da Antonio Jacolina | Nov 1, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
The only living boy in New York di Marc Webb, talentuoso regista degli ultimi due Spiderman, prende il titolo da una canzone di Simon e Garfunkel che, con altre di Bob Dylan, fanno da splendida colonna sonora alla storia del giovane Thomas, interpretato dal promettente Calum Turner. Thomas, di ottima famiglia della Upper Class di New York, ha appena terminato gli studi e non sa ancora cosa fare della sua vita affettiva e professionale. La sua rettitudine lo fa però considerare dalla ragazza, con la quale pur avendo passato una splendida notte d’amore, solo come un ottimo amico con cui condividere soltanto platonicamente ogni tipo di comuni interessi.
Frastornato ed in crisi di prospettive, il giovanotto incontra casualmente un tipo misterioso, fascinoso e semialcolizzato. E’ il suo nuovo vicino di casa (Jeff Bridges) nel Lower Side di New York dove ha deciso di vivere lontano dai benestanti genitori. Lo sconosciuto, grazie al suo carisma ed al suo fare diretto, diviene ben presto il maestro di vita di Thomas e lo aiuta e consiglia soprattutto quando costui scopre casualmente che il padre (Pierce Brosnan), editore di successo, ha una relazione con la giovane ed affascinante Johanna (la splendida Kate Beckinsale). Il mondo di Thomas crolla e, preoccupato per le reazioni che la madre, già emozionalmente fragile, potrebbe avere, decide di cercare di interrompere la storia entrando in contatto con la giovane donna. Coinvolto dalle circostanze o, forse, desideroso anche di rivalersi sul padre da cui non si è mai sentito amato ed apprezzato, anche lui finisce fra le braccia della bella ed intelligente Johanna.
Da questo punto in poi si mette in moto una concatenazione di eventi che cambieranno e sconvolgeranno, non necessariamente in negativo, la vita stessa di Thomas ed anche delle persone da lui amate e non. Il film si presenta quindi come un insolito triangolo amoroso inserito in una commedia garbata di gusto romantico, patinata, ben confezionata e ben recitata da interpreti di sicuro spessore. Di sfondo, un’accattivante, rarefatta e splendida New York, mai così affascinante dai tempi di W. Allen.
La pellicola di Marc Webb è poi anche un triangolo fra ideali romantici, intellettualismo “newyorkese” e realtà; ma è soprattutto un film sugli errori, le indecisioni che l’amore vissuto o non completamente, rifiutato o condiviso, idealizzato o nostalgico, può causare a noi stessi ed agli altri.
Purtroppo il gusto tutto americano di non voler lasciare i finali aperti, ma volere, al contrario, sistemare al giusto posto tutti i personaggi della commedia e riannodarne correttamente i fili delle loro vite, impone al film un Happy End non necessario e troppo sdolcinato, rappresenta una caduta di tono che allontana i personaggi da un loro spessore reale ed indebolisce la qualità del film.
Gli americani però sanno perfettamente che il grande pubblico ed il “botteghino” amano le belle storie in cui tutti “vissero felici e contenti”.
data di pubblicazione:01/11/2017
da Antonio Jacolina | Ott 31, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
“Se qualcosa può andare male, andrà male”. Si avvererà l’articolo 1 della legge di Murphy? Ç’est la vie! sembra infatti quasi voler rappresentare una scommessa, una sfida a questo assioma. Una sfida che si gioca fra sorprese e colpi di scena durante i vari preparativi del ricevimento e della festa per il matrimonio di Pierre ed Elena.
La giovane coppia ha deciso di celebrare in grande stile le proprie nozze in uno splendido castello del XVII sec., sito non molto lontano da Parigi e, per organizzare al meglio tutto quanto necessario per i festeggiamenti, si sono affidati al migliore organizzatore di eventi. Max (J. Pierre Bacrì), con un’esperienza ormai trentennale nel campo, è in assoluto il migliore organizzatore di feste, cerimonie e rinfreschi. E’ lui che coordina il tutto in ogni dettaglio, cura la decorazione floreale, provvede al catering con la sua squadra di cuochi e di camerieri, è lui che ha consigliato il fotografo Guy (J. Paul Rouve) ed è ancora lui che ha scelto l’orchestra ed il cantante ed entertainer James (Gilles Lellouche ). Sono tutti i “migliori professionisti” che si possano trovare nei rispettivi ambiti.
In breve, dunque, gli elementi necessari perché i festeggiamenti riescano perfetti in ogni loro minimo dettaglio, sono stati già studiati, previsti e predisposti. Andrà tutto bene o scatterà la legge di Murphy?
Con Ç’est la vie! i due registi Eric Toledano ed Olivier Nakache, dopo il trionfo del loro Quasi Amici ritornano sugli schermi con un’opera perfetta che li conferma, senza alcun dubbio, ancora una volta, come i Maestri della Commedia. Di quella Commedia à la française con un gradevole misto di dolce ed amaro, dotata di quel tocco di classe e garbo in più che la rende apprezzata da ogni tipo di spettatore.
I registi si soffermano e ci fanno scrutare, ora per ora, tutto ciò che avviene “dietro le quinte” fra tutti gli addetti alla realizzazione dell’evento, durante i vari preparativi preliminari e poi durante la festa. Un “dietro le quinte” osservato con lo sguardo di quelli stessi che vi lavorano e sono impegnati allo stremo a superare tutto ciò che non va come dovrebbe andare. Come nei peggiori sogni, tutto ciò che non dovrebbe mai succedere sembra invece succedere, in una concatenazione di eventi che, ogni volta, sembrano condurre la festa sull’orlo di divenire un incubo. Il peggior incubo di ogni organizzatore di eventi.
Ç’est la vie! è un piccolo gioiello, del tutto privo di tempi morti e false note, un film corale, una galleria di ritratti feroci e teneri dominata dal grande Jean Pierre Bacrì al sommo della sua capacità artistica ed espressiva. E’ lui il fil rouge che lega tutti i personaggi le cui vicende personali e professionali si intrecciano e si sciolgono nel succedersi incalzante degli eventi. Attorno a lui una bella galleria di ritratti con attori che recitano tutti con talento. Fra i tanti spiccano Gilles Lelouche e, in un ruolo un po’ secondario, quell’eccellente attrice che è Suzanne Clement.
I due registi dominano perfettamente ed armoniosamente i tempi ed i ritmi in un crescendo continuo di dialoghi spiritosi e frizzanti e, talora, anche esilaranti. Dialoghi ovviamente cesellati al dettaglio, battute veloci e pungenti, perfettamente inserite in una messa in scena precisa che ben adatta ed integra il susseguirsi delle varie situazioni con un garbo ed un gusto assai ricercati. Non manca, a tratti, un tumulto di pura follia che aiuta però a rendere ancora più dolce e gradevole l’intero spettacolo.
Dunque, un bel film gradevole come una bella boccata d’aria fresca pulita e … gioiosa. … Che ci volete fare?… Ç’est la vie!
da Antonio Jacolina | Ott 29, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
In una piccola cittadina sulla costa francese una madre e una figlia vivono in simbiosi quasi perfetta. La prima, fredda e ostinata, usa ogni arma a disposizione pur di proteggere la figlia, reduce da un incidente in cui è rimasta seriamente menomata, legata sentimentalmente ad un balordo violento. A seguito della brutale morte del giovane, le due donne dovranno sottostare a tutta una serie di ricatti.
Solo Chabrol ha saputo offrire un ritratto efficace della media borghesia, della sua accanita difesa dei propri “valori” e della vita ristretta e chiusa nella provincia. La piccola città, la casa, la famiglia sono i luoghi ed i motivi per cui si consumano delitti, si mente e si nascondono gli armadi pieni di scheletri da non far conoscere al di fuori. Purtroppo il regista Thierry Klifa non è Chabrol, né si avvicina ad esserlo, pur impegnandosi ad illustrare un ambiente di una piccola cittadina di mare, con la famiglia medio borghese da una parte e un mondo, con un piccolo sottomondo malavitoso, dall’altra. Al centro della storia ci sono una madre (Catherine Deneuve), vedova benestante di un operatore portuale la cui fiorente attività ha poi preso in mano, e la figlia (Diane Kruger), con una gamba segnata da un incidente che la rende claudicante e dolorante per i postumi e, di conseguenza, divenuta progressivamente tossicodipendente.
La madre è una donna volitiva che, come dice lei stessa, è forte per istinto di conservazione di ciò che è suo, la casa, i mobili, il denaro, l’impresa di famiglia e l’unica figlia, con la quale ha un rapporto altalenante, lacerato fra momenti di dolce e tenero accudimento dei dolori causati dall’infermità e dalle sostanze assunte, e momenti di contrasto per la sua condotta troppo libera e per la sua dipendenza. La giovane figlia, segnata dall’invalidità e dal bisogno di droghe, cerca amore, affetto e protezione legandosi, in una contorta relazione fatta di desiderio fisico, violenza e soprusi, con piccolo balordo e spacciatore che la usa, la rifornisce e le spilla denaro in continuazione. Il film potrebbe divenire un noir oppure un poliziesco, o, come dicono i francesi, un polar. In realtà non assume un tono specifico fermandosi ad essere solo un film di genere in cui si inquadra, da una parte il disagio sociale e la rabbia delle frange marginali e dei giovani delle periferie, dall’altra le ipocrisie di certi ambienti disposti ad ogni menzogna e compromesso pur di salvaguardare se stessi, perdendo ritmo e mordente e tendendo a ripetersi in attesa di un evento risolutore. Tout nous sépare gira un po’ su se stesso ed è retto dall’interpretazione della Deneuve che sa dipingere con classe gli impacci, gli imbarazzi e la determinazione di una madre pronta a tutto pur di salvare la figlia, senza badare a nessun compromesso che si presenti necessario. La sua recitazione, sia pur molto credibile, non basta però a rendere il film completamente convincente.
data di pubblicazione:29/10/2017
Pagina 56 di 56« Prima«...102030...5253545556
Gli ultimi commenti…