da Daniele Poto | Dic 21, 2022
(Teatro Sette – Roma, 6 dicembre 2022/8 gennaio 2023)
Magnifico formati di commedia brillante/natalizia. La giovialità attoriale di La Gnestra timbra lo spettacolo in perfetta sinergia con gli altri due funzionalissimi partner.
Teatro leggero ma intelligente, adatto al pubblico borghese e a quel particolare tipo di spettatore che magari si accosta a una sala solo per Natale. Nonostante il capello brizzolato La Ginestra è il ragazzone di sempre, pronto a rituffarsi a marzo nei panni di Rugantino nel più capiente Sistina. Ma qui, nel suo regno, nello spazio di propria gestione, tiene banco per un mese con un testo che funziona e che al di là dell’apparente superficialità o levità regala qualche eloquente pillola di saggezza, rimbombante sin dal titolo. “L’attesa del piacere è in fondo essa stessa piacere”. E difatti il vivaista/piantologo, impersonato dall’attore principale, non ha alcuna fretta di accasarsi. Una scontrosissima e efficiente dipendente di una seriosissima azienda, specchio dei nostri tempi frenetici, prima lo prende di petto, poi man mano recepisce il suo messaggio. E si invaghisce del quiet man fino a sedurlo con un crescendo che alimenta spunti comici. Merita un applauso il terzo protagonista. Il giovane di studio, tutto mamma e nonna, che è il sandwich dialettico tra i due. Ariele Vincenti è cresciuto molto e qui ricorda la lezione di Nicola Pistoia tanto che alcune battute potrebbero essere recitate dal suo maestro di teatro, con 40 anni in più di esperienza sulle spalle. La scenografia è all’altezza della situazione. E le deliziose musiche (Dalla, Daniele, Bongusto) sono un delizioso contrappunto a separare i vari momenti dell’azione. Commedia garbata, a tratti malinconica, che scandisce il passare del tempo ma anche la sua immutabilità. E’ talmente happy end alla fine che il pubblico applaude a scena aperta abbracci e baci dei protagonisti finalmente uniti anche grazie a una inaspettata gravidanza.
data di pubblicazione:21/12/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 15, 2022
Succede tutto in una notte. Il personaggio maschile sorprende la propria donna in atto di palese tradimento. Corna fraudolente si direbbe anche perché non era atteso a casa. Ma poi il puzzle delle motivazioni si compone di tante schegge mancanti. La donna, attraente il giusto, aveva bevuto, e si era fatta accompagnare a casa da un autista che da galante si era trasformato in intraprendente. Rapporto sessuale consensuale o stupro? Il romanzo ruota tutto attorno al dubbio, a tratti atroce del tradito, che cerca di riconquistare un’autonomia e un indipendenza di giudizio ma è chiaramente influenzato dalla fedifraga e dall’amica di lei. Tutto ruoterebbe per una controversa ricomposizione del rapporto ma in mezzo ci sono molte incertezze. Come bastone tra le ruote c’è un’altra donna che però alla lunga si rivela più che leggera (eufemismo). Un romanzo che ruota attorno alla complessa psicologia tentatrice al femminile. La paziente opera di seduzione di chi si deve far perdonare sarà portata a termine. Non vogliamo spoilerare la conclusione che matura in una tensione avvincente per il possibile ma non certo happy end. Picecco bypassa gli schemi del politicamente corretto per ricercare un ritrovamento possibile nei rapporti uomo- donna. Il primo sembrerebbe destinato a soccombere rispetto alla malizia della seconda. Il sesso è moneta di scambio pratica e per come viene rappresentato si conforma molto al modello maschile. Ci sono momenti pruriginosi che accompagnano la descrizione dei tipi caratteriali e delle vicende. L’amore è anche ossessione, inseguimento, fuga. Posizioni e atteggiamenti che ben rispecchiano il complesso universo dei rapporti uomo-donna. Il libro attua un processo di rispecchiamento. I lettori potranno infatti confrontarsi coi i due protagonisti e riconoscerci con buona credibilità in essi, pregi e difetti compresi. Riconoscendo la necessità della dialettica per venire a capo delle inevitabili contraddizioni create dalla loro intrinseca diversità.
data di pubblicazione:15/12/2022
da Daniele Poto | Dic 11, 2022
(Teatro Basilica di Roma, 1/11 dicembre 2022)
I tradimenti di Pinter nel fedele tradimento (ossimoro) di Sinisi. Ardita e felice rivisitazione di un quasi classico del teatro inglese. Perfetta sinergia del trittico attoriale e le sorprese in scena non mancano nel sobrio fondale del teatro. Tipo polli in cottura con la fiamma ossidrica e metaforica polvere a indicare la consunzione di un rapporto.
