VELENO di Hugo Berkeley – Prime Video, 2021

VELENO di Hugo Berkeley – Prime Video, 2021

La serie “Veleno”, targata Amazon Prime, racconta in cinque episodi una vicenda giudiziaria discussa e controversa, passata agli annali come la storia dei “diavoli della bassa modenese”.

Tra il 1997 e 1998 il fazzoletto di terra delimitato dai comuni di Mirandola, Finale Emilia e Massa Finalese si macchia di orrore. Alcuni genitori sono accusati di abusi sessuali nei confronti dei figli minori: le indagini, proseguendo sul filo di un incontrollabile effetto domino, conducono a episodi di pedofilia e satanismo, che dal buio delle case e dei casolari giunge fino al teatro lugubre dei cimiteri.

I bambini parlano, raccontano, si liberano di un peso opprimente.

Gli assistenti sociali ascoltano, domandano, seguono le fila di un racconto che diviene sempre più sconvolgente.

I genitori negano, si disperano, cercano di sfuggire alla morsa di processi in cui la condanna sembra scritta fin dalle battute iniziali.

Una madre accusata si lascia cadere dal balcone. Don Giorgio Govoni, il parroco “alternativo” di San Biagio, indicato da alcuni bambini come il sacerdote delle messe nere durante le quali gli stessi venivano abusati sessualmente e uccisi, muore di infarto. Tutti i genitori coinvolti sono allontanati dai propri figli. Le piccole vittime cercano, a fatica, di tornare a galla dopo l’abisso di tenebre e sofferenza nel quale sono sprofondate.

Proprio quando queste storie sembravano sommerse dalla polvere e dal buio di un passato dimenticato, il giornalista Pablo Trincia si imbatte in una trama che gli sembra contradditoria e lacunosa. Studia il caso, incontra alcuni dei suoi protagonisti e nel 2017 pubblica il poadcast “Veleno”, da cui sarà tratto nel 2019 l’omonimo libro e che rappresenta anche la base su cui è costruita la serie Amazon. Sempre nel 2019, poi, i giornali iniziano a parlare del “caso Bibbiano” e degli affidi irregolari che, di nuovo, tornano a scuotere la tranquillità della provincia di Reggio Emilia.

Il merito di “Veleno” è quello di restituire la complessità di una storia che non si presta né ad essere banalizzata né a trovarsi costretta nelle pastoie binarie del “vero-falso” o del “giusto-sbagliato”. Lo spettatore ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’atmosfera pirandelliana, degna de “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”: ognuno con la sua verità e le sue ragioni, tante versioni tutte a loro modo convincenti. Cambiando prospettiva, cambia anche la “verità”.

La psicologa Valeria Donati si trova messa impietosamente sotto accusa, ma “Veleno” le dà la possibilità di replicare. Alcuni dei bambini, a partire da Davide, il “paziente zero” che con le sue dichiarazioni ha avviato il contagio dei diavoli della bassa modenese, avanza dei dubbi sulla genuinità delle proprie dichiarazioni, ma altre bambine, ormai donne, confermano gli abusi e rivendicano con forza il proprio ruolo di vittime (non di carnefici).

Allo spettatore, allora, non resta che dubitare. Dubitare di una macchina giudiziaria che è in grado di stritolare chi si trovi nel mezzo dei suoi implacabili ingranaggi, ma dubitare anche di letture che, è il caso di dirlo, potrebbero correre il rischio di “gettare via il bambino con tutta l’acqua sporca”.

data di pubblicazione: 14/06/2021

I PROFUMI DI MADAME WALBERG di Grègory Magne, 2021

I PROFUMI DI MADAME WALBERG di Grègory Magne, 2021

Commedia raffinata, lieve, come i francesi sanno fare e bene. Le vite dei due protagonisti raccontate attraverso i profumi e gli odori che sovente tratteggiano le nostre vite, gli amori, gli affetti, i ricordi di un’infanzia felice ma anche i fallimenti, e che non necessariamente sono buoni per tutti, ma che sicuramente sono evocativi del proprio vissuto come vere e proprie sensazioni indelebili. Una delicata indagine sull’essere umano visto sotto un’angolatura davvero originale, che sorprende ed allieta.

