da Rossano Giuppa | Giu 22, 2020
La tredicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 16 al 21 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) dello stessoTeatro, tra cui si segnalano l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con il giovane scrittore Valerio Mattioli. Nel contempo dal 15 giugno il Teatro di Roma ha riaperto alla città, agli artisti e al pubblico, per un ritorno graduale e modulato negli spazi fisici propri.
Al Teatro Argentina sono iniziati i provini per la selezione del gruppo di interpreti che comporranno i prossimi cantieri produttivi del Teatro di Roma e le prove della compagnia diretta da Giacomo Bisordi per l’allestimento del nuovo spettacolo; mentre al Teatro India si avviano le prove dei nuovi debutti di Muta Imago con Sonora Desert, Industria Indipendente con Klub Taiga, e Frosini/Timpano con Ottantanove, tutte creazioni produttive che saranno in programma nella prossima Stagione. A questi primi ingressi si aggiungerà progressivamente l’entrata di altre compagnie e artisti in prova.
Anche il Teatro Valle riapre alle mostre, dal 25 giugno, con un omaggio alla grande famiglia d’arte che tutto il mondo conosce e ammira, Il Valle racconta: da Scarpetta ai De Filippo è di scena il Teatro.
Il palinsesto digital si è aperto con l’appuntamento di Piero Gabrielli che, giovedì 18 giugno alle ore 16 ha proposto L’esame del Signor Tinègero, di Roberto Gandini, con musica di Roberto Gori.
Venerdì 19 giugno alle ore 18.30, nell’ambito dell’attività di Gruppo_2020 On line, un progetto ideato e realizzato da lacasadargilla, è stato presentato il racconto del giovane autore Nivan Canteri con Horror Story, affidato all’interpretazione di Fortunato Leccese.
E’ continuato il percorso di riflessione e riscoperta della città di Roma e dopo l’appuntamento della scorsa settimana con Luca Bergamo, Vicesindaco e Assessore alla Cultura, sabato 20 giugno alle ore 21 è stata la volta di Valerio Mattioli, autore e editor di NERO e Not, i cui interessi spaziano tra le estetiche, le sottoculture urbane e il pensiero critico contemporaneo. A partire dal suo ultimo libro Remoria. la città invertita, oggetto singolare a metà tra il saggio, il romanzo di formazione e il fantahorror lovecraftiano, il dialogo con il direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti è andato alla ricerca di spunti, reali e immaginari, per ripensare il rapporto della città con i suoi margini, e con le comunità che li attraversano.
C’è un ribaltamento tra centro e periferie, nonché un ribaltamento delle gerarchie della città, chiede Giorgio Barberio Corsetti. Analizzando la mappa di Roma scopriamo che il centro è appena l’1% dell’estensione complessiva della città. Il 99% restante è stratificato, contiene vari pezzi di metropoli esordisce l’autore, che è nato e cresciuto in periferia, posto ostile e denso con dinamiche proprie, cui si contrappone un centro che oggi si presenta ancora più vuoto nel post pandemia. Nel libro si cerca di capire cosa ha prodotto il non centro, che lingua, che immaginari. Dovendo raccontare Roma Mattioli parte dal raccordo anulare che è un punto simbolico, è il corso della città moderna, è l’autostrada che circonda la città; va tenuto presente però che la stessa si espande ben oltre il raccordo stesso, fattore che ha portato enormi speculazioni, non è opera ingegneristica neutra. Nel libro si fa riferimento a come la cultura si sia formata nelle diverse periferie dalla fine degli anni 70 ad oggi. Non c’è una storia approfondita su questo periodo ed è pertanto interessante parlare di esperienze e linguaggi, dopo la fine della stagione dell’impegno, in cui è iniziata una nuova era, caratterizzata dall’eroina e dalle sottoculture post punk, in cui emerge una nuova forma di sottoproletariato, nasce il coatto, dilagano i centro sociali; è il periodo delle feste illegali, i rave che per statuto cercavano interstizi urbani dimenticati, diventando così strumento di presa di coscienza nell’estensione della città e svelando che poi la città era anche quel paesaggio di rovina industriale. A cavallo tra il ‘90 ed il 2000 la città ha provato a reiventarsi, attingendo ai percorsi sviluppati negli anni precedenti, in un processo comune a tutte le città europee. E’ seguito poi il processo di cementificazione delle periferie negli anni successivi, mentre nascevano altre tipologie di periferie, come Ponte di Nona, Porte di Roma, Parco Leonardo minicentri piccolo borghesi con nuovi linguaggi e storie, e nel contempo imperversava il rap e tutte le sue derivazioni.
E se dovesse raccontare l’oggi chiede Corsetti? Valerio Mattioli vede l’effetto finale, il tentativo maldestro di aggiornare la città per renderla simile alle metropoli occidentali, una sorta di parco giochì, con rendite crescenti, affitti che si impennano, una città costosa in cui è difficile vivere e sopravvivere. Di contro e di vero a Roma è che il negativo c’è stato, ha prodotto distorsioni, ma tutto è ancora visibile, immondizia e voragini sono presenti, uno spettro che aleggia, la città è così trasparente che ti obbliga a vedere il disastro, i gabbiani assassini, la sporcizia, il sistema fognario che porta a galla i veri detriti della città. Quali sono le culture che sorgono e si muovono in questo momento? Il tessuto urbano della periferia è disgregato, forse non recuperabile, visti i danni permanenti registrati. Ma ci sono di contro testimonianze incoraggianti come quella di Simone, il ragazzo che affronta i manifestanti che non vogliono a Torre Maura i Rom. Un covo di risentimento e segregazione c’è, unito ad altro come per esempio al Tufello dove ci sono esperimenti comunitari e collettivi interessanti, c’è nella periferia l’estremizzazione e la lungimiranza spontanee.
Da un punto di vista musicale ed artistico Roma produce tantissimo immaginario, con esperienze molto impattanti sia dal lato indie pop che nel rap e trap, vedasi Dark Polo Gang ed Achille Lauro; il serbatoio continua a produrre linguaggi espressione del loro tempo. Quale suono verrà fuori dalla periferia post quarantena?
La ripartenza non può lasciare tutto come prima. Occorre reinventarsi. La quarantena come primo dato ha registrato una ulteriore prova dell’insostenibilità del modello di metropoli caratterizzato da riqualificazioni truffa quale quella del Pigneto e si dovrebbe pertanto registrare un totale capovolgimento.
