da Salvatore Cusimano | Ott 21, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Il nuovo film di Michele Placido, tratto dal libro di Matteo Collura Il gioco delle parti, esplora la vita e l’opera di Luigi Pirandello, tra successi, tormenti e amori impossibili. Fabrizio Bentivoglio e Valeria Bruni Tedeschi nei panni di Pirandello e di sua moglie Antonietta.
La quindicesima opera da regista di Placido si avvale delle valevoli prove di Fabrizio Bentivoglio (Pirandello) e di Valeria Bruni Tedeschi (la moglie Antonietta), della magnificenza della ricostruzione scenografica, dei costumi dell’epoca. Il meccanismo attuato dal regista è quello del flashback continuo, in cui il viaggio in treno dell’autore siciliano verso Stoccolma, dove ritirerà il premio Nobel, è il pretesto per ricordare tutta la sua vita, iniziando dalla follia della moglie, con Valeria Bruni Tedeschi nel ruolo cucito su misura per lei, per poi passare alla disattenzione continua verso i figli. A ciò si aggiunge la passione viscerale e proibita per la sua musa ispiratrice Marta Abba (interpretata con intensità da Federica Luna Vincenti), e il sentimento di affetto verso la sua Sicilia, così come l’attrazione provata per la Berlino avanguardista.
Il paragone con altri riferimenti cinematografici che esplorano la vita e le opere di Pirandello sono inevitabili: dal recente La stranezza di Roberto Andò, dove l’ironia e la leggerezza la facevano da padrone, fino a Leonora addio di Paolo Taviani, con toni diametralmente opposti.
Ciò che può suscitare dubbio è se il Pirandello così “ricostruito” possa cinematograficamente “attecchire” su spettatori (giovani, studenti?) desiderosi di avvicinarsi alla figura dell’autore, tra i vari capolavori, de Il Fu Mattia Pascal. Da apprezzare comunque come sempre il coraggio di Michelle Placido, qui presente anche in versione di attore nella figura dell’agente Saul.
data di pubblicazione:21/10/2024

da Maria Letizia Panerai | Ott 20, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Uberto Pasolini, dopo aver girato meraviglie come Still Life e Nowhere special, ci sorprende con un cambio di rotta virando su qualcosa di molto distante senza tuttavia cessare di stupirci. Con The return ci regala una rilettura dell’Odissea dopo una gestazione, a suo dire, trentennale. Molto fedele al testo di Omero, il film sembra tuttavia estremamente attuale tanto da apparire una metafora del nostro tempo.
Odisseo (Ulisse) approda ad Itaca respinto dalle onde. È un uomo indebolito dal naufragio, che porta sul corpo i segni di una guerra durata vent’anni. Ma le ferite più grandi non sono visibili se non dal suo sguardo stanco e addolorato per le vittime che la sua impresa ha causato e per i traumi che la sua assenza ha generato nelle persone che ama. Un padre anziano e morente. Un figlio, Telemaco, che non ha visto crescere e che si affaccia all’età adulta. Una moglie fedele e tenace, Penelope, che ha conosciuto solo il dolore di una lunga attesa senza poter camminare al suo fianco. Una famiglia separata dalla guerra e dal tempo. Odisseo non è fiero della sua impresa che ha seminato solo distruzione e morte, oltre a tanta infelicità, apparendo ai nostri occhi come un uomo distrutto e tormentato.
Dopo una gestazione durata trent’anni Pasolini realizza la sua Odissea, a settant’anni dall’ultima versione per il grande schermo, impiegando “più del tempo che ha impiegato Ulisse per tornare nella sua Itaca”. Nelle sue mani ciò che rende questa storia epica attuale, seppur nella sua intatta classicità e fedeltà al testo di Omero, è l’aver ritratto Ulisse come un reduce di guerra, con le sue ferite visibili e non. Le interpretazioni magistrali di Ralph Fiennes e Juliette Binoche con la macchina da presa che segue ogni loro impercettibile espressione o gesto, ci restituiscono il dolore di chi è partito, come il titolo stesso ci suggerisce, ma anche di chi è restato. Il tempo infatti è il terzo protagonista della pellicola, come una entità palpabile, una lunga attesa generatrice di un dolore sordo, tale da assumere le sembianze di un lutto da elaborare in eterno.