Anne Walberg – una bravissima Emmanuelle Devos, con una recitazione asciutta, fatta di piccoli gesti e di sguardi eloquenti – è un famoso “naso” contesa per anni dalle più famose maison di profumi (come recita il titolo originale del film Les parfums), ma che nasconde un segreto legato proprio alla sua particolare professione. Donna egoista e prepotente, alquanto snob in ogni cosa che fa o dice, difficile ed estremamente riservata, guarda tutte le persone con cui entra in contatto con una buona dose di alterigia, tenendole a debita distanza. Guilaume – un ironico Grègory Montel, conosciuto ai più per Chiami il mio agente – diventa il suo autista: uomo semplice ma intelligente, con una scarsa autostima che lo porta spesso ad essere un perdente, diviene ben presto la sua vittima sacrificale. Guilaume è disposto a lavorare sodo pur di permettersi un appartamento più grande del suo monolocale di appena 24mq anzi “quasi 25”, solo per poter ottenere dal giudice l’affidamento condiviso con la sua ex moglie della figlia di appena 10 anni, che ovviamente adora e che vorrebbe ospitare una settimana al mese.

Eppure Anne e Guilaume, due esseri così lontani, riescono a trovare un incredibile punto di contatto. Ed è su questa empatia, alquanto improbabile ma così preziosa, che il film si sviluppa e ci convince con un plot originale e delicato che appassiona, supportato dalla bravura di due interpreti d’eccezione calati perfettamente nei rispettivi ruoli degli opposti che si attraggono, contribuendo al sicuro successo della pellicola.

Commedia raffinata, fresca, inebriante come i profumi di Madame Walberg e l’odore di erba tagliata che tanto piace a Guilaume, il film è un viaggio nelle vite di due esseri soli, ma con un grande dono che entrambi non comprendono sino in fondo di avere e che incontrandosi si esalta, si rafforza, come le essenze ben assortite di un’ottima fragranza che entra nella nostra memoria attraverso l’olfatto e accompagna per sempre la nostra vita.

Se ne consiglia la visione rigorosamente sul grande schermo.

data di pubblicazione:12/06/2021


Scopri con un click il nostro voto:

LO SPETTACOLO IN GALLERIA

LO SPETTACOLO IN GALLERIA

(Galleria Sciarra/Teatro Quirino – Roma, 5 giugno 2021)

Veronica Pivetti in dialogo Pino Strabioli sulle donne e la parità di genere. Monica Guerritore legge alcuni brani tratti dalla drammatica storia raccontata nel suo libro Quel che so di lei. È la donna la protagonista della serata inaugurale degli Spettacoli in galleria, serie di eventi che andranno avanti tutta l’estate organizzati dal teatro Quirino in collaborazione con il bistrot Angolo Sciarra per il patrocinio del Comune di Roma e di ANAC.

 

 

La Galleria Sciarra muta anche quest’anno la sua funzione di passaggio tra piazza Santi Apostoli e fontana di Trevi in luogo di eventi e concerti, a cui si potrà assistere consumando al tavolo un aperitivo o una cena. La suggestiva architettura umbertina e le decorazioni del Cellini, che glorificano la figura della donna ottocentesca nelle sue virtù, fanno da cornice e da ispirazione per gli appuntamenti in programma. Il tema affrontato è la parità di genere e lotta alla violenza contro le donne, piaga sociale che si è acuita durante il periodo di chiusura dello scorso anno e che ha portato il Comune di Roma ad aprire nuovi Centri Antiviolenza nel territorio, come ricorda l’Assessora alla Crescita culturale Lorenza Fruci. La cultura della legalità e il rispetto dell’altro e dell’altra sono al centro dell’intervento invece di Giuseppe Busia, Presidente dell’Autorità Anticorruzione (ANAC). È la cultura il veicolo attraverso cui l’artista si carica di una responsabilità sociale inequivocabile: educare le persone al rispetto e all’inclusione, alla conoscenza e alla divulgazione di messaggi positivi per farne uno strumento di denuncia. Nelle parole di Veronica Pivetti, intervistata sul palco da Pino Strabioli per il primo degli incontri che quest’anno precederanno gli spettacoli, è forte la consapevolezza che il teatro, ma parimenti il cinema e la letteratura, hanno questo dovere e questo scopo. Un artista, quando anche è un personaggio pubblico, ha la responsabilità di svolgere il suo mestiere come un atto politico. Così lo ha svolto Carla Fracci, a cui è rivolto un affettuoso ricordo, che non dimenticando le umili origini si è battuta perché la scuola di danza alla Scala fosse accessibile gratuitamente.