La danza, il teatro, la performance che ha a che fare con il corpo come rinasceranno, chiede da ultimo Giorgio Barberio Corsetti.
I corpi dei protagonisti di Remoria esternano una diversa fisicità, stigmatizzata dal coatto di periferia che comincia spontaneamente a tirar fuori dei nuovi movimenti, una sorta dii scatti elettrificati come se il fulmine della tardo modernità fosse naturalmente entrato in tali figure.
C’è la diffusione delle danze di strada, le performance forti di attraversamento dell’architettura urbana per arrivare da un punto all’altro, senso di sfida alla gravità ed al vuoto. La natura conflittuale è la bellezza di tali manifestazioni, La continua prova di coraggio è obbligo di sopravvivenza in periferia ma viene sublimato in qualcosa di bello e di estroso, una qualità nascosta rispetto allo sguardo ufficiale del potere che non è in grado di valorizzare ciò. Su tutti la figura del compianto Stefano Tamburini, fumettista e grafic designer, fondatore di Frigidaire, autore di Ranxerox e di opere fatte di furti, plagi, con un significato ed un valore inattesi e nuovi, che crea senza chiedere permesso, periferizzando il centro ed esaltando la vitalità della città.
data di pubblicazione:22/06/2020
da Antonio Jacolina | Giu 17, 2020
“Di u
n grande e prolifico scrittore non si butta via niente…” così scriveva l’ottimo Daniele Poto commentando, mesi fa, un libricino di Somerset Maugham, lo stesso si può dire, anzi a maggior ragione, vista la sua quasi patologica prolificità, per un autore come Georges Simenon. “Di Simenon non si può buttare via proprio nulla!”. Per gli appassionati ed i cultori dello scrittore belga, qualsiasi uscita editoriale è una Festa. In parallelo con la meritoria pubblicazione dei vari Romans Durs (tralasciamo i Maigret, si aprirebbe qui una diatriba senza fine fra quali opere siano più rappresentative del “vero Simenon”), Adelphi prosegue infatti anche la pubblicazione di un Simenon “minore”.
Si tratta anche questa volta, come già per il recente La Cattiva Stella di una raccolta di raccontini pubblicati sulla rivista Police Roman come piccoli gialli ispirati dal lungo giro del mondo che lo scrittore fece fra il 1935 ed il 1938. Articoli poi rivisti e raggruppati nel volume “Nouvelles Exotiques” nel 1944. Come per l’altro libricino ritroviamo i temi e le atmosfere di un mondo coloniale sconcertante ed esotico (Panama, Gabon, Istambul, mari del sud…) visto ovviamente con lo sguardo di un europeo degli anni trenta. Un affresco vivace e sintetico, come solo Simenon sa fare, di vicende umane drammatiche, ironiche e sensuali. Pur trattandosi di fatto di articoli/racconti giornalistici senza alcuna pretesa letteraria, l’autore resta, da par suo, sempre magistrale nell’inventare storie avvincenti e nel definire, con pochi e rapidi tratti, piccoli casi polizieschi, piccoli drammi umani su cui pesa ed agisce, come sempre, il Destino o il Caso e la sua ineluttabilità, si tratti di avventurieri, di donne fascinose e seduttrici, di viaggiatori o di funzionari coloniali, un mondo scomparso, equivoco, intrigante ed affascinante. Come al solito intrigante ed affascinante è anche la lettura dei racconti che volano via in un attimo, piccoli gioielli che se sviluppati sarebbero potuti divenire splendidi romanzi.
data di pubblicazione:17/06/2020
da Rossano Giuppa | Giu 16, 2020
La dodicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 10 al 14 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa dell’imminente ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Luca Bergamo.
L’appuntamento settimanale con il Laboratorio di Piero Gabrielli che giovedì 11 giugno alle ore 16, attingendo da La forchetta fidanzata. Poesie sui segnali stradali di Nicola Cinquetti, ha proposto La patente poetica, un breve percorso poetico costruito su otto segnali stradali. Un modo fantasioso per introdurre i bambini alla lettura di un linguaggio grafico che è indispensabile conoscere il prima possibile. Ma la lettura di un cartello stradale può diventare un gioco di immaginazione in cui, per esempio, il cartello che segnala un dosso può sembrare “un boa che ha ingoiato un cammello”. Il video, con gli attori della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli, diretti da Roberto Gandini con la musica di Roberto Gori, è tratto dalle prove on-line dello spettacolo Un cabaret poetico.
Mentre Radio India si prepara a rinascere in una nuova forma, Fabio Condemi e i suoi ospiti ci hanno accompagnato nelle ultime tre tappe di Specie di spazi, un itinerario radiofonico con il quale in questi mesi il giovane regista si è interrogato su cosa siano gli spazi che occupiamo, che abitiamo e percorriamo ma anche quelli che rappresentiamo, ricordiamo, progettiamo, ripensiamo e con i quali siamo in costante relazione”. L’appuntamento di venerdì 12 giugno alle ore 18.30 insieme ad autori, ricercatori, attori e attrici, ha proposto alcuni capitoli del testo del 1974 di Georges Perec attraverso letture, ascolti, incontri, interviste.
I dialoghi condotti dal direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti con protagonisti e voci provenienti da diversi campi del sapere e della cultura per nutrire di nuovi contributi la riflessione sul nostro presente, sugli scenari che stiamo vivendo e sulla nostra città, hanno visto sabato 13 giugno alle ore 21 protagonista Luca Bergamo, Vice Sindaco e Assessore alla Crescita Culturale di Roma Capitale.
Roma è una città vera che si estende su 1200 km² con una popolazione residente di 2,8 milioni di abitanti; è una grandissima città, ma non è densamente popolata in virtù del fenomeno delle borgate nate negli anni ’60 che hanno dilatato la superficie e che ancora oggi si cerca di rendere vivibili a livello di servizi. È una città che non ha una sua forma, a differenza di altre grandi città che hanno una struttura più funzionale. Esiste un diritto culturale da garantire ma le caratteristiche di questa città fanno sì che chi abita lontano dai luoghi in cui le istituzioni organizzano degli eventi, abbia apparentemente meno diritti culturali. La partecipazione alla vita culturale è più complicata. Occorrerebbero scelte radicali per favorire la sussidiarietà e la partecipazione di singole parti del territorio. Roma è luogo nel quale si realizza il 50% della ricerca scientifica italiana e per questo motivo è un luogo unico al mondo in grado di produrre cultura e conoscenza. Giorgio Barberio Corsetti si è incontrato e scontrato con questa problematica e con questa città permeata di una creatività diffusa con un numero molto ampio di presidi culturali, spazi non solo teatrali e reti solidali, librerie indipendenti, centri sociali e culturali che hanno una effervescenza, capacità e vitalità incredibili ma che però rimangono precarie e non riescono a consolidarsi e trasformarsi. Ha lavorato con il Rialto, il teatro dell’Orologio, l’Angelo Mai, oggi tutti chiusi o in gravi difficoltà nel postcovid. Come si può lavorare, come tutelare e potenziare tale area fragile che intercetta nuovi artisti e nuovi linguaggi? Il dialogo trasversale con le istituzioni che si apre alla città è un punto essenziale sostiene Giorgio Barberio Corsetti.