Film intenso, ben fatto, curato in ogni singola scena, di rara bellezza e inaspettata attualità. Da non perdere.
data di pubblicazione:20/10/2024

da Antonio Jacolina | Ott 20, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Francia fine anni ’70 ed inizi anni ’80. Bruno Sulak (Lucas Bravo) insieme alla sua compagna e ad un amico, senza mai far ricorso alla violenza, rapina supermercati e poi gioiellerie di ogni tipo. Suo obiettivo è rubare ai ricchi per motivi personali e politici. La polizia si pone alla sua caccia con sempre maggiore impegno. Si apre una serie avventurosa di furti, inseguimenti, catture e rocambolesche fughe ed evasioni …
Anche le ciambelle francesi possono uscire senza il buco!
La Laurent è un’artista talentuosa e poliedrica. Attrice, cantante, sceneggiatrice è anche passata dietro la cinepresa ormai da qualche anno. Libre è il suo ottavo lungometraggio ed è centrato sui personaggi e sul mondo della cronaca poliziesco-giudiziaria. Un biopic molto romanzato ispirato alle vicende di un fuorilegge molto noto in Francia per le sue geniali rapine, per i gesti spettacolari e per le fughe ed evasioni. Tutto senza mai un atto di violenza fisica ma solo agendo con scaltrezza, audacia ed ingegnosità.
Educato, elegante, piacevole, carismatico e con un volto d’angelo Sulak è come un moderno Arsenio Lupin, un Robin Hood dalle mani pulite. Per la sua cattura si è mobilitata la polizia tutta ed il capo della Criminale. Un poliziotto tutto all’antica rispettoso dei codici d’onore e dell’avversario.
Il film della Laurent rende particolare omaggio all’umanità, all’intelligenza strafottente del rapinatore. Ai suoi sentimenti per la Libertà, per l’Amore e per l’Amicizia.
Ma… dicevamo, la ciambella questa volta è proprio uscita senza buco!
Non ci troviamo infatti nel solito meccanismo filmico in cui tutto è perfettamente equilibrato per ritmo e per sottigliezza di linguaggio cinematografico. La sensazione che fin dall’inizio resta addosso allo spettatore è che il film, a tratti, giri a vuoto o meglio su se stesso con una tendenza a ripetersi o a dilungarsi in frammenti insignificanti nello sviluppo creativo.
La sceneggiatura è infatti debole e scontata. Il film non trova il suo giusto ritmo e perde man mano tono, brio ed incisività. Le alchimie attoriali non funzionano bene. Alcune sequenze sono troppo insistite e manca l’armonia generale. Un film d’azione e tensione in cui c’è invece poca azione e la tensione non monta mai.
Libre è quindi solo un prodotto di genere, semplice e convenzionale privo di particolare originalità che non riesce a trovare la sua giusta dimensione. Un normale film commerciale destinato ad offrire solo un’occasione di svago e che non aspira ad altro che essere ciò che è. Peccato!
Molto probabilmente è un prodotto nato per essere destinato ad una visione non cinematografica e per un pubblico non troppo esigente.