In questo contesto si inserisce la storia di femminicidio raccontata da Monica Guerritore, ispirata a un fatto di cronaca accaduto a Roma all’inizio del secolo scorso. La contessa Giulia Trigona è vittima del suo amante in un albergo vicino la stazione durante un piovoso pomeriggio di marzo. L’attrice ripercorre insieme alla donna il buio corridoio che conduce alla stanza dell’omicidio, la numero 8. A quell’appuntamento avrebbe voluto dire addio all’uomo che non amava più. Ma è proprio a questo punto che si ripete lo schema immortale della violenza, quando lei decide di abbassare la guardia concedendosi un’ultima volta. L’uomo non sopporta il rifiuto e il cambiamento della donna, per questo la uccide. Il racconto di cronaca è riportato con algida precisione da Monica Guerritore, un elenco di fatti ore e luoghi. Occorre forza e freddezza per raccontare la verità, per non cedere alla pietosa tentazione di giustificare l’assassino. L’emozione salta fuori quando sono altre donne a entrare nel racconto. Sono i personaggi più significativi interpretati dall’attrice nella sua lunga carriera: Emma Bovary, la Lupa, Oriana Fallaci, Carmen, la Signorina Giulia, Liubov’ Andreevna. Appaiono come fantasmi di un ricordo dalle stanze dell’albergo del delitto. Stralci di dialoghi e volti sbiaditi tornano alla memoria. In Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman (la versione teatrale andò in scena nel 1997 per la regia di Gabriele Lavia), Marianne è vittima del tradimento del marito. Durante una lite furibonda lui tenta di sferrarle un calcio ma colpisce, distruggendolo, il water del bagno. Woody Allen trasforma in commedia questo meccanismo di morte e i due protagonisti di Mariti e mogli, Sally e Jack (adattato a teatro dalla Guerritore nel 2016), si ritrovano infine abbracciati. Per rompere la spirale di morte occorre prendere di petto l’amore, stravolgerlo e ricomporlo con fiducia e rispetto. Solo allora si potranno immaginare finali diversi per le tante storie di dolore e violenza, dove il tratto comune sarà solo la leggerezza.

Riprende così l’attività del Quirino, un’istituzione che festeggia quest’anno i suoi 150 anni di attività. È stato facile creare il cartellone, come dice il Direttore artistico Geppy Gleijeses, tanta è la voglia di tornare a fare spettacolo. Prossimo appuntamento sabato 12 giugno con la presentazione del volume di Tiziana Ferrario Uomini è ora di giocare senza falli! e il concerto del siciliano Mario Incudine, D’acqua e di rosi.

data di pubblicazione:11/06/2021


Il nostro voto:

IL METODO KOMINSKY di Chuck Lorre – Terza Stagione su NETFLIX, 2021

IL METODO KOMINSKY di Chuck Lorre – Terza Stagione su NETFLIX, 2021

Sandy Kominsky (Michael Douglas)mancato grande attore hollywoodiano riconvertitosi da tempo in insegnante di recitazione per giovani aspiranti attori, si barcamena da tempo, con notevole dose di autoironia, fra disillusioni ed ansie legate all’età. Questa volta, scomparso il suo affermato agente e migliore amico Norman (Alan Arkin), il nostro Sandy è costretto ad assumere nuovi ruoli ed affrontare da solo nuove responsabilità rientrando anche in contatto, complice il matrimonio della figlia, con la sua ex moglie Ros (Katleen Turner) …

Succede ormai spesso nelle Serie Fortunate: le prime due stagioni sono ottime, poi, purtroppo le successive, pur tanto promosse ed attese fra i fans, ineluttabilmente non mantengono gli alti livelli e … alla fine … resta solo quel gusto un po’ amaro, di aspettative un po’ disattese!

