con Melania Giglio, Marco Imparato e Lorenzo Patella, regia di Daniele Salvo
(Teatro Manzoni, Roma, 22/27 ottobre 2024)
Melania Giglio si sta specializzato in biografie musicali. Il cambio di paradigma è sorprendente: da Edith Piaf, l’usignolo, alla voce stridente di Winehouse. Una parruccona bruna lunga rende la somiglianza impressionante nonostante la differenza anagrafica. Teatro ma contenuto da musical. Con toni forti, sopra le righe, molto alcool simulato e la lunga discesa verso l’abisso della fine invano contrastato dai soggetti maschili, bravi musicisti nell’occasione.
Cambia la platea del teatro di Prati. Si abbassa l’età media e cori entusiasti confortano l’esibizione di Giglio, puntuale one woman show. Non è una pedissequa imitazione ma un tentativo discreto di entrare nei panni e nell’ugola della originale folk singer americana, suicida prima dei trenta anni come da tradizione (Jim Morrison, Jimi Endrix, Janis Joplin). La solista si muove con disinvoltura tra affabulazioni, bevute e assoli trascinanti dove fa risaltare una voce che mette in dubbio la primazia tra le doti di attrice e quella di cantante. Indicata da Piera Degli Esposti come la più probabile erede, partendo da Ronconi, Giglio sta cercando di trovare una propria linea originale che prescinda da impegni rigidi di compagnia per affermare la propria personalità. Nello spettacolo una gabbia è la metafora della prigione di un auto-confinamento e di un’irrequietudine che le costerà la fine, complice anche il tormentato rapporto con un padre che cerca di spremere pubblicità e denari dalla parentela diretta. Se il teatro cerca pretesti e mozioni per rimanere in vita, il connubio con la musica è una chiave riuscita che apre molte porte. Da notare che la drammaturgia originale è totalmente opera della mai troppo valorizzata Giglio, insieme ingegnere e geometra della proposta.
data di pubblicazione:28/10/2024
Il nostro voto:
0 commenti