Luca Bergamo ribadisce che ci sono due elementi essenziali: il primo è la funzione di sostegno del Comune che mette a disposizione risorse finanziarie, cercando di creare condizioni e strumenti di supporto. Dal 2010 c’è stato un crollo vertiginoso nel Comune di Roma di finanziamenti alla cultura con una riduzione pari a circa il 50%; dal 2016 la curva si è invertita, anche se le risorse sono sempre contenute e vanno per il 95% a favore di quelle attività gestite direttamente dal Comune. C’è poi un limite nella flessibilità delle risorse che sia cercando di affrontare, facendo attenzione al bilancio economico ma garantendo la continuità del finanziamento ed aumentando l’offerta culturale in relazione anche altre proposte che la città può offrire, per ampliare anche gli orizzonti.
Il teatro e tutto ciò che è dal vivo in questo momento sono in crisi, ma si cercano delle opportunità per fare ripartire la macchina, sostiene Giorgio Barberio Corsetti; bisogna creare dei punti di riferimento per la organizzazione della comunità teatrale: in questa nuova configurazione come possono rispondere le istituzioni ed anche il Comune di Roma?
Le istituzioni culturali sono tali in quanto sono all’interno della collettività e che sono espressione della collettività stessa. Hanno una funzione anche di garantire la qualità del servizio. Il teatro pubblico deve ampliare lo sforzo come sta facendo il teatro di Roma attraverso la diversificazione della qualità nella proposta ed anche attraverso una espansione del numero di persone interessate al teatro. Il comune vuole continuare ad essere parte attiva di questo disegno, occorre un coordinamento in questo senso ed il Comune di Roma si è attivato, c’è l’esigenza di riordino del sistema nel suo insieme a fronte di rigidità evidenti per cui il lavoro è complesso, ci sono inefficienze, obiettivi specifici che devono essere perseguiti, c’è poi il bisogno di rendicontare la pubblica amministrazione circa l’utilizzo delle risorse pubbliche. Oggi dobbiamo cercare di salvare la cultura oltre che il settore turistico. Bisogna ripensare il concetto di teatro pubblico, viaggiando nella direzione della partecipazione del pubblico, con una visione totalmente nuova che va costruita in maniera integrata per creare un ecosistema in cui tutte le energie vengono messe a frutto, promuovendo una cultura diffusa che rispetti la dignità umana e combatta le diseguaglianze.
data di pubblicazione:16/06/2020
da Antonio Jacolina | Giu 14, 2020
… L’Informazione è Potere, i Documenti sono Informazione ed i documenti sono negli Archivi, in questi ultimi si accumula quindi la base del Potere…
Napoleone all’apice della sua gloria conquistava l’Europa e poneva le basi di un ordine nuovo continentale. Tra i progetti grandiosi ed anticipatori della modernità prendeva forma l’idea di trasferire a Parigi gli archivi più importanti dei paesi annessi e di quelli sotto diretta influenza francese. L’idea era quella di un “Archivio del Mondo”, testimonianza per l’Umanità intera di tutte le documentazioni e memorie della Civiltà. Archivio da situarsi a Parigi, oramai centro della Storia Universale: la Storia vissuta e la Storia documentata, una vera capitale del Mondo.
Un’idea grandiosa che nella realtà si basava su una gigantesca operazione di confisca, manu militari o, senza andare tanto per il sottile con la forza della potenza egemone, dei tanti archivi accumulati nei secoli di città, principati, regni, stati e conventi, che fu ideata ed avviata nel 1809 con un’ampia mobilitazione organizzativa di studiosi francesi e non, di diplomatici, di contatti, di persuasioni, di pressioni, di violenze ed anche di resistenze passive e dilatorie o perfino di rifiuti, nonché di operai, di militari, e poi di analisti ed archivisti. Un grandioso sogno imperiale ma al tempo stesso una necessità per una Potenza ed una nascente dinastia che aveva bisogno di trovare, raccogliere ed accumulare e consolidare radici storiche e legittimazione davanti agli Stati, agli uomini di cultura ed alla Storia.
Chi possiede i documenti della Storia, possiede e può manipolare infatti il passato, il presente e controllare anche il futuro. Così era sempre stato dall’alba della Civiltà, così era per Napoleone. Da sempre fra le prede belliche, oltre alle opere d’arte, c’erano anche gli atti ed i documenti degli sconfitti per il loro valore sia simbolico sia concreto. Il crollo delle ambizioni del “piccolo Corso” fecero però svanire il progetto dopo poco più di un lustro e con la Restaurazione le centinaia di migliaia di documenti requisiti ritornarono agli antichi possessori, o meglio, ai nuovi Stati emersi dopo il Congresso di Vienna e poi, sul finire del secolo, alle Nazioni che sulla Storia, spesso manipolandola, cercavano o fondavano le proprie identità nazionali costitutive.
Oggi, nel nostro mondo globalizzato, interconnesso e digitalizzato, l’attento studio e ricostruzione operato dalla Donato (Directrice de recherche all’Istituto di Storia Moderna e Contemporanea di Parigi) può far pensare ad una ricerca su curiosità di un passato remotissimo. Nulla di più errato! Nulla è cambiato se non gli strumenti del Potere, ieri era importante possedere le pergamene ed i documenti cartacei, oggi e domani sarà importante possedere le informazioni, custodirle, usarle per orientare le opinioni pubbliche, evitare le manipolazioni e, semmai manipolare le altrui informazioni. Governare significa detenere i dati, le conoscenze e la narrazione dei fatti. Il controllo è ancora strategico per democrazie e per dittature e… le recenti vicende sul Covid19: le origini, i numeri, le analisi lo stanno a testimoniare in tutta la loro drammaticità.