E’ il caso anche dell’attesissima Terza Stagione de Il Metodo Kominsky del maestro delle sit com Chuck Lorre, appena andato in onda su Netflix. Perché? Perché è venuto a mancare un coprotagonista del calibro di Alan Arkin che nelle prime due stagioni aveva fatto veramente scintille in splendida, caustica, brillante complicità con Michael Douglas. Con la sua scomparsa viene infatti a mancare quel gioco sottile di ironia, di dialoghi, di contrappunti pungenti e di situazioni paradossali che la sceneggiatura aveva abilmente saputo costruire sui due personaggi di “giovani scapestrati anziani”, sui talenti recitativi ed interpretativi della splendida coppia Arkin/Douglas.

Comunque sia e con molta furbizia e consapevolezza degli autori, l’ombra dello scomparso Norman/Arkin si proietta egualmente su tutta la Terza Stagione, anche se il posto del vecchio amico viene in qualche modo preso da Katleen Turner (irriconoscibile!!Ahinoi quanto lontani gli splendori di Brivido Caldo 1981 o di All’inseguimento della pietra verde 1984) riproponendo con palesi ammiccamenti e riferimenti ai loro film passati, i vecchi e collaudati giochi di coppia dei due talentuosi attori.

I dialoghi sono sempre ben costruiti, quasi col cesello, caustici, cinici, ironici, brillanti ed a ritmo continuo. Gli altri protagonisti sono altrettanto bravi e giusti, come sempre nei film americani, un casting veramente perfetto in tutti i ruoli anche quelli più marginali, divertente ed autoironico poi il cameo di Morgan Freeman.

I nuovi sei episodi sono concentratissimi, solo 27 minuti ciascuno! Non si mena il can per l’aia e vanno quindi subito all’essenziale! con un ritmo, uno script ed un montaggio veramente incalzante e sostenuto, con uno humour talvolta nero ma pur sempre, alla fine, gradevole. Forse, rispetto alle precedenti due stagioni sono un po’ troppo sottolineati gli accenti drammatici e c’è qualche cliché di troppo, quasi come se l’iniziale verve creativa e pungente si fosse stancata, appannata e intristita! Comunque sia, pur con queste pecche, questa Terza Stagione resta ancora uno spettacolo piacevole e godibile frutto evidente di un’elevata professionalità collettiva, e pur sempre fra le cose migliori vedibili nello scenario un bel po’ deludente delle offerte attuali.

Il Metodo Kominsky continua a funzionare! funziona!

data di pubblicazione:10/06/2021

AMANTI E REGINE il potere delle donne di Benedetta Craveri – ed. GLI ADELPHI 2021

AMANTI E REGINE il potere delle donne di Benedetta Craveri – ed. GLI ADELPHI 2021

Noi che amiamo la lettura ed i libri, quante volte siamo entrati in libreria per comprare un certo libro e … siamo invece usciti “conquistati”, “comprati” da un altro libro che è riuscito a farsi notare, toccare, sfogliare, scegliere ed infine acquistare? Infinite volte! Ed ogni volta un piacere che molto spesso ci fa anche scoprire piccoli gioielli di cui non ci eravamo accorti.

E’ il caso di Amanti e Regine apparso per la prima volta nel 2005. Un saggio storiografico e biografico, interessante, brillante ed intrigante, mai pedante o didascalico, che, al contrario, diverte tenendo il lettore legato al racconto quasi fosse un romanzo, con cultura, brio, competenza, curiosità e dettagli piccanti che ci offrono un quadro prezioso delle corti dei Re di Francia dai primi decenni del XVI secolo alla fine del XVIII, unitamente alle vite, ai pensieri, alle passioni delle donne che li hanno amati affiancandoli o anche sostituendoli nell’esercizio del Potere.

La Craveri, studiosa e scrittrice affermata del mondo francese, ci offre una gradevole rilettura rapida della storia francese attraverso una serie di ritratti di donne accomunate tutte dal desiderio di arrivare al Potere (a quel Potere che spettava ai soli uomini) e … poi di mantenerlo, donne tutte fuori del comune e molto spesso avanti per l’epoca in cui vissero. Alcune hanno usato l’astuzia, altre la seduzione, altre l’intelligenza per riuscire a farsi spazio, tutte e senza remore alcuna hanno usato la loro bellezza per raggiungere il più alto livello. Siano esse state regine, reggenti, nobili, semplici borghesi favorite o amanti dei Re, tutte hanno segnato la Grande Storia ed anche la storia delle donne entrando nel Tempo e nell’Immaginario Collettivo (letterario e popolare) con le loro fortune e sfortune, virtù e pregi, vizi e difetti.

