato in guerra con l’Inghilterra fino a pochi anni prima. Il suo temperamento algido, privo di emozioni, in realtà nasconde una nobile motivazione che sarà il pubblico – presente in sala, ma anche scelto in piccolo numero ogni sera per essere presente sulla scena – a giudicare le sue azioni e a darle o meno l’assoluzione.

data di pubblicazione:22/01/2023


Il nostro voto:

INTERNO BERNHARD – Il riformatore del mondo, Minetti, ritratto di un artista da vecchio, con Glauco Mauri, regia di Andrea Baracco

INTERNO BERNHARD – Il riformatore del mondo, Minetti, ritratto di un artista da vecchio, con Glauco Mauri, regia di Andrea Baracco

(Teatro Argentina – Roma, 17/29 gennaio 2023)

Il crudo apocalittico sguardo distruttore di Bernhard filtrato dalla sensibilità della più anziana ma non doma coppia teatrale della scena. Pessimismo cosmico, strali sulla realtà. Irrecuperabile un senso logico della vita.

 

Glauco Mauri a 92 anni ha ancora la tensione di mettersi in gioco sul testo di uno dei drammaturghi più vicini alle sue corde. Con l’umiltà di debuttare ad Acquapendente per poi scendere a Roma. Mestiere ed esperienza non mancano nella scansione a due tempi, personalizzata a misura dei due soci. Sturno interpreta un riformatore che monologa in attesa di ricevere una laurea honoris causa contraddittoria che gli riconosce i meriti di una tesi che lui stesso nel contesto distrugge alla radice. Vistose ipocondrie e stalking nei confronti della moglie ridotta a poco più di una cameriera e inserviente. La cerimonia sarà preparata nei minimi particolari secondo il suo spirito programmatico ma il discorso radicale che accompagnerà la proclamazione sarà la negazione radicale di ogni possibile riconoscimento in un flusso delirante la cui logica invano si appiglia a Voltaire Pascal, Montaigne, i filosi citati. Né meno pessimistica è la scansione del secondo tempo a misura di un Mauri la cui energia scenica è ovviamente in calando. Lo sfogo è di un attore in declino, il mitico Minetti, che si riaffaccia al teatro dopo trenta anni rievocando antichi successi e catastrofiche cadute. Accanto a lui si affastellano fantasmi e solitudini a significare il suo tragico stato di isolamento che è un po’ la metafora del tentativo intellettuale di riuscire a decifrare la realtà. Inguaribili misantropi o spietati e realisti profeti di realtà? Certo, l’opera ha l’effetto di una doccia fredda sullo spettatore, una energica spruzzata di cinismo. Tra l’altro nel testo si discetta su una Roma ripugnante e su un orribile Svizzera, destando qualche sorrisino in platea.

data di pubblicazione:19/01/2023


Il nostro voto:

GRAZIE RAGAZZI di Riccardo Milani, 2023

GRAZIE RAGAZZI di Riccardo Milani, 2023

Di fronte alla mancanza di offerte di lavoro, Antonio (Antonio Albanese), attore appassionato ma spesso disoccupato, accetta un lavoro offertogli da un vecchio amico e collega, come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. All’inizio titubante, scopre del talento nell’improbabile compagnia di detenuti e questo riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro.

 

 

Tratta da un film francese di successo, Un anno con Godot (2020) di Emmanuel Courcol, la storia di Grazie ragazzi è ispirata ad un fatto realmente accaduto nel 1985 in Svezia, quando l’attore e regista svedese Jan Jönson decise di mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett con i detenuti del carcere di massima sicurezza di Kumla.

Riccardo Milani torna in sala con una commedia dai toni dolci e amorevoli, servendosi del suo affezionato e poliedrico Antonio Albanese, in un ruolo più emozionante e profondo che mai. La storia mette in evidenza il valore del teatro come luogo di libertà e di salvezza, soprattutto se fatto in un contesto sociale complicato come può essere il carcere. Il teatro è qui salvifico e nel film ci viene consegnato nel suo significato più vero ed essenziale, con la scelta azzeccatissima di paragonare l’attesa di Estragone e Vladimiro nella celeberrima opera di Beckett con quella dei detenuti del carcere di Velletri, nelle celle sempre in attesa dell’ora d’aria, delle visite dei parenti o amici, dei pasti o del momento in cui riassaporeranno ancora la libertà.

Il cast e la sceneggiatura (anche se non proprio originale) regalano al pubblico un’opera meritevole e schietta, sicura sul messaggio che vuole trasmettere.

Il testo e la canzone Liberi di volare, di Vasco Rossi, è un degno sottofondo finale che rende, in conclusione, Grazie ragazzi una bella parabola sulla vita, sul teatro e sulle sue verità.

Menzione speciale, come sempre, per Antonio Albanese, cui viene cucito addosso il ruolo dell’attore disoccupato con ancora qualcosa da comunicare; si ride, ci si commuove, ci si fa mille domande, per un’opera che, grazie al passaparola, riporterà al cinema il pubblico che merita.

data di pubblicazione:18/01/2023


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L’ANGELI RIBBELLI di e con Massimo Verdastro. Dai sonetti biblici di Giuseppe Gioachino Belli alla poesia di Trilussa, con la partecipazione di Giovanni Canale alle percussioni

L’ANGELI RIBBELLI di e con Massimo Verdastro. Dai sonetti biblici di Giuseppe Gioachino Belli alla poesia di Trilussa, con la partecipazione di Giovanni Canale alle percussioni

(Teatro Vascello di Roma, serata unica, 16 gennaio 2023)

Si fa presto a dire reading. Qui c’è qualcosa in più oltre alla memoria dei Verdastro: le percussioni creative di Canale, i movimenti di scena, la magica atmosfera di un teatro sempre gremito.

Spettacolo breve, intenso, tagliante ad alta tensione emotiva. La “ninna nanna” conclusiva, cara a Trilussa, che è quasi un anticipato bis, è la negazione del tema della guerra che risuona quanto mai attuale quando ci si avvia verso il triste anniversario del primo anno di conflitto ucraino. La dissacrante voce del Belli trova un microfono duttile in un set non occasionale. I palpiti del teatro non dormono mai, neanche il lunedì, quando c’è una voce forte e ispirata che rianima la memoria di un poeta che è vanto dell’Italia e non solo di Roma nell’universalità del suo messaggio spesso dissacrante, fieramente laico. Verdastro è rapito e rapisce non mancando di inserire una frecciata contro il malcapitato che, per un evidentemente insopprimibile bisogno, accende il telefonino nel climax della performance. Belli sul piano più alto della critica, Trilussa leggermente più in basso, ma comunque uniti e sinergici nel far ascendere il dialetto romanesco verso l’accezione di lingua vera e propria. Verdastro coadiuva le percussioni con leggeri passi di danza mostrando lo spessore della preparazione. C’è un carattere didattico oltre che artistico nell’esibizione che dovrebbe avere un valore anche per le scuole, travalicando il peso del linguaggio franco che qualche benestante definirebbe scurrile. Ma è un eccesso retorico che conferisce forza soprattutto quando vengono rivisitati con acutezza narrazioni bibliche come il sacrificio di Isacco. La poesia, la danza, la musica, la parola al centro del teatro senza che nessuna di queste prenda il sopravvento.

data di pubblicazione:17/01/2023


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