AUTORITRATTO di e con Davide Enia

30 Mag 2025 | Accredito Teatro

foto di Andrea Veroni

Musiche composte e eseguite da Giulio Barocchieri

(Teatro India – Roma, 20 maggio/1 giugno 2025)

Un controcanto di giustizia e umanità alla ferocia delle stragi di mafia. La testimonianza vera e cruda di un periodo doloroso e difficile. Con il patrocinio della Fondazione Falcone, è in scena all’India l’ultimo spettacolo di Davide Enia, prodotto dal CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli-Venezia Giulia, insieme al Piccolo di Milano, Accademia Perduta Romagna Teatri e al Festival dei Due Mondi.

Questa è una storia di voci. Di testimonianze. La prima e più significativa quella di Davide Enia, nato a Palermo nel 1974. L’anno è importante. Ci dice implicitamente che l’infanzia e l’adolescenza le ha vissute in un periodo bollente per la storia della città e della Sicilia. Gli anni ’80 e ’90 sono stati segnati dalle stragi di mafia, quelle condotte con le bombe. Delle guerre tra clan, che lasciavano cadaveri per strada. Anni di violenza definiti dal braccio armato di Cosa nostra, i Corleonesi: il modo più atroce e violento di essere un mafioso. Il Capo dei Capi era Totò Riina, “uno abituato a scannare i maiali” e che sul sangue ha fondato il suo regno. Un periodo segnato da una carneficina continua: «Il primo morto ammazzato lo vedo a otto anni, tornando a casa da scuola, facendo il medesimo percorso concordato con i miei genitori». Così inizia il suo racconto, che si può anche felicemente leggere nel volumetto stampato da Sellerio nell’anno in corso. Il sottotitolo recita “istruzioni per sopravvivere a Palermo”, ed è rivolto a chi cerca un’arma culturale per cambiare una mentalità sbagliata sulla quale si fonda il pregiudizio per un’intera popolazione.

Davide Enia è il testimone di una lotta continua, estenuante ma necessaria. Dipinge il ritratto di una generazione di uomini e donne ponendo al centro della narrazione i suoi ricordi personali rispetto agli omicidi più efferati condotti da Cosa nostra. Nei sanguinosi fatti ricordati c’è il sequestro e la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo; l’omicidio di don Pino Puglisi; le stragi che hanno coinvolto i giudici Falcone e Borsellino con gli agenti delle scorte. E dove la memoria si fa debole, sopperiscono altre testimonianze. Come le interviste fatte ai componenti della DIA (la Direzione investigativa antimafia). La ricostruzione delle storie non è attinta dalle pagine dei giornali o dal web. Si avvale invece dei racconti di chi in quel momento era in prossimità dell’evento. Di chi ha guardato da vicino il male, per trasmetterne con verità la ferocia e l’efferatezza dei gesti. Andare vicino come fa Enia è fare memoria, non vuota liturgia. Lo spettatore rivive nella carne la paura e la nevrosi di quei momenti.

Nel teatro di narrazione di Enia, a vocazione pedagogica, la forma è significativa quanto il contenuto. Gli strumenti di trasmissione sono principalmente la voce – anche nella sua manifestazione più criptica del canto dialettale – e il corpo, che si muove a scatti e a urti come di chi è legato e cerca disperatamente di liberarsi. E soprattutto la musica, come amplificatore di emozioni, ma anche come impalcatura sulla quale posa la costruzione delle immagini. I movimenti melodici disegnano una terra, una cultura. Nel contrappunto, nel controcanto e nelle armonizzazioni di Giulio Barocchieri – compagno immancabile nelle avventure teatrali dell’autore siciliano – si basa la tecnica che dà il verso anche alla narrazione. Così un’armonizzazione in terza più alta o bassa fa emergere ribellione o descrivere arresa o sottomissione a un sistema la cui caratteristica inconfutabile è la ferocia. Il controcanto crea l’alternativa a un sistema illogico e bestiale. Singolare è il racconto dell’amicizia con il compagno di scuola Peppe Malato: un legame sano, puro, di fiducia che si contrappone all’infamia e alla corruzione mafiose. Le stesse voci di Falcone, Borsellino e don Puglisi sono state un controcanto.

Palermo ha saputo ascoltarle e farne tesoro. Sono passati tanti anni da allora e un testo come Autoritratto diventa necessario per tenere vivo il nuovo sentimento di rabbia che nacque in città dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il volto della mafia è cambiato, “non spara più” si dice. Ma il grido di giustizia e resistenza deve continuare a tenere sveglio il bisogno di denuncia.

data di pubblicazione:30/05/2025


Il nostro voto:

1 commento

  1. Tutti noi ricordiamo quegli anni. Importante è condividere il ricordo.
    Grazie, Paolo.

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