La Donato è brava ed accurata nelle ricerche e ricostruzione dei fatti, scrive con stile brillante e prosa sciolta e scorrevole e riesce a rendere avvincente come un romanzo l’avventura colossale ed utopistica, le forzature, le resistenze, le ambizioni individuali e collettive, i sogni e le logiche scientifiche, civilizzatrici ed innovatrici sottostanti il progetto, la sua attuazione logistica ed il suo fallimento, riuscendo ad appassionare anche i “non addetti ai lavori” su un tema di fondo nient’affatto remoto e che, come detto, è invece ancora attualissimo ed in grado di condizionare tuttora le sfide e la realtà di oggi.
data di pubblicazione:14/06/2020
da Antonio Jacolina | Giu 12, 2020
Ottimisti o Pessimisti? Cassandre vaticinanti un pessimo futuro o Analisti di probabili scenari futuri? Eterni Pangloss convinti di “vivere nel migliore dei mondi possibili” in una esagerata visione ottimistica, o realisti pragmatici? Tutti insieme e nessuno al tempo stesso perché la realtà che si presenta alla vigilia della riapertura dei cinema, dei teatri e sale concerto è surreale oltre ogni più fervida immaginazione o sceneggiatura catastrofista.
Soffermandoci sui cinema in particolare per il cui futuro specifico alcuni mesi fa ci eravamo posti degli angosciosi quesiti, sembrerebbe che, secondo le recenti Linee Guida emanate dalle autorità competenti proprio in previsione delle riaperture, il numero massimo degli spettatori ammessi ad ogni evento non possa superare i 200, quale che sia la capienza della sala, oltre ovviamente i vincoli delle distanziazioni dei posti da assegnare e delle misure di sanizzazione ad ogni spettacolo. E’ pur vero che non tutti i cinema facevano un tal numero di spettatori ad ogni proiezione nemmeno nei tempi normali, ma arrivare a definire a priori, anche laddove ce ne fosse, per fatal combinazione, la possibilità o la voglia, il numero massimo dei possibili fruitori, appare una “spinta ulteriore per la discesa”, se non un elemento di difficoltà in più che rischia davvero di essere il suggello definitivo di un settore dello spettacolo che presenta sempre più gravi difficoltà a riprendere la sua normalità.
Normalità difficile da recuperare perché in questi mesi, moltissimi anche fra coloro che non erano interessati, “si sono trovati costretti” a scoprire le opportunità dello streaming ed a cogliere i vantaggi delle Piattaforme i cui abbonamenti hanno avuto infatti un’impennata verticale e, ancor più si prevede ne avranno nei prossimi mesi autunnali, tanto più che si preannunciano prime uscite di titoli di grande richiamo.
E questo è l’ultimo, se non poi il primo dei problemi, in un turbinio folle di cause e concause che si mordono la coda fra loro come in un canile impazzito. I cinema hanno, è vero, difficoltà a riaprire in modo economicamente vantaggioso per i lacci e lacciuoli normativi che li condizionano, ma, al contempo non hanno nemmeno film di particolare richiamo e valore da proiettare e proporre al proprio pubblico spaurito e disorientato, perché a loro volta la Distribuzione e le stesse Case di Produzione non ritengono di “bruciare” titoli che non hanno possibilità di adeguata diffusione e quindi di rientri economici.
Quindi… non riapriranno tutti i cinema perché non ci sono gli spettatori e perché non ci sono film di qualità, non ci sono i film di qualità perché non ci sono cinema e spettatori in numero significativo. L’Estate è arrivata, si danno le date della prossima edizione della Festa del Cinema di Roma, si sa di Venezia, si parla di Cannes, ma tutto è da scoprire come farsi. Nel frattempo, i pochi cinema che riapriranno, le fantasie dei Drive In (che non si costruiscono assolutamente in due settimane) e le poche arene superstiti o le piazze non rappresentano di certo la soluzione del problema e, l’Autunno poi incombe pieno di nuvole grigie!
Era dunque questa la risposta alla domanda che ci eravamo posti appena qualche mese fa? Questa la risposta nei fatti al piccolo dibattito fra lettori che ne era poi seguito?
Speriamo di sbagliarci e di tanto!
data di pubblicazione:12/06/2020
da Daniele Poto | Giu 11, 2020
Uno scrittore inglese che tifa per il Verona? Il mondo è bello perché strano. Tanta carriera ha fatto l’autore vivendo nella città di Romeo Giulietta e tanti libri sono metaforicamente scorsi sotto il suo Adige. Questo è una sorta di fortunato incipit di carriera. Un’immersione artificiale quanto si vuole ma convinta nel complicato mondo degli ultras, in particolare delle Brigate Gialloblu’ che sono quanto di più estremista e radicale circola nelle curve degli stadi italiani. Parks vive una stagione a braccetto con gli intemperanti xenofobi veneti, decisamente politicamente scorretti ma dialettizza il rapporto con il tifo anche attraverso la mediazione dei vertici della società: il presidente Pastorello, il manager Agnolin, l’allenatore Perotti. E il lettore non sa decidersi quale partito sia il peggiore. Perché il coach appare come un uomo imbelle indisposto a qualunque emozione. Per la verità la fortuna ci mette del suo perché in quella stagione a inizio millennio il Verona, ormai completamente dimentico dello scudetto degli anni ’80, perlomeno riesce a salvarsi in capo a una complicatissima annata, conclusa con lo spareggio vincente con la Regina. Parks coglie tanti punti stridenti punti di contraddizione del calcio italiano, certo non migliorato venti anni dopo. Un libro di 500 pagine su una fazione ultrà sembra un’impresa da Divina Commedia. Ma il testo scorre piacevole e dialettico, non certo ideologicamente unidimensionale. La simpatia distante di Parks non è acritica adesione. Vive le trasferte come un ultrà qualsiasi anche se adempie alla mission dello scrittore. Un anno vissuto così ne vale la pena se è servito per un libro che è un’osservazione dal vivo di un fenomeno che oggi fa risuonare (vedi. caso Piscitelli) derive criminali e mafiosi. Gli ultras italiani si sono riuniti al Circo Massimo il 6 giugno 2020 per varare una sorta di Internazionale d’intenti. Dove l’interlocutore privilegiato non è più il calcio ma addirittura il Governo. C’è un progetto sovranista per farlo cadere e gli ultras, non si sa se in buona o in cattiva fede, si prestano all’operazione.