data di pubblicazione:20/10/2024

da Antonio Iraci | Ott 19, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Dopo pochi mesi dalla caduta dello scià e dall’inizio della rivoluzione khomeinista, la professoressa di letteratura inglese Azar Nafisi e il marito tornano finalmente in patria. Sono molto fiduciosi che la storia del paese cambierà in meglio e la stessa Azar è piena di entusiasmo nell’iniziare i propri corsi presso l’università di Teheran. Ben presto si accorgerà che il regime islamico degli Ayatollah avrà un atteggiamento molto ostile verso l’emancipazione delle donne e verso ogni riferimento alla cultura occidentale, intesa come contraria alla decenza e alla fede religiosa…
Bisogna affermare che anche se Eran Riklis è israeliano e quindi addentro le problematiche, non poche, del suo paese, tuttavia in Reading Lolita in Teheran riesce perfettamente a rendere ciò che significa vivere in Iran dopo l’avvento della rivoluzione. Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Azar Nafisi, scritto dopo la sua fuga, insieme alla sua famiglia, negli Stati Uniti, il film fa un’analisi cruda dell’atmosfera cupa in cui vivevano, e ancora vivono, le donne in quella realtà. Azar (Golshifteh Farahani) insegna all’Università e cerca in tutti i modi di far appassionare i propri studenti alla letteratura contemporanea di lingua inglese. Mentre gli uomini accettano malvolentieri i suoi suggerimenti, ritenendoli contrari ai principi religiosi islamici, le donne invece approvano con vero trasporto quegli autori stranieri. La lettura di quei libri, nonostante proibita e condannata perfino con la pena di morte, sarà per loro una forma di ribellione al regime, una forma di emancipazione dalla cultura maschilista che vieta loro ogni forma di espressione. Costretta a lasciare l’Università, Azar continuerà il suo insegnamento a casa propria con le allieve più promettenti. Leggere Nabokov o Jane Austen, rischiando la propria vita, diventa così l’unico modo per sopravvivere a tutte quelle forme di violenza alle quali vengono sottoposte. Convinte della incapacità di ritornare a una vita più umana, a loro non resterà che fuggire via, verso paesi dove la libertà di pensiero è diritto irrinunciabile alla dignità umana. Quelle donne lasceranno l’Iran ma l’Iran non lascerà loro. Un film commovente, espressivo, vero che ci rende tristi e impotenti di fronte ad una realtà impossibile da accettare e che ha scarse probabilità di cambiare. Se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:19/10/2024

da Antonio Jacolina | Ott 19, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Maria (A. Ascaride) non più giovane si arrangia assistendo con sincera dedizione diversi anziani. Di tanto in tanto però ruba qualche soldo un po’ qui e un po’ là. Lo fa per le sue precarie condizioni economiche (il marito gioca a carte) e per qualche golosità. Si allarga però più del solito per noleggiare un pianoforte e far prendere lezioni al suo giovanissimo nipotino. Per un intreccio di coincidenze viene scoperta e denunciata. Si creerà uno scompiglio non del tutto negativo che coinvolgerà più famiglie …
Per precisa volontà o forse solo per mera coincidenza alla Festa del Cinema sono stati presentati in solo due giorni ben cinque film francesi! La cinematografia francese è di una vitalità in crescita costante per produzioni, incassi, qualità, apprezzamenti e visibilità internazionale. Un Cinema spesso d’Autore che riesce sempre a combinare consapevolezza artistica e capacità di interagire con i gusti del pubblico delle sale. Un’ottima salute per merito sicuramente dei tanti talenti ma anche delle politiche governative di sostegno alla produzione ed alla distribuzione dei prodotti di qualità. Siamo arrivati al punto che ormai i film francesi passati sui nostri schermi l’anno scorso si avvicinano a competere con gli Stati Uniti il primato dei film stranieri distribuiti in Italia.
Con La Pie Voleuse suo 23° lungometraggio, Guédiguian si è definitivamente lasciato dietro le spalle le cupezze di Gloria Mundi (2019) e riprende e sviluppa l’ottimismo della speranza di Et la fete continue (2023) per trasportarlo in una favola marsigliese. Una commedia drammatica a lieto fine in cui i sentimenti sono – apparentemente – un po’ più centrali rispetto ai soliti temi sociali.
Come è noto, il regista francoarmeno è un Autore arrabbiato ed impegnato. L’equivalente francese del britannico Ken Loach. A differenza del collega inglese preferisce però centrarsi sul dramma dei mutamenti dei valori causati dal capitalismo sulla Società tutta e su quella marsigliese in particolare. Torniamo infatti ancora una volta a Marsiglia.