Nel teatro di parola e di conflitto la fondamentale presenza del silenzio. Attimi interminabili che fissano il gioco a tre. Abolita ogni pretesa di perfetta cronologia nel’arco di un decennio si sviluppa l’amicizia e il disvelamento di un tradimento. Notizia non così misteriosa sulla cui genesi ballano quattro anni. L’amante è incupito e perplesso, il tradito si macera dentro, non la da a vedere la sofferenza, spara parole con impressionante velocità. E la concupita tra i due, tra un viaggio in Italia con il marito nella mitizzata Torcello (e qualche acidula notazione sul carattere degli italiani) si barcamena con i routiniari pomeriggi di libero amore con l’amante in un appartamento che non riesce a diventare casa. In Inghilterra e nello spettacolo si beve molto, anzi quasi non si riesce a vivere l’emotività se non con un ingrediente alcoolico che in questo caso nella finzione è prosecco. La Medri strabilia da provetta ballerina rock (Madonna, Clash, The Cure, etc) in un siparietto con alcune delle hit di quegli anni a ritmi da discoteca, perfetta danseuse mentre l’amante, che si è dichiarato da ubriaco e proprio il giorno del matrimonio del suo migliore amico (ha fatto il testimone) si compiace a guardarla. Il tradimento come frattura, iato, strappo, Buffo pensare che la data di partenza è ’68 mentre il capolinea è il ’77. Numeri casuali? Nei settanta minuti di svolgimento una scena di grande simulata violenza. Il marito prende a calci la moglie con efferatezza. Spettacolo che scuote con parole e azioni, quasi una frustata scenica.
data di pubblicazione:11/12/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 7, 2022
(Teatro Quirino di Roma, 6/11 dicembre 2022)
Un evegreen che non tramonta che si riaffaccia a grande richiesta in una sala piena e plaudente. Trascinante Solfrizzi che non prevarica i compagni di una scena ricca e non priva di sorprese.
Argante è il malato molto immaginario che deve sistemare la figlia. La malattia prende il sopravvento all’inizio e alla fine come scioglimento e possibile rimedio filosofico nella scappatoia del cura te ipsum. Ma in mezzo c’è la tradizionale vicenda amorosa. Un impossibile matrimonio combinato per forza salta in aria come tutta la concatenazione degli affetti familiari. Quando Argante si finge morto si vede tutto l’interesse delle moglie matrigna e, come contraltare, il sincero affetto della figlia, destinata al convento per aver rifiutato il giusto marito. Ecco che Argante esce dalla preoccupazione dei propri mali, si ravvede e torna umano, spinto dalla lucidità del fratello. Costumi d’epoca, prendendo in giro lo stesso Molière che si auto-crocifigge ironicamente nel testo recitato. Solfrizzi è bravo nel mutare colorazione in capo a due tempi equilibrati. E il logico happy end è sfumato quando il protagonista rimane solo e può tirare un punto a capo sulla complessa vicenda che lo ha riguardato. La malattia è una via di fuga per non affrontare problemi reali. Ma quando questi ultimi saranno affrontati di petto anche la malattia inventata diventerà un rebus risolvibile. Si ride, si pensa, si medita con un testo che ha solo bisogno di un’adeguata spolveratina ma che non viene mai banalmente virato sull’attualità. L’autore lo ha scritto per se stesso e Solfrizzi si fonde nei panni dell’autore francese. Overdose di clisteri non mostrati per una malattia che è tutto e niente insieme, come i possibili rimedi adottati da medici fanfaroni. C’è lo spirito del tempo ma anche un sentore del tempo nuovo.
data di pubblicazione:07/12/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 5, 2022
(Teatro Palladium – Roma, 4 dicembre 2022)
Nel cinquantennale della morte un corrosivo omaggio al cittadino di Montesacro, abruzzese inurbato a Roma. Teatro pieno, dieci minuti di applausi a un protagonista decisamente poco espansivo.
Flaiano non è solo il mago degli aforismi. Tieni a stento il paragone umoristico con Campanile. Una solida infrastruttura di pensiero sorregge le divagazioni satiresche che Bentivoglio, utilizzando tutte la capacità di relazionarsi con il microfono, valorizza anche nell’esibizione romana in capo a una fortunata tournèe. Non ricordiamo tanti applausi per un reading. Dieci minuti ininterrotti a prolungare la magia di 75 minuti di intense letture con alcuni punti forti e altri meno intensi (lo si capisce dalla scarsa reattività del pubblico a intuire la fine e, di conseguenza, ad applaudire). Platea radical chic (dalla Comencini in giù) con spruzzi di intellighentzia Ma ne valeva la pena per riscoprire la modernità intatta di valutazioni che hanno almeno sessanta anni. L’uggia per Roma, per l’immutato carattere italiano da parte di uno scrittore di un solo romanzo, di tante sceneggiature, di un enorme mare di scritti. L’arcipelago Flaiano qui viene parzialmente circumnavigato documentando che per i nostri connazionali la linea che collega due punti non è lineare ma è un infinito arabesco. L’anniversario, messo in ombra da quello di Pasolini, conosce un colpo d’ala prima della fine dell’anno. Un po’ in ombra la parte di Ferruccio Spinetti, componente degli Avion travel. Contrappunti e sottofondi senza mai essere nominato dal partner amico. E quando i due escono di scena si attende invano un bis. Inusitato ma certamente possibile anche all’interno di un felice reading. All’uscita clima salottiero da dibattito per contenuti che non lasciano certo indifferenti in una città sempre più cupa, imbruttita e scostante, anche sotto Natale.
data di pubblicazione:05/12/2022
Il nostro voto:
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