data di pubblicazione:11/06/2020
da Antonio Jacolina | Giu 9, 2020
…”Tutto quello che avreste voluto sapere su Woody Allen, (ma non avete mai osato chiedere)”… o, meglio ancora, “Molto rumore per nulla”… difatti non c’è nulla di sulfureo, né di nuovo, né tantomeno di molto ironico nell’ultima tanto attesa e travagliata autobiografia del noto regista dopo le accuse di abusi sessuali rivoltegli recentemente dalla figlia adottiva Dylan Farrow, abusi che sarebbero avvenuti nel lontano 1992 quando lei aveva solo 7 anni. Va precisato che l’autore ha radicalmente smentito le accuse e che non è stato messo sotto inchiesta. Ciò non di meno, la sua reputazione negli USA è stata ancor più pesantemente intaccata a causa di questa nuova vicenda, al punto che, come tutti i cinefili sanno, il suo ultimo (e riuscitissimo) film Una giornata di pioggia a New York è stato rifiutato negli Stati Uniti ed è stato programmato solo in Europa.
Il libro di Allen dovrebbe essere la parola definitiva davanti alla Storia sulla propria vita (l’autore ha 85 anni), un ritratto a volte personale, molto più spesso professionale. In realtà l’opera ricorda molto di più gli appunti per un’arringa difensiva contro le tante critiche mosse negli anni alla sua produzione artistica, alla sua vita, alle sue scelte. Il libro aggiunge poco di nuovo a quel che già si sa dell’uomo e del cineasta, ed è, nei fatti, costellato di piccole annotazioni, citazioni ed aneddoti legati da un esile filo “dolce-amaro”, da qualche battuta ovvia e scontata e da uno stucchevole tono di continua meraviglia sulla propria incredibile fortuna. Lo stile narrativo è troppo distaccato, come se l’autore stesso fosse un disincantato spettatore della propria vita, quasi incredulo ma che invece vuole che il lettore condivida e creda alle sue versioni, alle sue verità sui fatti e sulle persone. Una volontà ben determinata e tagliente, mascherata da buonismo o, peggio, da tolleranza. Allen, con una buona dose di ambiguità e supponenza, gioca infatti sul limite fra ipocrisia e provocazione. Manca poi assolutamente il senso critico, una riflessione emotiva, una motivazione sugli avvenimenti sia artistici, sia affettivi, sia umani. C’è nel libro una continua citazione di nomi, noti o sconosciuti al lettore medio, (quasi un compulsivo name dropping) senza però alcuna aggiunta di elementi salienti ed originali sulle persone evocate o sui fatti narrati, o sui successi e gli insuccessi della sua vita e dei suoi film. Questa visione unica ed egocentrica, alla lunga diviene asfissiante, piatta e meccanica, Allen, si sa, non si sforza minimamente di essere simpatico né di nascondere il proprio egoismo… e ci riesce perfettamente. Fra estimatori e detrattori, fra innocentisti e colpevolisti nessuno cambierà la propria opinione.
L’opera procede cronologicamente ripartita in tre fasi: l’infanzia felice a Brooklyn, la formazione progressiva del commediante ed il debutto nel cinema e le sue relazioni; l’”Affare Mia Farrow”; ed infine la sua produzione cinematografica. Un ritratto al vetriolo quello della Farrow descritta come manipolatrice e proveniente da una famiglia con molte tare mentali. Un elenco dei suoi film senza però nessuna analisi retrospettiva, quale che sia, nessun accenno alle ispirazioni, alle scelte, alle realizzazioni o un suo semplice commento sui successi o gli insuccessi (tanto valeva allora leggersi la sua filmografia su Wikipedia!). Ma, citando un commento di un critico Olandese: “Allen è un narcisista che è immerso nelle sue nevrosi. I suoi film sono sedute psicoanalitiche, interessanti e talora divertenti, ma, alla lunga, possono stancare. Ciò che attira veramente è la vivacità e la vulnerabilità dell’uomo, un uomo tanto dipendente dalle sue partners fino a svuotarle di ogni loro energia”. Beh, nel libro mancano del tutto sia la vivacità sia e soprattutto l’uomo! Mai titolo più esatto… non c’è NIENTE.
data di pubblicazione:09/06/2020
da Rossano Giuppa | Giu 8, 2020
La undicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 3 al 7 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa di un ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano gli incontri di Giorgio Barberio Corsetti con il regista Alexander Zeldin ed i professori Franco Farinelli e Sandro Mezzadra.
Già dalla scorsa settimana, i Dialoghi del direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti si erano aperti a nuove conversazioni con docenti, intellettuali, architetti, autori e autrici, per riflessioni sul nostro presente, sugli scenari che stiamo vivendo, sulle nostre città. Mercoledì 3 giugno alle ore 19 si è assistito ad una conversazione aperta tra Franco Farinelli, docente e studioso di geografia, cartografia e dei modelli di pensiero ad esse connesse, direttore del dipartimento di Filosofia e comunicazione dell’Università di Bologna e presidente dell’Associazione dei Geografi Italiani, e Sandro Mezzadra, professore associato di Filosofia politica presso l’Università di Bologna, la cui attività di ricerca si colloca sul confine tra la storia delle dottrine politiche, la filosofia politica e gli studi postcoloniali. Un confronto a due per esplorare i significati del concetto di confine, le possibilità della mappa, le implicazioni filosofiche e politiche dei modelli di rappresentazione della realtà geografica.
Nell’ambito degli incontri con gli artisti della scena nazionale e internazionale, sabato 6 giugno alle ore 21 Giorgio Barberio Corsetti ha dialogato con uno dei maggiori talenti internazionale, Alexander Zeldin, drammaturgo e regista anglo-russo, autore di un teatro carnale, emozionante, contemporaneo.
La situazione a Londra è molto complessa, ha esordito Zeldin, sia perché l’attuale Governo è opportunista e sia perché la pandemia purtroppo non è uguale per tutti. Negli ultimi 10 anni il Governo ha portato molte persone sull’orlo della miseria. L’atmosfera adesso è molto confusa e stressante, ci si vorrebbe fidare della politica, ma non ci si riesce. Si può uscire di casa ma le regole non sono chiare, i negozi e i bar sono chiusi e non si può prevedere cosa potrà accadere. Giorgio Barberio Corsetti chiede com’è la situazione in teatro e Zeldin che è direttore del National Theatre ribadisce che il 17% del budget annuale viene da contributi statali ed il resto da operazioni commerciali e franchising, da fondi privati oltre che dal botteghino. L’aspetto commerciale ha dunque un ruolo importante e si rischia il collasso; alcuni teatri sono già chiusi senza un piano di salvataggio da parte dello Stato, molti altri esauriranno i soldi prima della fine dell’anno e non si sa quando si potrà tornare in scena. In Italia i teatri sono chiusi, si parla di distanziamento sociale in caso di riapertura, non si sa come sarà ma, continua Barberio Corsetti, si vuole riaprire.