Scrive l’autrice: ”… in un’epoca in cui non era prevista per la donna altra identità all’infuori di quella di figlia, di moglie, di vedova, ci sono state delle donne che forti delle loro ambizioni sono riuscite a farsi valere approfittando delle circostanze loro favorevoli e delle debolezze maschili, e son state capaci di mantenere e difendere il ruolo acquisito …”. I loro nomi ci sono noti: Anna d’Austria, la Pompadour, Maria e Caterina de’ Medici, Diane de Poitiers, Maria Mancini, M.me du Barry, la Montespan ed infine Maria Antonietta.

Una galleria di ritratti, di destini spesso spettacolari, un excursus sul Potere fra intrighi, passioni e segreti che hanno fatto la Storia della Francia e dell’Europa fino alla Rivoluzione del 1789. Una brillante lezione di Storia attraverso la piccola storia e attraverso l’angolo di visuale delle donne che ci permette di meglio conoscere, capire o anche soltanto riscoprire fatti e retroscena storici.

La Craveri oltre che ben preparata e documentata ha anche il dono di saper scrivere bene ed in modo semplice, accattivante e divertente ed il suo è quindi un libro veramente piacevole a leggersi, non solo per gli appassionati di Storia ma anche per tutti coloro che non hanno bene a mente quei fatti e quei periodi e che potranno solo divertirsi a leggere il libro semplicemente come un romanzo appassionante che ci parla di storia e delle tante storie di donne che han fatto la Storia.

data di pubblicazione:09/06/2021

IN DUE ORE O POCO PIÙ di Mara Fux- Prospettiva editrice, 2021

IN DUE ORE O POCO PIÙ di Mara Fux- Prospettiva editrice, 2021

L’imminente quanto auspicabile fine del periodo più duro di confinamento dovuto alla pandemia ha liberato trame attinenti al periodo più difficile vissuto globalmente dall’umanità dalla seconda guerra mondiale in avanti.

Mara Fux sdogana in questo agile volumetto la quotidianità dell’anormalità intrecciando i destini paralleli di varie coppie e famiglie, sull’argine del politicamente corretto in un alveo che non può prescindere da Roma nord, tranne qualche scorribanda della perduta movida sognata a San Lorenzo o al Pigneto. Ne risalta un affresco con varie cifre e colori, con piccole comuni storie vissute nel lockdown. Rigurgiti di crisi di coppia, difficile accettazione morale o moralistica di coppie omosessuali, routine che si sbriciolano nella non semplice divisione dei compiti di casa, overdose bulimica di libri cucinati, di serie televisive infinite, più raramente di libri letti. Si dipana così un piacevole romanzo breve la cui epitome si può decifrare nelle pagine finali, quanto mai istruttive.

C’è molto dell’autobiografia dell’autrice che deve intervistare un uomo di spettacolo che racconta il suo approccio originale all’isolamento, un periodo anti-creativo ma quasi un antidoto a quello che c’è prima e quello che verrà dopo. Il segno di una diversità da abbracciare e di un cambiamento da cogliere. Scontato che non saremo più eguali a prima dopo un periodo del genere e il dialogo terminale né è la perfetta quanto consistente metafora situazionale.

Questo libro è anche un transfer liberatorio per un vissuto che non vorremo più rivivere ma dal quale ancora non siamo pienamente usciti. Dunque un libro fortemente confitto in un’attualità dialettica che ora ci fa finalmente intravedere una via d’uscita. Parlando di questo abbiamo anche  esorcizzato e ci siamo tuffati nell’avventura del futuro. Opera seconda ma non ultima di una fresca cronachista del nostro tempo, fortemente con i piedi poggiati sul reale.

data di pubblicazione: 8/06/2021

IL TEATRO DI GEPPY GLEIJESES NELLE FOTOGRAFIE DI TOMMASO LE PERA – Manfredi Edizioni, 2021

IL TEATRO DI GEPPY GLEIJESES NELLE FOTOGRAFIE DI TOMMASO LE PERA – Manfredi Edizioni, 2021

Novità editoriale in ambito teatrale per questa primavera 2021. Presentato al Teatro Quirino di Roma lo scorso 25 maggio il volume sul teatro di Geppy Gleijeses documentato negli scatti fotografici di Tommaso Le Pera a cura di Maria Paola Poponi (collana artSipario – leggi il Palcoscenico).