Con la sua città il cineasta ritrova anche il suo gruppo di amici ed attori. Primi fra tutti la coppia Ascaride e Darroussin. La loro chimica recitativa fa di nuovo meraviglie. Attorno a loro gli altri comprimari di sempre. Giovani ed anziani, tutti egualmente bravi e complici nel dar vita e cuore ai loro personaggi. All’apparenza sembra un film corale. In realtà il fil rouge che lega le varie vicende sono due splendide figure femminili. Due donne forti, una matura presa fra malinconie e sogni, l’altra giovane ma volitiva e determinata nelle sue decisioni. Al cuore della vicenda ci sono sempre la precarietà economica e sociale e le solitudini. Le devastazioni che l’individualismo capitalista ha prodotto sulle aspettative. La malinconia che ne deriva, ci dice Guédiguian, non è però rinuncia o sconfitta. Ci sono certo i problemi ma ci sono anche le soluzioni, prevedibili o imprevedibili, che scaturiscono dalla solidarietà derivante dai legami di cuore o di amicizia.
Il film naviga con sensibilità in questa specie di commedia sentimentale e scorre con fluidità, forte di un’ottima sceneggiatura arricchita da dialoghi vivi. Splendide le musiche e le citazioni poetiche. Un vero inno alla forza della cultura!
La pie voleuse senza essere un melò è un film toccante che sembra uscito da un’altra epoca. Un film che sa alleggerire i tratti lirici e malinconici con humour e levità perché, ci ripete Guédiguian, c’è sempre l’ottimismo della Speranza! Un bel momento di Cinema.
data di pubblicazione:19/10/2024

da Antonio Iraci | Ott 19, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Sophie, al termine di una lunga vacanza italiana con la sorella, trascorrerà l’ultimo giorno a Palermo prima di rientrare in California. In spiaggia, appena arrivata, incontrerà Giulio e tra i due nascerà subito una passione. Al contrario della sua pedante compagna di viaggio, tutta dedita alla visita dei monumenti, Sophie preferisce evadere, lasciarsi andare tra le braccia della sua affascinante conquista e andare in giro con i suoi eccentrici amici. Non potrà mai immaginarsi quello che accadrà in quelle poche ore e di come cambierà tutta la sua vita…
Gabriele Muccino, con la sua lunga esperienza come regista e sceneggiatore, ha negli anni consolidato un suo stile tutto particolare che lo ha decisamente consacrato tra i protagonisti del cinema italiano contemporaneo. Anche in questo suo ultimo film vuole esplorare il mondo dei giovani e il loro tentativo di ribellione alla monotonia quotidiana, per lanciarsi in una realtà tutta ancora da scoprire. Sophie (Elena Kampouris) è la protagonista assoluta di questo action movie pieno di tanto amore, ma anche di tanto crimine. La giovane americana, dopo aver appena conosciuto Giulio (Saul Nanni), capirà ben presto che l’amore non richiede alcuna spiegazione logica e insieme a lui affronterà per le strade di Palermo ogni tipo di avventura, anche a rischio della propria incolumità. Sulla sua pelle scoprirà infatti un’attrazione fatale per il pericolo, e per tutto ciò che comporta, fino alle estreme conseguenze. Il regista concentra tutta l’attenzione sulla giovane ragazza. Da un passato di solitudine emotiva, lei stessa si troverà ad affrontare un manipolo di gente senza scrupoli che la costringerà ad accettare un ruolo tutto nuovo. E’ una prova verso se stessa, una dimostrazione che anche lei potrà farcela perché, quando si ama veramente qualcuno, non ci si pongono troppe domande e troppi se. Il film è una corsa continua piena di azioni e di parole che non lasciano un minuto di tregua per la riflessione. Ciò che Muccino è riuscito a dimostrare è che la vita è il risultato delle scelte che facciamo, scelte pertanto da accettare anche se dettate da situazioni al limite dell’umana comprensione. Ogni inquadratura è tecnicamente perfetta, la recitazione volutamente eccessiva, i personaggi sempre in fuga da qualcosa, ma proprio questo rende la scena vera, adrenalinica fino alla fine.
data di pubblicazione:19/10/2024

da Rossano Giuppa | Ott 19, 2024
(ALICE NELLA CITTÁ 16/27 ottobre 2024)
Alice nella Città lo scorso 18 ottobre all’Auditorium Conciliazione ha ospitato il documentario, presente nella sezione Panorama Italia- Proiezioni Speciali, Come quando eravamo piccoli della regista Camilla Filippi, una intensa riflessione sul senso di famiglia e degli affetti, su come viverli e custodirli per sempre.
Come Quando Eravamo Piccoli, il documentario diretto da Camilla Filippi, è una delicata e sentita dedica allo zio Gigio da parte dei nipoti Michele e Camilla Filippi, i suoi unici parenti rimasti.
Gigio ha subìto una lesione cerebrale causata dall’utilizzo del forcipe, è ipovedente e con evidenti criticità. Ha lavorato per 42 anni agli Spedali Civili di Brescia, è solare, ironico, di compagnia, ama viaggiare e disegnare, un punto di riferimento, e ora è in pensione. Per festeggiare questo traguardo, i nipoti gli organizzano una festa e gli regalano un viaggio da fare tutti e tre insieme. Il viaggio in nave così come il restauro della casa permettono a ognuno di rievocare e rivivere i trascorsi di tre vite.
L’attrice e regista Camilla Filippi porta sullo schermo un documentario autobiografico che affronta i temi universali dei legami familiari, dell’anzianità e della solitudine. La famiglia va vissuta e sentita nel presente tenendo vivo il passato, accettando l’incedere del tempo e la conseguenza della perdita di alcuni affetti, processo che aiuta ad elaborare il dolore ed i sensi di colpa personali.
Il racconto è leggero e affettuoso, toccante e magico. La forza del film è proprio nella capacità che l’intimità ha di trasformarsi in universalità perché attiene alla natura ed ai sentimenti, che va oltre la famiglia e si estende al piacere di occuparsi degli altri, di aprirsi al prossimo, accantonando l’individuale.
data di pubblicazione:19/10/2024

da Rossano Giuppa | Ott 19, 2024
di Sandro Bonvissuto con Valerio Aprea
(Teatro India – Roma 15/27 ottobre 2024)
Apre la stagione del Teatro India di Roma Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta, da un testo di Sandro Bonvissuto, splendidamente interpretato da Valerio Aprea. Un racconto che diventa una magica trasposizione teatrale, incentrata sul rapporto padre-figlio capace di catturare lo spettatore e di proiettarlo indietro al tempo di una memoria lontana e vicina al cuore di tutti (foto Stefano Cioffi).
Un reading intenso, prodotto dal Teatro di Roma e che ha aperto la stagione del teatro India. Un racconto che riporta ai ricordi assolati delle estati dell’infanzia, fatte di luce accecante dai contorni nitidi e indeformabili: siamo in una calda giornata d’agosto al mare di un bambino e dei suoi amici, vissuta dalla mattina fino alla sera. In quel giorno d’estate il bambino è emarginato dai compagni di giochi perché non sa andare in bicicletta e non sa come imparare. Non c’è una tecnica, una logica da apprendere, un approccio corretto. È un rito che solo un padre può far comprendere ad un figlio. Ed è a lui che chiede aiuto. Ecco allora che quella strana alchimia permette magicamente al bambino di acquisire i concetti di equilibrio e velocità, spalancandogli improvvisamente le porte del mondo dei grandi e dando da quel momento in poi anche un senso più profondo al suo rapporto con il padre.
Onirico, comico, poetico, commovente, il racconto ha la capacità di rievocare in tutti noi il giorno in cui imparammo ad andare in bicicletta, tappa fondamentale di crescita dietro la quale non c’è solo l’apprendimento di un semplice atto motorio, ma la scoperta di molto altro.
La voce narrante di Valerio Aprea ci guida meravigliosamente in questo viaggio interiore, dove il protagonista riflette e supera incertezze e paure ed è pronto alle scoperte ed al confronto con gli altri. La bicicletta diventa così il simbolo della libertà appena conquistata, ma anche della solitudine e della consapevolezza che questa comporta. Un gioco armonico tra parola scritta e parola interpretata, tra racconto e riflessioni reso vivo grazie ad una trasposizione fisica incredibile, che riporta il protagonista a quel bambino alle soglie del mondo degli adulti, a quella parte infantile di ognuno in cui ci si riconosce completamente.
data di pubblicazione:19/10/2024
Il nostro voto: 
da Antonio Jacolina | Ott 18, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
J.Y. Machond (B. Poelvoorde) è un modesto e velleitario pittore “concettuale” che vive e lavora a Bruxelles. Insoddisfatto della sua vita artistica e personale è ad un punto critico. Quale migliore soluzione allora che stabilirsi nel luogo simbolo degli impressionisti, a Etretat in Normandia. Lì potrà avere i giusti stimoli ed ispirazioni atte a rigenerarlo come uomo e come artista e dipingere finalmente il capolavoro che gli darà l’auspicata fama e gli cambierà la vita. I luoghi, le scogliere, i panorami e gli incontri soprattutto quello con un pittore figurativo locale e con Cécile (C. Cottin) gallerista bella, intrigante e manipolatrice, gli faranno scoprire non la via per l’Arte ed il successo ma quella “molto più semplice” per la Felicità…
I cineasti francesi e con loro anche i belgi, non è nemmeno più una notizia ma solo l’ennesima conferma, sono divenuti ormai dei veri maestri nella capacità di proporre, scrivere, interpretare e realizzare commedie. Commedie di volta in volta divertenti, tenere, brillanti o anche agrodolci ma sempre eleganti, ben fatte e garbate. Film che sono spesso anche dei piccoli gioiellini cinematografici capaci di affrontare con coraggio e sensibilità anche temi seri e di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa cioè Botteghino e Critica. Scoperte sempre gradite ed apprezzate, divenute quasi consuetudine qui alla Festa del Cinema di Roma.
Liberski, artista multiforme – regista, scrittore e sceneggiatore – è il primo a presentarsi al pubblico della Festa con questa sua piccola commedia con cui torna a dirigere dopo 10 anni. Affronta con garbo, empatia, ironia e leggerezza un tema non banale e certamente non da poco: come essere felici e come cogliere i veri valori della Vita. Il suo film ed il suo protagonista richiamano subito alla mente Jacques Tatì ne Le vacanze di Monsieur Hulot ed un non lontano film di successo: Emotivi Anonimi (2011). Anche oggi come allora al centro della vicenda ci sono personaggi candidi, teneri e fragili, quasi surreali, che la vita ha costretto ai margini e che hanno difficoltà ad esprimere i loro veri talenti. Personaggi onesti ed impacciati in cui ancora una volta lo spettatore potrà riconoscersi e sentirsi poi partecipe dei loro sforzi nel susseguirsi di situazioni sia divertenti che toccanti.
Come sempre dietro questi piacevoli risultati c’è un’ottima sceneggiatura, ben scritta, ben costruita in ogni suo elemento dall’inizio alla fine senza mai una caduta di tono. La messa in scena nella splendida Normandia è curata. Il ritmo è molto sostenuto e vivace. Il montaggio è serrato e non lascia tempi morti. I dialoghi poi sono sempre eccellenti, più che mai cesellati al dettaglio, veri e credibili e soprattutto coerenti con i personaggi. Al centro ovviamente i due protagonisti bravi a dar vita e corpo ai loro ruoli, perfetti nei tempi comici e capaci di esprimere con finezza, realismo e profondità interpretativa la girandola di sentimenti ed emozioni, la vulnerabilità e lo spaesamento. Oltre al perfetto stuolo di secondi ruoli concorre a dar manforte alla coppia anche F. Damiens splendido comprimario nei panni del pittore e bon vivant locale.