Il regista anglorusso ha lavorato con gli stessi attori negli ultimi anni; vi partecipano anche studenti o anche persone fuori dell’ambiente del teatro creando una sorta di comunità con attori e non attori che lavorano insieme e che vengono da diversi contesti e con approcci diversi. E’ piuttosto emozionante mettere insieme persone che hanno visioni diverse, che parlano lingue diverse, hanno culture diverse ed è entusiasmante perché non si va sul sicuro. Il Governo sta dando dei sussidi ai lavoratori autonomi ma non basta. Molti attori stanno andando a lavorare nei supermercati, fanno i corrieri o cose simili per tenersi occupati ma è difficile. In Inghilterra il teatro è importante ma è anche molto difficile guadagnarsi da vivere con il teatro per tante persone. Doveva venire a Roma in ottobre con uno spettacolo di grandissimo interesse Love nell’ambito del Romaeuropa Festival, uno spettacolo molto complesso che fa parte di una trilogia; la prima parte si intitola Beyond Caring ed è una storia che parla di addetti alle pulizie con contratto a termine, persone che fanno i turni di notte. Per realizzarlo ha fatto pulizie, ha lavorato con loro e con i sindacati, un processo di immersione complesso per portare il teatro fuori dal teatro e tornare nel teatro con l’energia della vita e della realtà. Love parla di famiglia e di famiglie con figli piccoli che vivono in alloggi di emergenza, rifugi per senza tetto, anche in questo caso con una ricerca fatta passando molto tempo con madri ed i loro bambini che vivono in questa situazione. L’ultima parte Faith, Hope and Charity parla di un centro sociale dove la gente si riunisce per mangiare insieme, una mensa dei poveri dove c’è un coro e c’è musica. Dietro ogni testo c’è un lavoro intenso dapprima personale e poi con gli attori in forma di improvvisazione, ma il processo cambia a seconda del progetto, in quanto deve essere un’operazione corale. Il teatro è uno strumento per vivere più profondamente la realtà perché attraverso il teatro si riesce a parlare con qualcuno come mai si fa nella vita di tutti i giorni. Gli attori improvvisano, inseriscono nuove parti del testo, tutto è possibile e non ci sono regole predefinite e bisogna far entrare gli attori nel testo perché ogni personaggio deve essere creato sulla base di qualcosa di molto intimo. C’è bisogno di scrivere su qualcuno o qualcosa ma è necessario avere la sensazione di perdere il controllo quando si entra di scena, per perdere la cognizione della scena. Negli ultimi 10 anni il Governo ha creato la cultura del sospetto, tagliando fondi alla sanità pubblica, gli aiuti per la casa; nessuno ha un lavoro a tempo pieno, non tutti hanno un tetto sulla testa e non ci sono aiuti e questo crea un clima di povertà anche mentale ed in questa atmosfera si è inserita la pandemia. Giorgio Barberio Corsetti chiede se si possa riprendere in modo diverso, pensare ed agire in modo differente anche nel teatro. Il regista lo spera anche se è preoccupato per il futuro, per tutte le cancellazioni, per il lavoro, ma crede ci sia stato qualcosa di prezioso in questo periodo per chi ha potuto usufruirne, ovvero prendersi questo tempo per fermarsi, per capire che è sempre più importante concentrarsi su ciò che è davvero essenziale. Tutto il mondo è palcoscenico diceva Shakespeare, il teatro deve confrontarsi con le condizioni e con il contesto attuali, c’è bisogno di stare insieme. Il teatro può farci sentire meno spaventati e meno soli e tutti possiamo sentire che abbiamo la vita dentro, grazie al teatro ci si sente più vivi. Anche il pubblico può essere coinvolto nel processo creativo anche se si sta a guardare lo spettacolo seduto dall’altra parte, cambiando la relazione con la scena. C’è molta preoccupazione tra gli attori; bisogna tornare presto alla normalità e se fino a dicembre continueranno ad esserci problemi di distanza di sicurezza e di altre cose, si spera che da gennaio sarà possibile ricominciare normalmente, afferma Giorgio Barberio Corsetti. È incoraggiante per programmare le cose pensare a questo, anche se bisogna avere sempre un piano B nel caso in cui le cose non dovessero andare per il verso giusto. E’ molto difficile rimanere autentici e coerenti ora conclude Alexander Zeldin, che in attesa della ripartenza si sta concentrando sulla scrittura di storie più personali e più semplici, sull’infanzia e sull’amore, alla ricerca dell’essenza basilare delle cose.
L’appuntamento settimanale con il Laboratorio Piero Gabrielli ha proposto giovedì 4 giugno alle ore 16 La lezione on-line del Signor Jourdain, una pillola video in cui si ipotizza che il protagonista della famosa commedia balletto di Molière, prenda lezioni dal Maestro di filosofia tramite la piattaforma ZOOM. Il video, con Giulia Tetta e Fabio Piperno diretti da Roberto Gandini con la musica di Roberto Gori, è tratto dalle prove on-line dello spettacolo Un cabaret poetico della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli.