 

Tommaso Le Pera arrivò molto giovane a Roma dalla Calabria negli anni sessanta. Iniziò a fotografare i primi artisti al Folkstudio di Trastevere per poi passare al teatro “ufficiale”. Da allora gli spettacoli documentati sono circa 4500. Tra questi ci sono i lavori di Geppy Gleijeses, incontrato la prima volta nel 1980 quando il giovane regista – alla sua prima esperienza da capocomico – mise in scena Il voto di Salvatore Di Giacomo al teatro Valle di Roma. La collana di volumi che la Manfredi Edizioni sta pubblicando è un’opera preziosa e di grande valore. Un’enciclopedia realizzata con le immagini di Tommaso Le Pera che ripercorre la straordinaria carriera di tanti personaggi che hanno fatto grande il nostro teatro e la nostra cultura: Mariangela Melato, Gigi Proietti, Gabriele Lavia, Antonio Calenda, Tato Russo e ora anche Geppy Gleijeses. Preziosa è anche la veste: copertina rigida e stampa serigrafica di ottima qualità che rende giustizia alle immagini uniche nate dalla mano – anzi dall’artiglio come lo definisce Geppy Gleijeses – del suo autore. La bravura di Tommaso Le Pera sta proprio nella capacità di catturare l’anima dell’attore mentre esibisce il personaggio. Rispetto alle precedenti pubblicazioni della collana, la sezione “l’attore si racconta” si aggiunge a quella delle testimonianze e a quella ben più estesa delle foto dei 25 spettacoli ripresi. In appendice le immagini di due spettacoli di prossima rappresentazione ripresi, come di consuetudine, durante le prove: Processo a Gesù di Diego Fabbri e Servo di scena di Ronald Harwood.

Il ritratto di Geppy Gleijeses che viene fuori è quello di un uomo di teatro totale, pratico e senza retorica. Lo definisce così Masolino D’Amico, intervenuto sul palco alla presentazione del volume insieme ai curatori, alla regista Liliana Cavani e alla giornalista Emilia Costantini. Un impresario e capocomico generoso e disponibile, coraggioso e sfrontato nel proporre testi e autori di alto livello. Tra le gioie più grandi che la vita gli ha regalato, Geppy Gleijeses ricorda quella di aver conosciuto Eduardo De Filippo. Da lui ha imparato molto: l’onestà, la verità, la coerenza (specialmente con i compagni di scena). E ancora il rispetto dei ruoli e la passione per un mestiere condotto come un vero artigiano. Mi sia permesso di paragonare il suo lavoro a quello dei presepisti napoletani, che con dedizione e cura realizzano scene meravigliose. Ma anche il rispetto per il pubblico, perché il teatro è il ponte attraverso il quale si viene condotti dagli attori in un sogno, la cui bravura sta nel mostrare il mistero senza però svelarlo del tutto. Un gesto miracoloso e terapeutico. Nel suo intervento Liliana Cavani, che ha conosciuto la regia teatrale proprio grazie all’invito di Geppy Gleijeses a dirigere Filumena Marturano (2016) e Il piacere dell’onestà (2017), sottolinea il potere dell’emozione che genera il teatro, più forte a volte che al cinema. Il rapporto con il pubblico mette a nudo: funziona o non funziona.

La serata è stata un’occasione anche per riaprire le porte del Quirino, chiuso come i due terzi dei teatri privati italiani a causa della pandemia. Ma presto ripartirà il calendario estivo con Lo spettacolo in galleria (serata inaugurale il prossimo 5 giugno). In cartellone una ricca proposta di eventi culturali e incontri il cui tema centrale sarà la parità di genere e la lotta alla violenza.