L’Art d’etre heureux è dunque una gradevole opportunità per andare al cinema e godersi una commedia tenera, profonda, ben scritta, ben diretta e ben interpretata. Un film che ci farà sorridere in modo intelligente ed anche riflettere, impartendoci anche una lezione di saggezza e di filosofia di Vita. Non poco e, soprattutto, non da tutti.
data di pubblicazione:18/10/2024

da Antonio Jacolina | Ott 18, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Thibault (B. Lavernhe) è un apprezzato direttore d’orchestra a livello internazionale. Gli è stata diagnosticata la leucemia e deve fare delle indagini mediche per un possibile trapianto di midollo. Scopre di essere stato adottato e di avere un fratello di sangue anche lui adottato. Jimmy (P. Lottin) vive in un villaggio vicino a Lille nel Nord della Francia. Sono stati adottati a pochi mesi, uno da una famiglia dell’alta borghesia, l’altro da una famiglia operaia. Anche il secondo ama la musica. Suona però il trombone in una banda di paese che è alla ricerca di un capobanda. Diversi per esperienze di vita, estrazione sociale, livelli culturali e per carattere i due fratelli impareranno a conoscersi e…
Prima della Festa di Roma, En Fanfare è stato presentato con buoni giudizi, nella sezione Première a Cannes 2024. Questo quarto lungometraggio di Courcol che lo ha scritto, diretto ed interpretato, va detto subito, è senz’altro un buon lavoro! L’autore conosce bene il suo mestiere, sa come scrivere, dirigere e come e quando toccare con levità il cuore degli spettatori. Conosce i tempi comici e gli equilibri fra il dolce e l’amaro. In modo particolare, sa circondarsi anche di attori di talento.
Il film ha l’intelligenza di non prendersi troppo sul serio pur essendo confezionato alla perfezione per cogliere la sensibilità del pubblico. A parte lo spunto drammatico iniziale, al suo centro ci sono soprattutto l’amore fra fratelli, le identità familiari e le adozioni, il determinismo sociale, il conflitto e le disparità economiche e culturali ed infine la Musica. La bellezza e la forza della Musica.
Senza mai eccedere né in seriosità né in banalizzazioni la grazia di En Fanfare è proprio nella capacità del regista e dei suoi interpreti di restare in equilibrio sulle varie sfaccettature della vicenda narrata senza mai privilegiare un tema rispetto ad un altro. Tutto un abile gioco di dettagli e sfumature che consente di mettere gioia ed humour nei momenti difficili e mantenere un tono brioso e leggero anche nei momenti seri.
Un buon film senza grandi pretese che non si pone in cattedra né tantomeno scivola nel melodramma o nei tanti possibili cliché. La chiave di tutto è ovviamente una sceneggiatura attenta e dettagliata coerente con dialoghi ben scritti e reali. I ritmi sono incalzanti in una giusta alternanza fra momenti seri e spazi comici. La musica è ovviamente al centro di tutto e quindi la colonna sonora non può che essere complice e sublime fino al magnifico finale. Il cast tutto, compresi i secondi ruoli, è in stato di grazia, vivace, convincente e mai esagerato.
En Fanfare è quindi una piccola emozionante commedia di caratteri che ha quel piccolo buon sapore rassicurante delle cose già viste e conosciute. Ci seduce con la sua grazia, la sua sincerità e la sua tenera semplicità. Buon vecchio cinema popolare nel senso più nobile del termine. Un simpatico ed intelligente feel good movie che farà passare buoni momenti con sorrisi, risate ed anche qualche lacrima. Ciò che ci si attenderebbe dal cinema “sotto casa” e che alla Festa è stato a lungo applaudito.
data di pubblicazione:18/10/2024

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