Venerdì 5 giugno alle ore 18.30 per il progetto Gruppo_2020 On line è stato presentato il racconto della giovane autrice Emma Cori Solitario, affidato all’interpretazione di Anna Mallamaci. Secondo episodio del quintetto di narrazioni fantascientifiche e orrorifiche ideate da un gruppo di giovani autori, tra i 13 ai 20 anni, in un progetto ideato e realizzato da Lacasadargilla e Industria Indipendente.
data di pubblicazione:08/06/2020
da Antonio Iraci | Giu 3, 2020
Esther vive presso la comunità ebraica di Brooklyn dove è costretta, suo malgrado, a seguire le rigide regole imposte dalla fede ultra-ortodossa chassidica. Come donna non può svolgere alcuna attività in società e il suo unico compito sarà quello di dedicarsi alla vita coniugale e concepire figli. Costretta a sposarsi con il giovane Yanky, ben presto si accorgerà di non poter più reggere la monotonia di quel modo di essere e con l’aiuto di un’amica fugge a Berlino, decisa a rifarsi una vita. Vani saranno i tentativi per riportarla a casa…
Unorthodox è una miniserie televisiva, disponibile su Netflix, creata da Anna Winger e Alexa Karolinski che si sono ispirate al libro di memorie scritto da Deborah Feldman in cui si racconta il rifiuto scandaloso delle proprie origini chassidiche. Concentrata in soli quattro episodi, la serie racconta la storia di Esther, allevata a New York in una famiglia ortodossa Satmar e sin da piccola separata dalla madre, che a suo tempo era stata cacciata dalla comunità; raggiunta la maggiore età, la ragazza è costretta a sposarsi con Yanky, un giovane legato al movimento satmarico e molto devoto ai precetti impartiti dalla Torah. Esty ama la vita e desidera studiare pianoforte mentre la vita domestica, in attesa di rimanere incinta, non fa per lei. Per realizzare il suo sogno e sottrarsi ai doveri coniugali un bel giorno decide di fuggire e di volare a Berlino dove l’attende una vita completamente diversa piena di musica e di colori. Girati per la prima volta in lingua yiddish, gli episodi, sia pur di breve durata, sono sufficienti a mostrarci due mondi contrapposti: da un lato quello di una comunità religiosa super conservatrice, dove sono ammessi sole le regole e gli insegnamenti impartiti dal rabbino, dall’altro quello di una società occidentale, la berlinese in particolare, dov’è rispettata la libertà di pensiero e d’azione e soprattutto dov’è accettata la diversità. L’israeliana Shira Haas, nei panni della protagonista, è un’attrice straordinaria, di grande talento, perfetta per rappresentare l’infelicità di questa giovane a cui sono imposti solo doveri e a cui non è concessa alcuna libertà di espressione. Una ricostruzione curata nei minimi dettagli che la regista Maria Schrader ha saputo creare per spiegare un universo a molti sconosciuto e intriso di grandi tradizioni, rigorosamente tramandate da generazione in generazione. Ogni personaggio, ciascuno a suo modo, deve lottare contro i propri demoni e soprattutto destreggiarsi tra il rispetto di inflessibili precetti e il desiderio di integrarsi in un mondo a sé più congeniale. Nonostante da pochi mesi nel catalogo Netflix, questa serie sta già riscuotendo un successo strepitoso tanto che già si parla di girare altri episodi, anche perché la storia adesso rimane in sospeso: rimarrà da scoprire come la ragazza affronterà il suo futuro a Berlino, città che l’ha subito accolta benevolmente forse proprio per le sue radici ebraiche.
data di pubblicazione:03/06/2020
da Rossano Giuppa | Giu 2, 2020
La decima settimana digital del Teatro di Roma, dal 26 al 31maggio, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa di un ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano due appuntamenti per i cento racconti di Centuria a cura di Massimo Popolizio e gli incontri di Giorgio Barberio Corsetti con la coreografa marocchina Bouchra Ouizguen ed il professore Francesco Careri.
La settimana si è aperta con il doppio appuntamento con Piero Gabrielli, martedì 26 maggio alle ore 16 con Il Filo, un montaggio video di poesie tratte da Principerse e filastrane di Silvia Roncaglia, recitate e declamate dai ragazzi della Piccola Compagnia e mercoledì 27 maggio alle ore 16.30, con il Concorso Luigia Bertoletti che premierà i migliori testi poetici (oltre 140 elaborati) realizzati dai ragazzi per il progetto della canzone collettiva Chiuso dentro casa (oltre 16.000 visualizzazioni ad oggi).
Ha continuato a prendere vita, giovedì 28 e domenica 31 maggio sempre alle ore 16 sul palco virtuale di #TdROnline, la staffetta di letture di Centuria, portando in voce e in video trenta dei cento e più mondi allestiti dallo scrittore Giorgio Manganelli. Un bellissimo esperimento in digitale diretto da Massimo Popolizio che, insieme alle voci uniche e multiple dei dodici interpreti di Un nemico del popolo, ci hanno portato sulle tracce di un surreale bestiario di personaggi, molto vicini alle inquietudini contemporanee, per un ritratto caleidoscopico dell’essere umano prodotto dal Teatro di Roma.
L’ingresso nella Fase 2 dell’emergenza ha aperto la necessità di un dialogo con intellettuali, scrittori e filosofi, che possono orientarci nella comprensione di uno sguardo secondo un’altra prospettiva su questo tempo di ripartenza. Primo protagonista di questa settimana è stato Francesco Careri, professore e architetto che mercoledì 27 maggio alle ore 19 ha dialogato con Giorgio Barberio Corsetti sulla città di Roma, sui quartieri e sul modo in cui l’arte e la performance possono trasformarla.
Roma è uno spazio molto esteso fatto di piccoli e grandi quartieri, anche se è molto vuota all’interno con parchi ed aree non densamente abitate. Roma è più che una città un arcipelago, con identità di quartiere ed anche di linguaggio. La scoperta di tanti luoghi diversi nella città è soprattutto una passione per Careri, un gusto dell’esplorazione che espleta camminando e domandandosi su cosa si vede per essere ricettivo ed interrogativo, un percorso che lo porta con i suoi alunni ad entrare nelle realtà, anche violando la proprietà privata per privilegiare l’incontro con l’altro. Si incontra così quello che si suole chiamare degrado, ma che in realtà sono progetti di vita, modi utilizzare la città da cui si può imparare tanto. Le occupazioni abitative rappresentano un modello da cui acquisire esperienze, in quanto condomini e condivisioni eterogenee per cultura, religione, pensiero di vita. Luoghi che vivono di mutua ospitalità da cui si apprende tantissimo in tema di ospitalità e di scambio di esperienze. Gli spazi vuoti della città sono stati mappati e sono circa 200 tra cui l’ospedale San Giacomo in via di Ripetta abbondonato da 12 anni, 59 cinema chiusi, contenitori pronti a divenire oggetti pulsanti del quartiere, per portare nuova linfa. Nel post Covid la scuola e l’università stanno pagando più di altri la reclusione forzata ed ora si deve pensare alla didattica all’aperto, con la città che esce fuori e rinasce. Roma Est in particolare offre molte sorprese, con zone di verde, cave, orti urbani, accampamenti, baracche, con tutte le etnie presenti. Bisogna uscire dalla città per pensare alla città, farsi carico dei problemi e provare a risolverli vista la grossa indifferenza che ci circonda, lavorando su quello che si trova ed esiste già, risolvendo l’emergenza abitativa di prossimità, coinvolgendo la politica, una città forse più sporca e complessa di quella immaginata, ma sicuramente più vera.
Il progetto Circo in particolare di cui il professor Careri è l’ideatore, prevede il riutilizzo del patrimonio abbandonato per farlo abitare da tutti coloro che non trovano spazio, come pensionati, divorziati, reclusi nelle Rsa, bambini, studenti fuori sede, artisti, mediatori sociali naturali per un rinnovamento culturale e sociale della città, anche per chi è di passaggio, i cosiddetti nomadi urbani.
Venerdì 29 maggio alle ore 16 spazio alle nuove generazioni con un quintetto di racconti tra fantascienza e orrore: GRUPPO_2020 che dopo il cantiere di corpi sonori e di narrazioni andato on air su Radio India si è trasformata in versione on line, approdando su #TdROnline in formato video per 5 episodi per 5 racconti, che avranno una nuova ‘messa in forma’, conservando l’architettura interpretativa e musicale della Radio, cui si aggiunge un lavoro per immagini, ogni volta ispirato al singolo racconto.
Si è iniziato con Matahari scritto da Giulio Apicella, con l’interpretazione di Lorenzo Frediani cui seguiranno – con appuntamento settimanale ogni venerdì (5, 12, 19 e 26 giugno) – i successivi componimenti: Solitario di Emma Cori, con l’attrice Anna Mallamaci; Horror Story di Nivan Canteri, con l’attore Fortunato Leccese; La Selva di Carlo Giuliano, con Gabriele Portoghese; Sotterranei di Lucia Marinelli, con Federica Rosellini e Roberta Zanardo.
Storie e paesaggi reali e immaginari che i giovani autori percepiscono intorno al proprio presente a metà tra fantascienza e horror, tra precognizioni e presagi, ossessioni e visioni.
Giorgio Barberio Corsetti ha proseguito con i suoi incontri extraconfine dialogando sabato 30 maggio alle ore 21 con la coreografa marocchina Bouchra Ouizguen, che ha fatto della danza uno strumento ‘geopolitico’ di azione artistica e di emancipazione delle donne nel mondo arabo, tentando di scardinarne convenzioni, schemi, resistenze e divieti, attraverso un coraggioso agire coreutico e dal fulgore vitale. La coreografa è attualmente Marrakech, città nella quale studiava ed in cui è rimasta fino al 2010 creando la compagnia personale, basata su gruppo più eterogeneo di artisti provenienti non solo dalla danza ma anche dalla musica e da altre arti, cercando anche collaborazioni con artisti provenienti da altre città, artisti non contagiati dall’ambiente turistico. Si riesce a creare un’interazione con un pubblico eterogeneo, chiede Barberio Corsetti. Ci sono attori giovani e anziani, generazioni che si incontrano, un mix gli artisti e di scuole diversi, artisti che subiscono a Festival o feste o matrimoni. Come immagina la fine del virus e cosa cambierà chiede Barberio Corsetti. La fine è già in quanto tutto è stato posticipato o cancellato e questa sarà una stagione senza rappresentazioni; durante il lockdown non aveva interesse a colloquiare con il mondo esterno, ma è stata l’occasione per prendere una pausa, per riflettere, una occasione per stare di più in Marocco vicino all’equipe e sviluppare dei progetti. Si cerca di analizzare le cose ma si è in uno stato di confusione e si fa fatica a immaginare la fine. Quali sono i progetti su cui lavorare in questo periodo? Quando sarà possibile uscire la coreografa vorrebbe collaborare nel suo quartiere con un orfanotrofio e un centro giovanile interessanti perché ci sono delle persone piene di energia che fanno un lavoro eccezionale; le piacerebbe fare qualcosa con loro. Erano pianificati a Roma due suoi spettacoli; Corbeaux potrebbe essere messo in scena in una situazione covid perché è all’aperto e prevede distanze tra pubblico e singoli ballerini in piena sicurezza. E’ una performance nata per grandi spazi architettonici e giardini che non sono luoghi di danza contemporanea ma luoghi in cui il pubblico si muove, una performance sonora concepita per il suono e per la visione. Lo spettacolo è stato concepito non per il teatro ma per la stazione degli autobus di fronte al Teatro Reale di Marrakech, con un pubblico diverso che può assistere alla performance solo per un minuto o per l’intera durata dello stesso. In Italia la situazione è molto grave perché le persone non hanno potuto lavorare non essendoci il contratto intermittente; nella sua compagnia ci sono collaboratori marocchini e esterni non c’è contratto a intermittenza e si subisce la situazione. Si vive esclusivamente grazie alla diffusione degli spettacoli senza avere contributi dal governo. Nel momento in cui è stato imposto il confinamento lo Stato ha deciso che tutti i lavoratori che non hanno un salario regolare percepissero un sussidio ogni mese in base ai componenti del nucleo familiare e questo ha tranquillizzato le persone in quanto il confinamento è stato accolto positivamente ed è stato rispettato, visto che era compresa l’assistenza sanitaria che non può essere coperta dal singolo individuo.
Nella sua compagnia ci sono performer anziani e quindi più a rischio ma dipende da come evolverà la situazione, ora il presente va visto come opportunità per pensare e non per contare le perdite di posti di lavoro. Essere creativi senza farsi travolgere dagli eventi cercando di ottenere quante più cose positive da questa situazione, è questa la sua visione ora. L’atro spettacolo Elephant in un tempo sospeso dal titolo perfetto anche se deciso prima della pandemia e profetico, vede però le interpreti sono a stretto contatto ed ammassate fino al soffocamento le une con le altre e quindi complicato da mettere in scena oggi.
E’ il momento in cui si lascia decantare il lavoro per pensare a quello che si può fare altrove ma anche l’occasione per poter lavorare con altre persone su altri progetti e per avere anche del tempo libero per leggere e meditare e lasciare che la creatività lavori. In questi giorni ha ballato mentre leggeva o cucinava e questo le ha permesso di rivivere e riassaporare alcune sensazioni, secondo un atteggiamento mentale dell’anima, un processo creativo divertente e non ossessionante, una sorta di disconnessione in un momento in cui si è calmato: la disoccupazione forzata di quest’anno ci permetterà di lavorare meglio per assaporare il piacere del presente senza essere ossessionati dal futuro.
data di pubblicazione:02/06/2020
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