data di pubblicazione:04/06/2021

LA FAMIGLIA KARNOWSKY di Israel Joshua Singer – ed. GLI ADELPHI 2021

LA FAMIGLIA KARNOWSKY di Israel Joshua Singer – ed. GLI ADELPHI 2021

Come il fratello Isaac Bashevis Singer vincitore del Nobel per la Letteratura nel 1978, anche Israel Joshua Singer è stato un grande scrittore, peccato che sia morto nel 1944 un anno dopo la pubblicazione del suo libro ed a soli 51 anni! Anche lui è stato prima giornalista e poi romanziere ed anche lui ha scritto prevalentemente in yiddish storie e vicende ispirate alla vita degli ebrei originari dell’Europa dell’Est. Ogni fratello ha saputo rendere magistralmente, a modo proprio, la personalissima testimonianza letteraria delle esperienze antiche e profonde che si portavano dentro i propri animi; per Isac Bashevis l’opportunità è stata La Famiglia Moskat ed il mondo ebraico-polacco, per Israel Joshua c’è stata invece La Famiglia Karnowsky.

Un grande affresco familiare di rara finezza e profondità, ricco e coinvolgente che si legge velocemente e con piacere grazie ad un sottile velo di distacco ironico e ad una scrittura fluida, bella e semplice, a tratti asciutta e severa, che rende sempre viva e vivida la storia narrata. Un romanzo corale che segue il destino di 3 generazioni di una stessa famiglia ebrea dalla metà dell’800 al 1940. Dalla Polonia fino agli ambienti ebraici berlinesi perfettamente assimilati nella cultura tedesca, fino poi alla fuga negli Stati Uniti al sorgere delle prime discriminazioni e persecuzioni razziali con l’affermarsi del nazismo dopo il 1933, per finire con il difficile reinserimento a New York.

Un romanzo corposo e robusto, realista e profondamente umano, una saga che va ben al di là di una mera narrazione letteraria per divenire, in effetti, una documentazione autentica di una società e di una umanità composita osservata, con sguardo imperturbabile da Singer, con le sue luci e le sue ombre, con dei personaggi realmente autentici visti nei loro pregi e nei loro difetti. Il tutto inserito in un contesto che lo scrittore rende in modo così vivo e vivace che sembra spesso di poter udire i rumori e le voci di quelle vie e di quelle piazze. Un racconto in cui si intrecciano abilmente la vita quotidiana della Famiglia Karnowsky e … la Storia. Ancora una volta, in modo mirabile, la piccola storia familiare si incrocia con la Grande Storia. Uomini e donne dalla complessa personalità, credenti e non, famiglie miste, commercianti, medici, intellettuali, idealisti e pragmatici … tutto ciò che caratterizza una collettività variegata per origini e credo religiosi in un contesto dietro al quale, in filigrana, con tocchi brevi ed incisivi, appaiono la Germania Guglielmina, la Berlino ricca e borghese, la prima Guerra Mondiale, la Repubblica di Weimar, la crisi economica, l’iperinflazione, le avanguardie culturali e la marea montante del nazionalsocialismo. Un piccolo mondo in un grande mondo ove si cerca di “…essere ebrei in casa e tedeschi in città …” in un percorso di assimilazione culturale tentando di confondersi nella massa e di riuscire, nel contempo, a salvare le proprie tradizioni ed identità.

Lo scrittore osserva gli eventi storici sempre solo attraverso gli occhi e le emozioni dei protagonisti. Ciò che conta non sono infatti gli avvenimenti in sé e per sé, ma, piuttosto, il modo con cui essi vengono vissuti, il che li rende poi ancor più reali agli occhi del lettore stesso.

Sotto l’apparente dolcezza e piacevolezza della sua scrittura chiara e precisa e del suo distacco ironico ed emotivo che accentua ancor più la gradevolezza del racconto, in realtà I. J. Singer intendeva regalarci, e in effetti ci regala, una testimonianza umana e letteraria di eccezionale intensità sul complesso destino del suo popolo, in un momento in cui ancora nulla si poteva conoscere dei terribili drammi portati dalla Guerra e dalla follia nazista.

