da Daniele Poto | Feb 6, 2023
(Teatro Porta Portese – Roma, 3/5 febbraio 2023)
Gioco a due per una coppia di attori compagni anche nella vita e dunque in perfetta sinergia. Un’ originale testo italiano che sembra mutato dalla nuiova scena inglese. Dramma e un pizzico di giallo per un finale a sorpresa.
Un’attrice che sulle prime sembra sprovveduta si presenta una sera a casa di un quotato autore teatrale, forse su suggerimento di un manager misterioso che compare solo al telefono. E’ in cerca di un copione per un proprio laboratorio teatrale, meglio se gratuito. Lo scrittore prima la irride e non la prende sul serio, poi si fa irretire e le concede un testo incompleto, appunto Il tempo supplementare. Nella trattativa tra i due si affaccia la proposta di concludere con un finale in collaborazione. Lo scrittore si sente offeso più che lusingato. Ma l’attrice che ha grande capacità seduttiva lo convince, lo strega, lo seduce, lo bacia e ci finisce a letto. Scenograficamente il salotto della discussione si trasforma nell’improvvisata alcova. Ma alla fine del rapporto lo scrittore minimizza, si sforza di credere che per lui sia stata solo un’avventura, al contrario della sua interlocutrice che fa sempre più sul serio. Lasciamo alla vostra immaginazione la conclusione. Diciamo solo che per l’ennesima volta la componente maschile non ne esce bene. E la metafora del suo flop è l’efficace e spettacolare sgonfiaggio della superficie su cui si è sdraiato il protagonista, tornata salotto. La Ciaramella manipola efficacemente la propria parte. Prima si palesa ingenua, poi novella Circe, quindi delusa, infine vendicatrice: recitazione per tutti i gusti con grande capacità di cambiare il registro. Il personaggio dello scrittore è sufficientemente sprezzante e scostante attingendo a un massimo di volgarità quando deve descriverla dopo aver consumato il rapporto sessuale, il veloce intrattenimento di una sera. Mini-dibattito alla fine per uno spettacolo riuscito.
data di pubblicazione:06/02/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Feb 4, 2023
(Altrove Teatro Studio – Roma, 3/5 febbraio 2023)
L’ironico personaggio di U è preda di domande e contraddizioni, scatenate da un mondo effimero nel quale siamo tutti immersi. In scena all’Altrove Teatro Studio (lo spazio artistico gestito da Ottavia Bianchi e Giorgio Latini) il testo vincitore del Primo premio di drammaturgia “Prosit!”, ideato per dare spazio a nuovi autori di prosa, che sappiano rappresentare la contemporaneità.
Il mondo che circonda U è effimero e inconsistente come la catasta di palloncini colorati ammonticchiati in un angolo della scena, belli da vedere ma in realtà pieni di nulla. Non a caso usiamo una metafora per fornire una prima immagine di questo spettacolo. Il testo ideato e scritto da Alessia Cristofanilli fa utilizzo del linguaggio figurato per trasportare immediatamente lo spettatore al cuore di una questione in cui ognuno di noi è coinvolto. Cosa spinge una persona a compiere anche il gesto più banale come quello di aprire la porta per uscire di casa? Ovvero cosa si cela dietro ogni decisione che prendiamo? Una volontà certa, libera oppure una costrizione che ci viene imposta dall’esterno, una trappola che qualcuno ci ha teso? Il mondo in cui viviamo è uno spaccio di certezze, basato sulla teoria che a un determinato stimolo corrisponda inesorabilmente un solo tipo di risposta. Ma non è così per il personaggio di U che, affetta da quello che lei chiama disturbo filosofico, si ferma a pensare e a farsi domande. Non si lascia cullare dalle consolanti risposte che la vuota proposta di una società consumista le propone. La pena che deve pagare però è l’inazione, la paralisi davanti alla possibilità di avere l’illusione di poter scegliere tra mille opportunità. Tutto questo la fa sentire come un cespo di lattuga finito per sbaglio nello scaffale dei cereali.
Obbligo o libertà di scelta? In questo contrasto risiede l’azione del dramma, che si riflette in ogni singolo elemento di cui si compone la messa in scena. Dalla scelta dell’attrice, Giulia Mombelli, ora seria ora lucidamente ironica, che sa esprimere comicità anche solo con i gesti dando il giusto spazio alle parole quanto ai silenzi. Contrasto nella scelta del costume, che oppone una blusa e un pantalone anonimi a un cappotto e a una sciarpa dai colori accesi. Fino a una danza emotiva e frenetica di luci, che ora si stringono a illuminare un particolare per poi allargarsi a mettere tutto in evidenza, come la merce in vendita nei centri commerciali. È uno spettacolo che funziona nella sua totalità, felice esempio di quanto possa essere proficuo un sapiente e calibrato lavoro di squadra.
data di pubblicazione:04/02/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 3, 2023
(Teatro Argot Studio – Roma, 2/5 febbraio 2023)
Una feroce discesa all’inferno introspettiva per attrice sola. L’Arvigo strabilia nel suo pezzo forte, trampolino di lancio di 13 anni fa. Un classico della drammaturgia contemporanea in un monologo senza pudore di 50 minuti.
La prima londinese di 22 anni fa. E non si può dimenticare che l’autrice, dopo aver scritto il testo in ospedale, si tolse la vita l’anno prima, quindi senza poter assistere al successo dell’innovativo tentativo di teatralizzazione di un dolore immenso. Dunque il delirio in scena è fuori dai canoni teatrali, recitato come un non più rinviabile addio al mondo, un censimento delle delusioni, dei sentimenti riposti nelle persone sbagliate, un tragico redde rationem condito di parolacce, pensieri osceni e segreti. Un respingimento esistenziale che l’interprete ci fa vivere stimolando l’intelligenza emotivo dello spettatore che non può compartecipare al senso finale del resoconto ma può assistere con ammirazione a questo intenso flusso di coscienza, recitato con una scena spoglia ed essenziale. Originariamente c’erano margini di dialogo che sono stati espunti da questa versione italiana. L’Arvigo punta alto e alla fine appare sinceramente emozionata per il ritorno da dove in fondo era partita nell’intimità della piccola sala romana, gremita come al solito da giovani. C’è un lirismo di fondo nel testo non sopito ma che va decodificato. Quadri di una scena spezzata. C’è forte pathos ma anche epos. Il suo corpo ci parla e non mente. Cammina sui pezzi di vetro, incurante delle ferite del corpo che sono minime rispetto a quelle dell’anima. Una grande prova di attrice solista, frutto maturo della sua sensibilità a misura di Kane, l’autrice suicida. Teatro che parla di vita e che non ricorre a artifici di alcun genere nella sua scabra rudezza.
data di pubblicazione:03/02/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Feb 3, 2023
Hollywood alla fine degli anni ’20 è già la capitale mondiale dell’industria cinematografica. L’età d’oro del cinema, la settima arte come viene definito, sta per iniziare con la nascita del sonoro. I divi del muto spesso sono costretti a capitolare perché ora inadatti a recitare. Coloro che erano ritenuti delle vere e proprie star non sono altro che fugaci comete che brillano nel cielo per poco tempo per spegnersi poi rapidamente nel buio totale e nell’oblio.
Damien Chazelle, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, ha raggiunto la notorietà mondiale per aver diretto nel 2016 La La Land, pellicola musicale che si è aggiudicata due Golden Globe, un British Academy Film Awards e l’Oscar al miglior regista, il più giovane nella storia a vincere la statuetta. Babylon è supportato da un budget colossale non solo per far fronte al cast, ma soprattutto per l’impiego di centinaia di mezzi e comparse con una sequenza di scene che si susseguono senza soluzione di continuità per le tre ore di proiezione. La trama è ridondante per la presenza di diversi intrecci in cui i vari protagonisti saltano da un set all’altro, una ammucchiata di situazioni incredibilmente sensazionali non esenti da scene al limite del pornografico e dell’horror. Il film seppur così lungo non annoia ma ci coinvolge emotivamente, e ci fa avvicinare al mondo della Hollywood di quegli anni quando, tra gli addetti ai lavori, tutto era concesso pur di fare emergere un divo piuttosto che un altro, in una sorta di lotta senza esclusione di colpi pur di ottenere una parte in un film e raggiungere così celebrità e ricchezza. Il quadro che ne emerge è molto significativo: vite e relative carriere bruciate sul nascere proprio in quella fase rivoluzionaria del cinema quando dal muto si passò quasi per caso al sonoro. Tra i principali personaggi abbiamo l’immigrato messicano Manuel (Diego Calva) disposto a tutto pur di entrare nel perverso meccanismo come produttore esecutivo; Nellie LaRoy (Margot Robbie) sfacciata e ambiziosa, divenuta subito una star per poi sparire nel nulla, tra droga e gangster; Jack Conrad (Brad Pitt) divo indiscusso del muto, celebre per poi essere stato completamente dimenticato; Sidney Palmer (Jovan Adepo) trombettista jazz negro al centro di una inaspettata popolarità. Attorno a loro, decine di altri personaggi che si alternano con un ritmo incalzante che non lascia tregua. Una babilonia che può interessare in maniera strepitosa o che può infastidire. Premiato Justin Hurwitz al Golden Globe per la miglior colonna sonora originale, il film ha ottenuto tre nomination agli Oscar oltre che per la miglior colonna sonora, anche per la miglior scenografia e migliori costumi. Una regia molto impegnativa quella di Chazelle che tuttavia ha lasciato perplessi molti critici che hanno ritenuto il film troppo confusionario e discontinuo, ma che non negano la grandiosità delle scene e la bravura degli attori.
data di pubblicazione:03/02/2023
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da Salvatore Cusimano | Feb 3, 2023
Call My Agent – Italia, ovvero la versione italiana della serie francese Dix pour cent, racconta di un’agenzia di attori e registi (ma rappresentano anche musicisti, personaggi televisivi e così via), in cui i protagonisti sono le persone che lavorano lì dentro, principalmente 4 agenti e una nuova arrivata, in una sorta di dietro le quinte del mondo del cinema e della televisione.
La prima stagione, composta da 6 episodi di 50 minuti circa, è caratterizzata dal fatto di ospitare in ogni puntata un famoso attore nei panni di sé stesso; in essa si mischiano una serie di momenti di “vita d’ufficio” tra l’ironico e il comico, ad altri momenti con un clima di terrore da Diavolo veste Prada, richiamando spesso le atmosfere paradossali di Boris, che è il suo più diretto punto di riferimento.
Call My Agent – Italia sfrutta la fama delle sue star esagerandone i contorni in modo parodico. Si prestano a questo gioco interpreti e registi notoriamente autoironici come Paolo Sorrentino, che gioca sul suo essere sornione e autoriale (ormai postate e ripostate nei social frasi cult del suo monologo sugli ‘incontri a scuola genitori-figli, la cosa più prossima alla morte’), Paola Cortellesi, che intepreta l’attrice secchiona, Pierfrancesco Favino, a cui viene data la possibilità di misurarsi con due imitazioni, Stefano Accorsi concentrato e ironico sulla sua iperatttività, Matilda De Angelis auto avvoltasi nel mondo dei social e, ‘dulcis in fundo’, Corrado Guzzanti, semplicemente unico nella sua ironia e comicità, accompagnato da Emanuela Fanelli, unica a non interpretare sé stessa, ma spassosa in egual misura.
Al di là della trama del singolo episodio, a funzionare è l’approccio di queste guest star, che stanno al gioco e palesemente si divertono. Esemplare, come accennato, l’episodio con Accorsi; la quantità, poi, di film finti, serie inventate, progetti ipotizzati e trame create ad arte dalla serie sono esilaranti e fanno la parodia perfetta di molte produzioni italiane.
La scrittura, quindi, risulta veloce, con battute fulminanti e con un cast perfetto. Un piccolo post scriptum, con gli occhi umidi: negli uffici della CMA sono appese decine di locandine di capolavori del cinema italiano, tra cui viene inserito anche il poster di Figli…Mattia Torre si sarebbe fatto tante risate. E avrebbe avuto voglia di farsi prendere in giro pure lui.
data di pubblicazione:03/02/2023
da Antonio Iraci | Feb 1, 2023
Teatro Sala Umberto – Roma, 31 gennaio/12 febbraio 2023)
In scena il dramma psicologico di Stanley: un pianista senza pianoforte con un passato ambiguo e un presente quanto mai problematico. In questa pièce Pintor riesce a concentrare la sua visione della vita e, sia pur giovanissimo, mostra di aver già capito appieno il senso scomposto dell’esistenza umana.
Peter Stein, con la sua impeccabile e collaudata regia, riesce a centrare interamente la drammaturgia di Pinter tutta rivolta a porre l’uomo nudo davanti alla propria essenza. Il suo teatro, sicuramente influenzato da Beckett, si presenta così, senza fronzoli o costruiti orpelli, e non necessita di essere capito, ma basta percepirlo per intuire quello che c’è di falso e ambiguo nella vita di ognuno di noi. Ecco che al protagonista poco importa di ricordare del suo passato: ciò che conta adesso è vivacchiare all’interno della casa/pensione di Meg e Petey, isolato e poco incline a incontrare gli altri che lo possano forzare a condurlo alla normalità. La sua oppressione interiore è abilmente camuffata dall’illusione di una apparente tranquillità fino a quando due ospiti non metteranno in crisi la sua stessa esistenza, proprio nel giorno del suo compleanno, vero o presunto che sia. I personaggi, ciascuno per la propria parte, si muovono sulla scena con atteggiamenti quanto mai innaturali, eccessivi in ogni tratto, proprio a confermare quanto di recitato e di represso ci sia in noi. Certamente al protagonista farà male ogni interferenza, percepita come negativa perché lo obbliga suo malgrado a fare i conti con qualcosa che si era voluto seppellire, un fantasma quanto mai inopportuno che sarebbe meglio allontanare per ritornare nel soffice nucleo protettivo che lui stesso si era faticosamente costruito. Per tutto questo Stein non ha bisogno di costruire una scena pesante, bastano pochi semplici arredamenti per rappresentare situazioni assurde con un cast da lui già sperimentato. Maddalena Crippa e Alessandro Averone, entrambi attori di grande talento, rappresentano egregiamente i due personaggi principali: la maliziosa Meg, dall’atteggiamento quasi materno e protettivo, e il trasandato Stanley, dagli scatti nervosi e incontrollati, quasi a dimostrare quanto di insensato domini l’umanità.
data di pubblicazione:1/02/2023
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da Antonio Iraci | Gen 30, 2023
Tre anni dopo l’inizio della prima guerra mondiale il diciassettenne Paul Bäumer, dopo aver ascoltato un discorso patriottico, si convince insieme a alcuni suoi compagni di scuola ad arruolarsi per difendere sul campo di battaglia l’onore della Germania. Mandati in trincea sul fronte occidentale, al nord della Francia, i giovani ben presto si accorgeranno che gli ideali che si erano immaginati saranno sconvolti dalla realtà: un corpo a corpo con il nemico che non lascia spazio al rimorso e neanche al rimpianto di aver sacrificato tutto per la difesa della patria, oramai pronta a firmare l’armistizio…
Il film, diretto dal regista e sceneggiatore tedesco Edward Berger, rappresenta il terzo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, considerato uno dei più importanti scrittori della letteratura europea contemporanea, dove senza reticenze si racconta come la gioventù di quel tempo fu sacrificata nella morsa della Grande Guerra. La regia di Berger non si risparmia nel presentare scene che costituiscono veri pugni sullo stomaco, soprattutto per gli spettatori non avvezzi a situazioni cruenti e intrise di crudeltà. Ma come si sa la guerra è guerra e certamente non c’è spazio, neanche in questo bellissimo film, per fare retorica a basso prezzo. Una realtà che riscontriamo ancora oggi in pieno conflitto tra Russia e Ucraina, dove mentre si accavallano i bei discorsi sul pacifismo e sulla necessità di fermare il conflitto, nel frattempo migliaia di giovani vengono mandati a morte sicura. Il giovane Paul, egregiamente interpretato dall’attore austriaco Felix Kammerer, qui al suo debutto, riesce senza alcun cedimento nella recitazione, a incarnare su di sé la figura centrale dell’intera storia. Pur vedendo sacrificare a uno a uno i suoi compagni, non esita mai a marciare verso il suo destino, agendo di conseguenza per salvare sé e la memoria di chi gli è caduto accanto, anche quando è costretto ad uccidere cinicamente un soldato nemico, giovanissimo e smarrito che si spegne tra le sue braccia in un gesto di enorme tenerezza. Quanto mai di attualità, il film mira a dimostrare quanto veleno ci sia nella propaganda di guerra e il disprezzo da parte dell’apparato militare per la vita dei suoi soldati, disprezzo che è solo frutto di una irrefrenabile follia per il potere. Ottimo il montaggio di Sven Budelmann che riesce bene a contrapporre le scene dei corpi dilaniati e sepolti nel fango della campagna francese, con quelle dei salotti vellutati dove i generali e i burocrati mettono in mostra la loro stupida sconsideratezza. Un film sicuramente che va visto, soprattutto dai giovani, per imparare a capire gli orrori della guerra e da considerare come una spinta a rivedere più obiettivamente la storia di questi giorni. Niente di nuovo sul fronte occidentale rappresenterà la Germania agli Oscar di quest’anno e per tale competizione ha già ricevuto 9 nomination, tra queste come miglior film, oltre a 14 candidature a BAFTA e una al Golden Globe.
data di pubblicazione:30/01/2023
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da Paolo Talone | Gen 29, 2023
(Teatro Cometa Off – Roma, 24/29 gennaio 2023)
Torna al Cometa Off di Testaccio L’amico ritrovato, adattamento teatrale del romanzo breve di Fred Uhlman, per la regia di Alessandro Sena. Il racconto dell’amicizia tra Hans e Konradin per non dimenticare gli orrori dell’Olocausto, nei giorni dedicati alla Memoria.
Un muro di filo spinato – un’inutile barriera che il tempo, le scelte e la speranza possono abbattere – separa la scena dividendola in due esatte metà. Da un lato una poltrona rossa, sulla quale scende a illuminarla un lampadario a gocce. Dall’altro un interno borghese, con sedie imbottite e tavolinetti da caffè. Siamo in due epoche diverse, lontane nel tempo e nello spazio. Il realismo della scena è amplificato nella ricercatezza dei costumi di scena. L’interno con la poltrona rossa ci riporta alla Germania degli anni Trenta, nella lussuosa casa dell’aristocratica famiglia filonazista dei genitori di Konradin von Hohenfels; mentre l’altro è il salotto anni Settanta nell’appartamento di Hans Schwarz, costretto a emigrare in America anni prima perché ebreo. Erano studenti nello stesso liceo di Stoccarda quando i due ragazzi si incontrarono la prima volta nel 1932, diventando subito amici. Allora la città sveva era lontana dai fenomeni di intolleranza religiosa e razziale che interessavano Berlino. Ma presto il vento della guerra, con tutto il carico di odio nei confronti degli ebrei, li avrebbe presto investiti distruggendo la loro amicizia. L’azione si svolge in contemporanea davanti ai nostri occhi, come a ricordarci che ovunque nel tempo un fatto si sia svolto è il presente che ha il dovere di ricordarlo.
In occasione della celebrazione del Giorno della Memoria, il teatro Cometa Off ripropone, dopo il successo ottenuto lo scorso anno, L’amico ritrovato diretto da Alessandro Sena. Lo spettacolo, a cura dell’Associazione culturale I giardini di Antares, è stato tradotto e adattato in maniera efficace e originale dal regista in collaborazione con Marco Tassotti. La drammaturgia è solida e sa entrare in dialogo coerente con altre storie, come quella commovente di Dora Gerson, attrice e cantante tedesca assassinata ad Auschwitz con tutta la famiglia. Ma anche storie che mutuano dalla tradizione operistica il loro esempio: come infatti Tosca venne tradita sul finale da Puccini, così Hans viene tradito nell’amicizia da Konradin.
Il cast, in parte cambiato rispetto alla scorsa edizione, vede in scena un gruppo di attori impegnato a trasmettere con seria professionalità il concetto di memoria alla base del dramma. Hans e Konradin sono interpretati rispettivamente da Marco Fiorini e Alessio Chiodini. Accanto a loro due attrici di incontestabile bravura e preparazione, nonostante la debolezza – rispetto ai protagonisti maschili – dei loro personaggi. Alessandra Cosimato è Page, nome simbolico perché interessata a pubblicare la testimonianza di Hans per la sua casa editrice, il quale mostra inizialmente reticenza più per il dolore a ricordare che per il fastidio dell’intervista. L’altra figura femminile è la madre di Konradin, interpretata da Vittoria Rossi, la voce che incarna tutto l’odio e il pregiudizio razziale nei confronti degli ebrei. Le sue parole possono apparire scontate e banali visto il modo con cui esprime il suo odio, ma è anche questo il lavoro che spetta alla memoria. Ripetere quello che diamo per scontato, perché questo tratto di storia non venga dimenticato. Ricordare per non dimenticare, per dirla con le parole che Alessandro Sena affida a Hans.
Lo spettacolo è stato apprezzato e applaudito la sera della prima anche dalla Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello. “È facile rompere un’amicizia se non si ha la capacità di scegliere da che parte stare”, afferma la Presidente, grata per questa occasione offerta dal teatro per fare memoria e per riflettere su emozioni e sentimenti che non sono affatto semplici.
data di pubblicazione:29/01/2023
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da Antonio Iraci | Gen 28, 2023
Un uomo fondamentalmente scettico, una giovane atleta sulla sedia a rotelle per una fatale caduta, una agente di polizia fortemente afflitta per la perdita della giovane figlia e un ragazzino obeso con difficoltà alimentari: ognuno di loro, afflitto dai propri problemi esistenziali, decide di togliersi la vita. Ad accoglierli in una sorta di limbo c’è un uomo misterioso, che li terrà in ostaggio per una settimana dando ad ognuno la possibilità di ritornare sui propri passi…
Tratto dall’omonimo romanzo dello stesso regista Paolo Genovese, edito nel 2019 poco prima dello scoppio della pandemia, il film ha avuto una lunga gestazione e solo da poco si è arrivati alla versione compiuta, riveduta e corretta più volte, proprio per dare al pubblico un messaggio chiaro e univoco. Genovese qui mette sul grande schermo una storia che subito appare surreale: quattro individui, con caratteristiche esistenziali diverse, che dopo essersi suicidati si ritrovano insieme ad affrontare il post mortem insieme ad un uomo (forse un angelo o forse lo stesso Dio in persona?) che li terrà a soggiornare in un albergo fatiscente al centro di Roma. Per una sorta di alchimia sono resi invisibili e quindi possono aggirarsi tranquillamente anche tra i propri congiunti per osservare, senza essere visti, come abbiano reagito alla loro morte improvvisa. Nella storia della cinematografia vari cineasti hanno affrontato simili tematiche, basti pensare, per dare un esempio calzante, a Il Viaggio di G. Mastorna, titolo di un film ideato da Federico Fellini, avviato ma mai completamente realizzato. Il regista de Il primo giorno della mia vita, ha in mente però qualcos’altro: riesce ad intrecciare quattro storie diverse tra di loro ma che hanno in comune la ferma decisione di porre termine alla propria esistenza, di annullarsi nel dolore che si portano dietro e che non viene inteso da coloro che li circondano nella vita di tutti i giorni. C’è quindi da un lato lo sconforto di chi non vede soluzione al proprio dramma interiore, ma di contro c’è anche una larvata speranza di ricominciare, perché è proprio vero che la speranza è l’ultima a morire. Genovese con questo film post pandemico ci suggerisce quindi di non disperare perché questo mondo, con tutte le sue distorsioni e le sue bruttezze, vale comunque la pena di essere attraversato. Molto convincente la recitazione di Toni Servillo nel ruolo dell’uomo misterioso, che riesce a essere umano e reale in un contesto surreale. Anche la performance degli altri protagonisti, che lo affiancano in questa maratona per le strade, a volte affollate a volte completamente deserte di Roma, è molto credibile. Valerio Mastandrea è Napoleone, un uomo cinico che non crede più nella moglie e nel lavoro sociale che svolge, Margherita Buy è Arianna, afflitta dalla paura che il tempo possa cancellare il dolore per la figlia morta, Gabriele Cristini è invece Daniele, deriso persino dai suoi genitori per la sua obesità e infine Sara Serraiocco, nella parte di Emilia, è la giovane atleta di successo con la sindrome di arrivare sempre seconda nelle varie competizioni. Un inno alla vita quindi per farci comprendere come sia comunque importante viverla nel migliore dei modi, con la forza e l’ottimismo di andare avanti o prendere il coraggio per ricominciare tutto daccapo.
data di pubblicazione:28/01/2023
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da Antonio Iraci | Gen 26, 2023
(Berlino, 16/26 Febbraio 2023)
Presentata in conferenza stampa la lista completa dei film in selezione ufficiale. Il direttore artistico della Berlinale Carlo Chatrian ha voluto sottolineare come l’edizione di quest’anno avrà un taglio particolare perché molti film selezionati avranno uno sguardo rivolto alla guerra in Ucraina e alle proteste contro il regime in Iran. Temi di attualità che mettono seriamente in crisi, a livello mondiale, il principio stesso di democrazia e di libertà d’espressione. Ecco che il cinema, ancora una volta, assume quella funzione catalizzatrice, se non addirittura rivoluzionaria, di indurre al confronto proprio dove le opinioni sono in contrasto tra di loro. Ben 183 i film che verranno mostrati nelle varie sezioni, la maggior parte in prima mondiale, tra cui quelli in concorso per aggiudicarsi il prestigioso Orso d’Oro. Ecco si seguito la lista completa.
I 18 film della selezione ufficiale, di cui 16 in prima mondiale:
20.000 especies de abejas di Estibaliz Urresola Solaguren (Spagna)
Bai Ta Zhi Guang di Zhang Lu (Cina)
Bis ans Ende der Nacht di Christoph Hochhäusler (Germania)
BlackBerry di Matt Johnson (Canada)
Disco Boy di Giacomo Abbruzzese (Francia-Italia-Belgio-Polonia)
Le grand chariot di Philippe Garrel (Francia-Svizzera)
Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste di Margarethe von Trotta (Svizzera-Austria-Germania)
Irgendwann werden wir uns alles erzählen di Emily Atef (Germania)
Limbo di Ivan Sen(Australia)
Mal Viver di João Canijo (Portogallo-Francia)
Manodrome di John Trengove (Regno Unito-USA)
Music di Angela Schanelec (Germania-Francia-Serbia)
Past Lives di Celine Song (USA)
Roter Himmel di Christian Petzold (Germania)
Sur l’Adamant di Nicolas Philibert (Francia-Giappone)
The Survival of Kindness di Rolf de Heer (Australia)
Suzume di Makoto Shinkai (Giappone)
Tòtem di Lila Avilés (Messico-Danimarca-Francia)
Molti i film italiani distribuiti tra le varie Sezioni, ma l’unico in gara per l’Orso d’Oro è Disco Boy che segna il debutto cinematografico di Giacomo Abbruzzese, protagonista Franz Rogowski nei panni di un legionario francese che lotta nel Niger accanto ad un gruppo armato locale contro le multinazionali petrolifere che minacciano la sopravvivenza di un villaggio. Abbruzzese, è un regista, sceneggiatore e fotografo di Taranto, conosciuto e più volte premiato per i suoi documentari e cortometraggi. Mario Martone presenta nella Sezione Berlinale Special Laggiù qualcuno mi ama, viaggio personale del regista nel cinema di Massimo Troisi per rendere omaggio al grande attore scomparso. Sempre nella stessa Sezione Andrea di Stefano presenta L’ultima notte di Amore, protagonista Pierfrancesco Favino nei panni di un tenente di polizia che indaga su una rapina di diamanti in cui è stato ucciso il suo miglior amico e collega. Le mura di Bergamo, documentario di Stefano Savona per la Sezione Encounters, che ci riporta al marzo 2020 quando la città fu colpita in maniera devastante dalla pandemia, prima di espandersi in tutto il mondo. La proprietà dei metalli, diretto da Antonio Bigini per la Sezione Generations, è la storia di Piero, un bambino che vive in un piccolo paese di montagna del centro Italia. The good mothers, di Elisa Amoruso insieme a Julian Jarrold per la Sezione dedicata alle serie tv, che descrive il mondo della ‘Ndrangheta dal punto di vista di tre donne che l’hanno coraggiosamente combattuta.
La giuria internazionale quest’anno sarà presieduta dall’attrice e regista americana Kristen Stewart, oramai di fama internazionale per aver interpretato il ruolo di Bella Swan come protagonista della saga di Twilight, adattamento cinematografico dei romanzi della scrittrice statunitense Stephenie Meyer. Nel 2015 ha ottenuto il Premio César come migliore attrice non protagonista per il film drammatico Sils Maria. Recentemente ha ottenuto il plauso della critica per l’interpretazione di Diana Spencer nel film biografico Spencer. Gli altri componenti della giuria saranno resi noti il prossimo 1 febbraio.
La Berlinale renderà omaggio al regista Steven Spielberg con l’Orso d’Oro alla carriera e durante la kermesse cinematografica verranno riproposti ben 8 suoi lungometraggi, incluso il suo ultimo film The Fabelmans, ancora in distribuzione nelle sale italiane.
Dopo due anni di assenza, causa pandemia, quest’anno Accreditati ritorna alla Berlinale e vi terrà puntualmente aggiornati su tutti gli aventi con il consueto entusiasmo di voler condividere con voi i momenti più importanti del Festival.
data di pubblicazione:26/01/2023
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