TIERGARTENSTRASSE 4 di Pietro Floridia, per la regia Daniele Muratore, con Barbara Giordano, Serena Ottardo e Marco Polizzi

28 Feb 2017 | Accredito Teatro

(Teatro Argot – Roma, 21/26 Febbraio 2017)

“Il fascino irresistibile di un girasole luminoso per liberare una disabile dai nazisti e dal loro incubo tenebroso.”

Un fascio di luce calda piove sulla voluta del contrabbasso presente sul palco, proiettando sulla parete nera dirimpetto allo strumento un’immagine somigliante a quella del sole. La stessa forma che assume la prima vocale del nome Ofelia, che si caratterizza per il suo suono tondo e prolungato; a differenza della “i”, acuta e sottile, come i raggi di luce che penetrano nel sottobosco tra le fronde degli alberi. Queste sono solo alcune delle immagini del variopinto affresco di sensazioni che la piccola Ofelia provava ogni volta che il padre pronunciava il suo nome.

Ma ora Ofelia è sola. Non c’è più nessuno in casa. A farle compagnia è rimasto solamente il suo pesce rosso e una carriola: attrezzo prezioso che le permette di coltivare la sua passione per i fiori. Gli stessi che sono disegnati e colorati sul suo vestito bianco.

Una bambina semplice, troppo semplice per un sistema come quello tedesco durante la seconda Guerra Mondiale. E suscettibile pertanto di rientrare nel programma T4, il cosiddetto ‘Olocausto minore’, che prevedeva l’eliminazione dei disabili, ritenute vite ‘indegne di essere vissute’. La valutazione delle condizioni della candida Ofelia spetta all’oscura Gertrud, infermiera nazista avvolta nel suo pastrano nero. Gertrud rimane colpita dall’innocenza della giovane e di conseguenza cercherà di evitare il suo internamento, che l’avrebbe condotta a morte certa. Prova pertanto a indicarle il modo in cui sfuggire al controllo della Gestapo. Ma nonostante i suoi tentativi, Ofelia non riuscirà a nascondere la sua natura.

L’internamento non le impedirà tuttavia di alimentare il suo amore per i fiori; passione che si rivelerà salvifica, dato che i suoi girasoli le permetteranno di uscire dall’istituto e saranno richiesti in tutta la Germania, soprattutto dalle classi agiate e ricche. Il successo sarà condiviso anche con Gertrud, che la ospiterà nella sua casa e otterrà inoltre una promozione.

La terra su cui piantare nuovi bulbi, così come la pazienza di Ofelia a fronte delle pressanti richieste, ha però un limite; ma ciò è incompatibile con la sconfinata avidità nazista, che non ammette rifiuti, e che pertanto riserverà alle due un tragico finale.

Emarginazione, disabilità, crudeltà, sono questi i temi che Pietro Floridia decide di toccare con questo testo; magnificamente interpretato da Barbara Giordano, la cui interpretazione del ruolo di Ofelia è decisamente credibile: un insieme di smorfie, denti digrignati, linguaggio sgrammaticato che mostrano il disagio di una disabile in un mondo che non le appartiene. Il suo trucco, i suoi vestiti e i suoi comportamenti sono in contrapposizione costante con il personaggio interpretato da Serena Ottardo, la cui voce argentina brilla durante le canzoni di Edith Piaf (qualche stonatura di troppo, invece, durante la recitazione). Non stona invece Marco Polizzi al contrabbasso: sempre presente sulla scena, accompagna delicatamente la narrazione, sfoderando dalla faretra l’archetto nei momenti topici e più drammatici.

La scelta di utilizzare le canzoni della cantante francese per sdrammatizzare le scene più crude appare tuttavia avulsa dal resto della narrazione e non sempre contribuisce a distendere il clima di tensione creato con i temi affrontati – che talvolta risultano esasperati.

Delle scene realizzate da Bruno Buonincontri, suggestiva è quella dell’incontro tra Ofelia e l’infermiera, in cui le due si parlano su di un piano sfalsato, enfatizzando l’incomunicabilità tra i diversi mondi e modi di pensare, e il momento in cui la piccola disabile racconta come il padre pronunciava il suo nome quando la chiamava di ritorno a casa.

Uno spettacolo che si prefigge di toccare temi importanti, ma che avrebbe potuto avere una resa migliore

Di certo colpevolizzare è facile, più difficile trovare soluzioni. Quanto bisogna essere grandi per prendersi tutte le colpe?”

data di pubblicazione:28/02/2017


Il nostro voto:

1 commento

  1. Attenta analisi del testo rappresentato e soprattutto di tutto il mondo di sensazioni che ci sta dietro. In una realtà dipinta a tinte forti la semplicità di un fiore può avere la potenza di sensibilizzare anche i cuori più duri. Viene alla mente lo splendido film nebbia in agosto dove veniva affrontato il tema della disabilità durante il nazismo. Anche lì la non accettazione di una qualsiasi forma di diversità dai canoni pre fissati da menti malate e distorte.

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