data di pubblicazione:25/05/2021

CLARETTA L’HITLERIANA di Mirella Serri – Longanesi, 2021

CLARETTA L’HITLERIANA di Mirella Serri – Longanesi, 2021

Un libro che sconvolge e destabilizza una certa iconografia del fascismo. Claretta Petacci non è solo la fedele amante (una delle tante, ma la più importante) del Duce ma una politica intrigante che più che fascista ha cercato di essere hitleriana. Per salvare l’amato, se stessa e tutti i capitali lucrati dalla situazione di comodo che era riuscita a creare. Per se e per la propria famiglia. La Serri, critica letteraria ma più frequentemente storica revisionista, rilegge la storia alla luce di documenti inoppugnabili, assemblati in un incalzante excursus cronologico. Che non trascura sesso, guerra, trattative comportamenti intriganti e un’infinita di colpi bassi. A latere c’è la progressiva caduta di un Mussolini sempre più anziano, iroso, irretito nell’ambiguità del rapporto con il nazismo e con un’Italia che non è più sua. La memoria storica ci ricorda che fu, tra gli altri, Sandro Pertini, a decretare la condanna a morte del Duce anche se le modalità dell’atto rimasero avvolte a lungo nel mistero come una sorta di segreto di Stato o di complesso di colpa per l’efferatezza delle violenza sul corpo stesso della Petacci. Così la lettura di un saggio è appagante quanto quella di un romanzo per descrivere l’arcobaleno cangiante dell’attività di questa trentenne figlia di famiglia, prediletta dell’alcova ducesca. Abile nel trarre vantaggi dalla situazione ma anche estremamente compromessa con il regime. Tanto da non vedersi risparmiata l’ingloriosa ma tanto ricercata sorte di morire accanto a Benito Mussolini. Il libro è un grande affresco d’epoca su un decennio di lento scivolamento verso la catastrofe. Ma un declino non privo di lussi, di orpelli, di una vertigine insensata. Oltre Claretta si descrivono le ambizioni del clan di famiglia: opportunista e servile ma anch’esso inevitabilmente precipitato nella catastrofe collettiva della fine del fascismo. Claretta comunque emerge come lucida e calcolatrice, nonché fedelissima servitrice dell’ideologia di destra, anche estrema. Il sottotitolo è estremamente eloquente: “Storia della donna che non morì per amore di Mussolini”.

data di pubblicazione:24/05/2021

L’AMORE DEL CUORE di Caryl Churcil, con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano e Angelica Azzellini, regia di Lisa Ferlazzo Natoli

L’AMORE DEL CUORE di Caryl Churcil, con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano e Angelica Azzellini, regia di Lisa Ferlazzo Natoli

(Teatro Vascello – Roma, 15/23 maggio 2021)

Dramma domestico con iterazioni sceniche. Un canovaccio per saggiare l’espressionismo del testo e la validità della sinergia attoriale. Con un vivo successo di pubblico.

Un’acclamata autrice inglese su cui una lungimirante casa editrice ha investito addirittura un pezzo di futuro con la pubblicazione di sei volumi dedicati alla sua produzione, nella disponibilità di regia di uno dei talenti più apprezzati del magro parco italico. L’effetto è deflagrante nel sempre vivo teatro della Kustermann che si appresta a celebrare Giancarlo Nanni, indimenticato demiurgo del teatro e dei suoi originali spazi. Il testo è seminale e lo dirige dentro la scena uno degli attori, precisamente quello che interpreta il figlio ubriaco. Ed è un deterrente che ovviamente serve a coinvolgere il pubblico. Ed è un continuo avant’indrè, a ritmo veloce o a ritmo lento. Con gli attori come automi condannati a replicare sempre lo stesso inesausto copione con variazione di stile, di ritmo, di intenzioni. Una sorta di prolungati Esercizi di stile (come non pensare a Queneau). Dunque una tensione che si taglia con il coltello e che presuppone una durata che non vada oltre l’ora. Il realismo di una scena nuda e spoglia mette l’accento sul particolare tecnico dei microfoni vintage,. Il linguaggio è scarnificato, la tensione tra i componenti di una famiglia che attende, diremo quasi invano, la figlia dall’Australia, evidente. I dialoghi sono sempre sull’orlo dell’esplosione. L’attesa è pari a quella di un Godot, l’evocazione di un cadavere, di un’amica, di un tradimento, disseminano nel plot gli elementi di una vita e di un dramma in fieri. Uno spettacolo inquietante che sonda le paure e sembra enuclearle come un messaggio di speranza del post pandemia. La riflessione sul teatro trasmette allo spettatore una sorta di ineluttabile grado zero.

data di pubblicazione:24/05/2021


Il nostro voto: