da Daniele Poto | Nov 20, 2023
con Flavio Albanese e Tony Marzolla, drammaturgia e regia di Marinella Anaclerio, impianto scenico di Francesco Arrivo, costumi di Stefania Cempini,organizzazione Dario Giliberti, produzione Caterina Wierdis
(Teatro Tordinona – Roma, 18/23 novembre 2023)
Un lacerto del testo a più scomparti del grande autore russo, un rimaneggiamento condensato in un’ora di un precedente spettacolo presentato al Mittelfest nel lontano 2010. Il focus si attiva sul contrastato rapporto e il conseguente dialogo/conflitto fra tue fratelli della famiglia dall’indole apparentemente inconciliabile. Dunque una perfetta miscela per far deflagrare un accattivante pezzo di teatro.
Cosa hanno in comune un aspirante scrittore e un aspirante monaco se non il legame tendenziale dell’essere fratelli. Alla fine si baceranno sulla bocca ma il duello dialettico tra le loro parole è corrosivo ed abbraccia il credere in Dio, la finzione degli uomini, rievocando la figura del grande inquisitore su cui si regge uno dei capitoli più pregnanti del lungo romanzo originario. Una ripresa non banale, su un lato nettamente diverso dal Karamazov, cavallo di battaglia di Umberto Orsini. Un senso di sincerità, la volontà di trapassare la formalità delle convenzioni per arrivare al bersaglio grosso dell’onesta valutazione dell’essere, del suo accadere e delle sue non infinite possibilità, è il tema centrale del potente confronto. Mentre discutono vivacemente, e a volte litigano, i due attendono un thè e una marmellata all’amarena che mai arriverà. Le parole alludono a una ricerca di salvezza esistenziale che può incamminarsi sulla strada della laicità o su quella della religione. Argomenti posti a misura degli interrogativi allo specchio dello spettatore in una dimensione tipica dell’anima russa.. Interpretazione superba di Flavio Albanese, dalla costante frequentazione dostoevskiyana. E l’attesa nel foyer è colmata dall’entretien di giovani aspiranti attori che si diffondono su aspetto della personalità dello scrittore russo, mai così riscoperto e valorizzato. Una piccola serata di charme in un teatro che non rinuncia a una preziosa qualità.
data di pubblicazione:20/11/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Nov 20, 2023
regia e traduzione di Giampiero Cicciò, con Saverio Barberio, Lisa Lippi Pagliai, Tommaso D’Alia, Carlotta Solidea Aronica e Ivan Artuso
(Trend – Teatro Belli – Roma, 17/19 novembre 2023)
Posti uno di fronte all’altro, i componenti della famiglia stretti intorno al loro figlio più grande che ha tentato il suicidio, si affibbiano colpe e responsabilità sotto la supervisione di un attento analista. Al teatro Belli per Trend va in scena The Animal Kingdom di Ruby Thomas, nella straordinaria regia di Giampiero Cicciò.
Dall’osservazione di ciò che accade nel regno animale non necessariamente si deve arrivare a conclusioni che giustifichino determinati comportamenti. A volte la sola descrizione aiuta a comprendere cosa abbiamo davanti e nel caso dell’essere umano, che appartiene di diritto a questo regno, si può risolvere nella presa di coscienza di sé stessi. Ruby Thomas, l’autrice della pièce The Animal Kingdom, inserita nella programmazione di Trend (la rassegna dedicata alla drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo di Giammarco al Teatro Belli) ci propone di osservare una famiglia stando aldilà di uno specchio spia, di quelli che si trovano nelle stanze per gli interrogatori o, come in questo caso, in un ospedale psichiatrico.
Sam (Saverio Barberio) è ricoverato perché ha tentato il suicidio. È un ragazzo sensibile, intelligente con una grande passione per gli animali che coltiva nei suoi studi universitari. Di lui si prende cura Daniel (Ivan Maria Artuso), un terapista della clinica specializzato nelle sessioni di gruppo. Sono in attesa che arrivino i familiari di Sam, come sempre in ritardo. Quando finalmente arrivano e iniziano a interagire, capiamo da dove provengono i problemi di Sam. I genitori sono separati ed entrambi si sono rifatti una vita con nuove relazioni. La madre (Carlotta Solidea Aronica) mostra un atteggiamento esageratamente entusiasta e iperprotettivo nei confronti del figlio. Tuttavia si sente stanca e inadeguata perché non riesce a ottenere il controllo totale delle cose. Il padre (Tommaso D’alia) non parla molto, scruta in disparte la situazione. È deluso dal figlio, sul quale aveva investito come fa nel suo lavoro, cercando di recuperarlo come si fa in finanza con i crediti di un’azienda in fallimento. E poi c’è Sophia (Lisa Lippi Pagliai), la sorella minore, triste e arrabbiata, quasi invisibile ai margini del quadro familiare.
Visti oltre lo specchio appaiono come animali in gabbia, chiusi in un contenitore che gli attori non lasciano neanche quando non sono parte agente della scena. La famiglia è una trappola che obbliga ad avere relazioni anche quando queste sono tossiche, si è costretti al confronto con i membri che ne fanno parte. Esprimere i propri sentimenti è difficile, nessuno ha il coraggio di rompere il ghiaccio, ma quando si aprono esplode anche la violenza. Giampiero Cicciò intercetta nella regia questo aspetto del testo di Ruby Thomas e mostra, con un sapiente quanto semplice cambio di illuminazione, ciò che avviene nella mente di ognuno. La violenza dei pensieri si traduce in combattimenti fisici tra gli attori che via via vengono chiamati dalla terapia a esprimersi.
L’autrice è stata capace di drammatizzare una situazione universale. Non si scappa dalla tentazione di chiedersi quale ruolo occupiamo nel nostro nucleo familiare. L’immedesimazione è naturale e se in alcuni punti ci fa sorridere, perché vediamo riflesse le nostre nevrosi, in altri, dove ritroviamo il nostro vissuto, commuove. La regia di Cicciò ha il pregio di aver capito il dramma e di averlo restituito con misura e una chiarissima messa a fuoco dei personaggi. Ogni attore ha compreso le ragioni psicologiche del proprio personaggio, ogni carattere è definito nella sua frustrazione. Nonostante appaiano come monadi che difettano di comunicazione, la squadra di artisti lavora insieme e il risultato è armonioso, intonato. Il disegno della scena è essenziale, quasi privo di elementi. Un’efficace soluzione che mette in risalto la vulnerabilità dei personaggi. Non ci sono quinte dietro alle quali possano nascondersi. L’analisi li squarta e mostra la loro umanità lacerata e sanguinante.
Si cercano le colpe e si scaricano le responsabilità, si scontrano teorie e punti di vista. Parlare non cambia le cose, ma almeno fa acquisire consapevolezza. Non ci sono né vincitori né vinti in questa guerra familiare, ma un punto va a favore del teatro, che di fronte a un dramma del genere dimostra di essere un eccezionale mezzo terapeutico.
data di pubblicazione:20/11/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Nov 18, 2023
(Trend – Teatro Belli – Roma, 13 novembre 2023)
Una spiegazione scientificamente attendibile e dettagliata sulle cause che hanno portato al cambiamento climatico, agli scenari che stiamo vivendo e andranno a peggiorare. Paolo Triestino veste i panni dello scienziato Chris Rapley, autore del testo insieme a Duncan Macmillan, nella versione tradotta e aggiornata da Giulia Lambezzi per la regia di Carlo Emilio Lerici. Una proposta che rende la rassegna Trend una vetrina unica per un teatro necessario.
È stata una lezione di scienza quella tenuta lo scorso lunedì al teatro Belli di Trastevere nell’ambito della ventiduesima rassegna di drammaturgia contemporanea inglese Trend diretta da Rodolfo di Giammarco. Una lezione su come funziona il clima e sulle conseguenze catastrofiche che l’intervento umano ha causato alla salute del pianeta, magistralmente tenuta dall’attore Paolo Triestino.
La sua è una voce autorevole sia nella lotta al cambiamento climatico – in un’intervista di Tiberia De Matteis su Il Tempo afferma che la sua è una famiglia a zero rifiuti legata all’utilizzo di energia rinnovabile – sia per l’interesse rivolto alla drammaturgia contemporanea. Prende le parti e abbraccia le ragioni scientifiche di una delle voci più autorevoli nel campo delle ricerche sul clima. Sul palco è Chris Rapley (classe 1947), il celebre scienziato britannico che vanta tra le altre cose l’essere stato direttore del British Antarctic Survey e del Museo della scienza di Londra. Nel 2014, all’età di 67 anni, scrive insieme al drammaturgo Duncan Macmillan questa lezione/spettacolo chiedendosi quale mondo conoscerà la più grande delle sue nipoti quando avrà la sua età, nel 2071 appunto. È una data che ci proietta inevitabilmente nel futuro. Ma di quale futuro parliamo se pensiamo alla salute del pianeta in relazione alle condizioni climatiche?
Partendo da considerazioni generali che chiariscono il funzionamento del clima e spiegando come una minima variazione della temperatura possa addirittura determinare lo sviluppo di ere geologiche diverse, arriviamo a comprendere le preoccupanti ragioni del disastro che stiamo compiendo. Lo scenario è catastrofico e la colpa è da attribuire solo ed esclusivamente alle attività umane. Le immagini che scorrono alle spalle di Triestino (curate da Francesca Cutropia e Paolo Roberto Santo) mostrano gli effetti del riscaldamento globale sulla natura, in particolare lo scioglimento dei ghiacciai delle calotte polari da cui dipende gran parte dell’equilibrio del nostro sistema. L’orma di una scarpa gigante sopra l’immagine della terra ci dice che l’antropocene – l’attività umana – ha soppiantato in modo definitivo e troppo veloce l’olocene, un periodo di condizione salutare per la vita. Già rispetto al 2014 le condizioni sono notevolmente cambiate (l’uomo non ha mai respirato una quantità così alta di anidride carbonica come nella nostra epoca) obbligando Carlo Emilio Lerici e Paolo Triestino a un inevitabile aggiornamento del testo originale. Tra meno di due settimane avrà luogo a Dubai la Cop28, la conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima, che si spera continuerà sulla strada tracciata dagli accordi di Parigi di mantenere il riscaldamento sotto la soglia dei due gradi entro il 2050. Sono apparsi sulla scena personaggi inquietanti, sostenitori di teorie negazioniste come Donald Trump, ma anche personalità coraggiose impegnate a portare avanti la lotta, prima fra tutte Greta Thumberg, la giovane attivista che ha dato vita al movimento di scioperi dei Fridays for Future.
L’uso smodato di combustibili fossili e la continua deforestazione hanno generato i fenomeni climatici estremi che flagellano i nostri territori. Ondate di calore, siccità e inondazioni sono la testimonianza concreta di una condizione irreversibile. Dobbiamo ormai adattarci a questo aumento delle temperature, facendo i conti con l’insicurezza alimentare e la conseguente migrazione delle popolazioni che non hanno mezzi a sufficienza per affrontare le emergenze.
“La scienza può informare, ma non risolve questioni morali.” Ecco perché uno strumento emotivamente stimolante come il teatro è necessario e utile. Non siamo davanti a uno schermo digitale ma a un attore (impegnato) in carne e ossa. Lo spettatore è costretto a interrogarsi e invitato a prendere parte alla soluzione. Magari imitando il colibrì della favola africana aggiunta a fine performance, che goccia dopo goccia raccoglie acqua nel becco per spegnere l’incendio nella foresta. Un piccolo esempio che sprona a offrire il nostro contributo.
data di pubblicazione:18/11/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 17, 2023
Un uomo si aggira tra la natura incontaminata. Avanza a fatica appoggiandosi ad un bastone perché è cieco, termine questo politicamente non corretto. Ma perché usare l’espressione non vedente quando lui riesce a percepire cose che gli altri non vedono pur avendo la vista?
Giuseppe Gimmi, pugliese doc, in un corto di pochissimi minuti riesce a realizzare una summa che concentra le impressioni più profonde del suo essere, giovanissimo ma già esperto nell’arte della cinematografia. Il pastore che vediamo sulla scena si sofferma ad annusare gli odori della natura selvaggia e a percepirne i colori partendo dallo zero assoluto, vale a dire il buio della sua cecità. Anche lo spettatore non può che immedesimarsi in lui e tentare di percepire le sue sensazioni in un frastuono discreto dato dal canto degli uccelli. Ecco che la natura si fa sentire e manda i suoi messaggi, i suoi appelli disperati. Gimmi ha il merito di raccontare in pochi frammenti di tempo tutto quello che si può dire in una vita. La musica che accompagna fa da contrappunto al verso del creato, una natura che chiede rispetto per salvaguardare la propria stessa esistenza. In quest’opera il regista sperimenta se stesso e si pone di fronte a ciò che sarà da venire in un abbraccio universale al mondo e al suo significato. Ottime quindi le basi per questo lavoro serio, ben strutturato e a basso budget presentato ufficialmente a Bari, dove Gimmi opera in un contesto più che ricettivo.
data di pubblicazione:17/11/2023
Sabato 13 aprile 2024, presso il Teatro Patologico di Roma, la giuria, composta interamente da disabili fisici e mentali, ha assegnato il premio per la miglior regia a Giuseppe Gimmi per Al di là dell’Ombra. A questo quindicesimo Festival Internazionale del Cinema Patologico era presente Leonardo Pieraccioni che ha voluto dedicare un sentito pensiero a Francesco Nuti, scomparso nel giugno dello scorso anno.
da Daniele Poto | Nov 17, 2023
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e, per la prima volta in scena, Mona Abokhatwa, musiche di Tommy Grieco, luci Raffaella Vitiello, video Lorenzo Letina
(Teatro Vascello – Roma,15/19 novembre)
Il coraggio di affrontare un tema difficile, la disgregazione mentale, l’Alzheimer che non ti aspetti. La dissoluzione, appunto il grande vuoto. La prima scena rappresenta una coppia anziana alle prese con una vettura indocile. Si ride, c’è serenità. Poi il quadro cambia, la donna è sola, la compagnia della figlia non attenua il declino.
L’iperrealismo di una vasta scenografia spalanca l’abisso su una malattia insidiosa, capace di dimidiare l’equilibrio mentale di intere famiglie. Così l’iterazione ripetuta di un ricordo teatrale dell’attrice malata scatena l’ira della figlia che non sa rassegnarsi alla condizione della genitrice avendo sperimentato ben diversi percorsi nella loro relazione. Con il conforto del video, con un continuo richiamo al prima e al dopo, con una recitazione sgomenta per assenza, si rappresenta la fotografia del male. Con durezza e senza concessioni allo spettacolo. Davanti agli occhi di un Nanni Moretti, ormai consueto habituè con mascherina del Vascello, gli oggetti fanno da spesso tramite alla manifestazione del disagio. Il vecchio torna bambino e infantile anche rinunciando al pudore per svestirsi liberamente. Ma il finale è catartico in una scena di grande bellezza e complessità. L’accettazione e la sublimazione del male assurge al valore più alto dell’amore e della comprensione alludendo alla capacità di riuscire a trasformare il dolore in bellezza. Attori straordinariamente bravi e solita profusione di generosi applausi di una platea giovane ed entusiasta. La tensione cala solo quando sciorinando il catalogo degli oggetti trascorrono troppi minuti senza che una sola fase di dialogo sia pronunciata. Anche quello un vuoto troppo grande.
data di pubblicazione:17/11/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 17, 2023
(TeatroLoSpazio – Roma, 16/19 Novembre 2023)
Nella vita dei due fratelli Aston e Mick entra un vecchio, prima con celata circospezione e poi, pian piano, con efferata prepotenza. Ma chi è veramente questo Davies, raccolto per strada e sistemato in casa per ricoprire il ruolo di guardiano? Sarà proprio lui a destabilizzare il rapporto tra i due fratelli o sarà invece un estremo, inatteso tentativo per porre chiarezza nelle loro esistenze già di per sé seriamente compromesse?
In scena al TeatroLoSpazio un capolavoro del noto drammaturgo inglese, già insignito del premio Nobel per la letteratura nel 2005. Il guardiano (The Caretaker), dopo il suo debutto a Londra nel 1960, fu accolto molto bene sia da parte del pubblico che della critica e consacrò Pinter ad un successo internazionale. In questa pièce teatrale è importante soffermarsi sulla psicologia dei tre personaggi, di come si sforzino a relazionarsi tra di loro e, all’interno della stessa casa dove si svolge l’intera azione scenica, di come l’intruso trovi lì temporaneo rifugio e dal quale poi non intenda affatto schiodare, nonostante le ripetute rimostranze dei due fratelli. Una casa che per l’occasione si trasforma in un teatro fatiscente, pieno di cavi e luci al neon che disorientano lo spettatore e ancor di più gli stessi attori. Man mano che i dialoghi si intrecciano, si vanno anche delineando le diverse fragilità dei tre soggetti, ognuno con un passato dai contorni poco chiari che è meglio lasciarsi alle spalle, e con un futuro ancora da definire. Se Aston ha subito l’elettroshock per curare i propri disturbi psicotici Mick, dal canto suo, deve fare i conti con la propria irruenza e la mancanza di senso pratico. Un gioco sempre più impegnativo che vedrà i tre personaggi destreggiarsi per stringere alleanze effimere, destinate comunque al fallimento. Rumori strani irrompono dal sottofondo quasi a scuotere quelle pause dagli effetti soporiferi. Il disordine regna sulla scena e se ne percepisce la presenza anche in quegli spazi dove lo spettatore non può accedere. Non è la prima volta che Camerini affronta una regia impegnativa come in questo caso, dove Pinter investe tutta la propria energia drammaturgica volta alla ribellione e alla denuncia sociale. Spettacolo ben riuscito che, sia pur in versione ridotta, non altera affatto il contenuto e il messaggio trasversale che era nella mente dell’autore.
data di pubblicazione:17/11/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 16, 2023
Arturo viene abbandonato tra le rocce mentre sua madre muore. Con i suoi strilli disperati attira l’attenzione di una pecora che lo salverà. Passano gli anni e lui rimane però bambino, un essere primordiale cresciuto da tre donne, prostitute come la madre più per necessità che per vocazione, che lo accudiscono in tutto perché di fatto lui è nato diverso. Tra carezze e rimproveri Arturo riconosce istintivamente il richiamo della lana, perché alla pecora deve la sua salvezza…
Con l’asprezza narrativa che la contraddistingue in tutto, Emma Dante porta al cinema un suo precedente lavoro teatrale dove ancora una volta si parla di donne e del loro bieco sfruttamento. La regista non usa i mezzi toni per lanciare un messaggio di disperazione in favore di coloro che, per un verso o per l’altro, sono tuttora vittime di abusi e di sopraffazione. Ambientata in un piccolo borgo in riva al mare, quello siciliano per l’appunto, tra sporcizia e abbandono ambientale, dove le donne vengono obbligate a soddisfare in tutti i modi le soverchierie di uomini senza scrupoli, nasce così la storia di Arturo. Lui è un essere ibrido che vive nel suo mondo e fuori dal mondo degli altri, balla sino allo sfinimento e guarda la vita con gli occhi di chi ha già incontrato la morte. Si è colpiti dalla sua nudità che non trova vergogna, dal suo sguardo distaccato e discreto verso quel poco che lo circonda, alla ricerca continua di una fonte di calore che lo possa proteggere dalla cattiveria. Il film è sicuramente un pugno sullo stomaco, una denuncia aperta verso qualsiasi forma di maschilismo che usa la violenza sulle donne per giustificare la propria impotenza e la propria inettitudine. Oggetti alla rinfusa accumulati e raccattati chissà dove, bambini che corrono alla fonte per raccogliere l’acqua e poi le donne, tante donne che si danno per poco per raccogliere qualche soldo e provvedere alla sussistenza, senza speranza di un futuro migliore che possa riscattarle. Accanto a Fabrizio Ferracane, sulla scena chiamato Polifemo perché un occhio gli è stato portato via e nessuno crede che sia nato così, abbiamo Simone Zambelli, giovane protagonista che nasce con e per la danza ma che ora, è curioso di esplorare il mondo della recitazione, quasi a voler colmare un vuoto che in passato sembrava ossessionarlo. Nel film come nel teatro, Emma Dante ha voluto lui e si può affermare che la sua scelta è stata più che giusta. In una Sicilia fuori dal tempo dove mitologia e degrado si fondono, lo sguardo di Arturo è limpido come limpida è la sua espressione quando viene allontanato forzatamente dal suo mondo, crudele e protettivo nello stesso tempo. Finalmente distribuito nelle sale cinematografiche, dopo il successo a teatro, Misericordia fa parlare e riflettere sulla validità dei sentimenti, in un mondo che sta andando inequivocabilmente alla deriva e dove il concetto di compassione verso l’altro sembra sbiadirsi sempre di più.
data di pubblicazione:16/11/2023
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da Rossano Giuppa | Nov 15, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Il coreografo greco Christos Papadopoulos è tornato ad incontrare il Romaeuropa Festival con la sua danza minimalista, ritmica e visionaria. In scena all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone il 14 e il 15 novembre, Mellowing, la sua prima creazione per Dance On Ensemble, formazione composta da danzatori professionisti over 40. Abbracciando il progetto della compagnia, ovvero promuovere una visione inclusiva della danza, non circoscritta ai soli corpi nel pieno della giovinezza, Christos Papadopoulos ha creato un lavoro complesso e rigoroso, realizzato grazie alla forte osmosi avviata con i danzatori dell’Ensemble per superare i limiti della percezione ed andare oltre. (foto Jubal Battisti).
Come si gestisce l’energia corporea e come la si veicola su specifiche parti del corpo? E come cambia al mutare del movimento?
Minimaliste e rigorose, ipnotiche e reattive, avvolgenti ma profondamente ancorate ai dettagli dell’estetica e del reale: sono solo alcune delle sensazioni che si provano quando si assiste ad uno spettacolo di Christos Papadopoulos. Il coreografo greco prosegue il suo percorso al Romaeuropa Festival, che lo ha visto partecipe sin dai suoi esordi, presentando la sua prima creazione per Dance On Ensemble, celebre formazione composta da danzatori professionisti over 40, con una scrittura coreografica basata sulla competenza e capacità espressiva dei singoli danzatori. Papadopoulos vuole sfidare i limiti della nostra percezione e a trasformare il movimento corale in quello di un unico corpo esteriormente immobile e interiormente vibrante. I movimenti s’incastonato, si replicano ossessivamente tra concentrazione e leggerezza, ritmi e pause.
Mellowing è una coreografia fondata sullo studio corporeo e coreografico della vibrazione, con undici performer in scena grazie a un movimento corale, concentrandosi sulla sensibilità emotiva e percettiva di chi osserva. Basandosi sulla colonna sonora di Coti K, i movimenti dei danzatori sviluppano una costruzione alternativa del rapporto tra individui e gruppi, tra continuità e discontinuità, aprendo a riflessioni più profonde, personali e universali in cui la danza agisce in maniera trasversale e innovativa in direzione collettiva e singola, tra necessità di adesione all’aggregazione ed in contrapposizione il bisogno di libertà.
data di pubblicazione:15/11/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Nov 14, 2023
Un cast stellare per un film irraccontabile. Lo sai già. Quando vedi un film di Wes Anderson, regista di nicchia, non c’è narrazione coerente che tenga. E il tentativo di riassumere il plot misero e poco significativo, per chi si accontenta: in un artificiale paesaggio desertico nel 1955 i visitatori occasionale della cittadina di Asteroid assistono a incontro ravvicinato. La quarantena costringe tutti a rivedere abitudini e filosofie di vita. La fotografia sembra copiata da Barbie nel paludamento di un ottimismo di facciata.
Il regista procede per frammenti e le star distillano piccoli gioielli di cammei tanto da farti chiedere che risultato si avrebbe se al loro posto ci fossero modesti e poco noti caratteristi. Scorri una collezione di figure importanti e alla fine ti accorgi che all’elenco manca Goldblum. Mistero? No, Il lungagnone interpreta l’alieno e dunque il suo volto rimane celato fino all’ultimo. Il film si può interpretare ovviamente come una dissacrante satira dell’American life. Un’umanità eccentrica e scombinata che vive valori deformati e schizofrenie assortite. Persino i lutti fanno sorridere per il modo inconsueto con cui vengono affrontati. Il personaggio principale, un fotografo, sembra perdere l’occasione della vita quando manca lo scatto su una Scarlett Johansson senza veli. Un’atmosfera disincantata circola nella pellicola, un vasto sentore di disillusione. Non si sa quanto funzionale sia l’inquadramento del cinema in un’opera teatrale con tanto di scene numerate e tempi che nulla aggiungono alla tensione e all’interesse. Le riprese sarebbero dovute avvenire a Roma ma all’ultimo momento furono spostate in Spagna. La finzione dei fondali è avvertibile sin dal primo momento ma è omogenea al mood tutto particolare del regista. Opera per cinefili con precisi limiti di fruizione e anche di incasso.
data di pubblicazione:14/11/2023
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da Rossano Giuppa | Nov 13, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
La compagnia italo-spagnola KOR’SIA ha portato il proprio messaggio artistico al RomaEuropa Festival, presentando l’11 e il 12 novembre, in anteprima nazionale, all’ Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone , il nuovo spettacolo Mount Ventoux. Il collettivo fondato da Antonio de Rosa e Mattia Russo riprende l’opera che Francesco Petrarca scrisse nel 1336, la strada in ascesa che l’umanità deve percorrere per lasciarsi alle spalle gli anni bui del Medioevo e costruire così un nuovo paradigma del vivere umano: l’umanesimo. (foto Maria Alperi).
Gli italo-spagnoli Kor’sia, proiettano il testo dell’Ascesa al Monte Ventoso di Francesco Petrarca nel presente e nelle sue urgenze di cambiamento. Il collettivo è nato circa 9 anni fa, per rispondere ad una profonda esigenza di esplorare nuovi orizzonti nella danza e nell’arte contemporanea al fine di creare uno spazio creativo dove sperimentare e sfidare i limiti tradizionali, spingendosi al di là dei confini predefiniti.
L’incertezza del futuro diventa chiave per un risveglio collettivo, come quello invocato da Petrarca. Un mantra, attraverso il quale Kor’sia vuole ascendere il monte per recuperare i valori. Una performance volta ad insinuare dubbi e generare spunti di riflessione.
Uno spettacolo che ha l’obiettivo di tenere una luce accesa sui problemi della società per comprenderli, analizzarli e ritrovare vecchi valori. Un messaggio intrinsecamente legato all’attualità. La lettera di Petrarca, scritta nel lontano 1336, rappresenta un punto di partenza per il Rinascimento, simbolizzando l’ascesa verso la luce e la natura, in contrapposizione al declino nell’oscurità del Medioevo. Mont Ventoux trasmette l’idea di scalare, arrampicarsi, di cercare una connessione tra l’individuo e l’umanesimo.
Il lavoro coreografico non si focalizza su una teatralità esplicita, ma piuttosto sulla creazione di metafore suggestive, ricche di riferimenti e suggerimenti, dove la danza è il linguaggio espressivo predominante, immagini vive e plastiche insieme.
In scena una danza ipnotica, fatta di passaggi ripetuti e contrapposti, una metamorfosi fisica necessaria per eliminare scorie e strati e ritrovare la natura e l’essenza dell’uomo.
Otto giovanissimi danzatori esterni ed interni rispetto ad un parallelepipedo che si espande e si ritira con cui specchiarsi e confrontarsi. Un lavoro intenso e drammatico, apprezzatissimo.
data di pubblicazione:13/11/2023
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