SORRY WE MISSED YOU di Ken Loach, 2020

Loach si conferma maestro di cinema, e non solo di quello politico inglese. Dopo lo splendido I, Daniel Blake non ci sorprende affatto che questo meraviglioso ultra ottantenne continui a ricordarci quanto crescente disagio ci sia nella nostra società, così imbevuta di benessere, veloce e capricciosa ma altrettanto cieca verso i veri problemi esistenziali dei meno abbienti, purtroppo in continua crescita. Sorry we missed you è una denuncia reale, misurata, profonda sugli abusi ancora perpetuati ai danni delle classi più deboli, che accende in noi il dovere di guardarci intorno per vedere con un occhio diverso quanta sofferenza possa esserci tra coloro che silenziosamente ci circondano ma che, soprattutto, ci sprona ad indignarci.

 

Ricky (Kris Hitchen) e Abbie (Debbie Honeywood) vivono a Newcastle, e possono definirsi una famiglia unita. Lei svolge con infinita pazienza e dolcezza un’attività di infermiera a domicilio per anziani non autosufficienti, mentre lui nella vita ha fatto tanti mestieri senza mai far mancare nulla a sua moglie e ai suoi due figli, Liza Jane di 11 anni e l’adolescente Sebastian. Una coppia dunque di persone semplici, normali, che si vogliono bene e che ambiscono a comprarsi un piccolo appartamento come coronamento di una vita di sacrifici. Al fine di accumulare qualche risparmio per realizzare il loro progetto, Ricky propone alla moglie di vendere l’auto con cui la donna ogni giorno si reca presso i suoi pazienti, ed acquistare con quei soldi un furgone per mettersi in proprio come autotrasportatore, affiliandosi ad una azienda di spedizioni.

Inizia per l’uomo ben presto una vita d’inferno, con giornate di lavoro pesantissime anche di 14 ore consecutive in mezzo al traffico cittadino, senza a volte avere il tempo neanche di fare una pausa per mangiare un panino. Una vita in cui l’imprevisto non è contemplato, perché ogni giornata libera deve essere concordata preventivamente per trovare un collega che possa sostituirsi nelle consegne, ed anche non trovare il destinatario del pacco da consegnare (“ci spiace di non averti trovato” è la frase scritta sulla ricevuta che il corriere lascia sulla porta quando il destinatario non è in casa) può rappresentare un problema.

Ken Loach ci racconta la massacrante corsa contro il tempo della classe operaia del nuovo millennio, attraverso la precarietà dei novelli lavori usuranti che non sono più, o non solo, quelli di una volta, ma nuove professioni talmente stressanti da essere intollerabili, in cui si vive per lavorare e non si lavora per vivere, in cui non ci sono reti di protezione né si può esercitare “il diritto a disconnettersi” ed in cui, paradossalmente, è vietato anche ammalarsi perché “il lavoro verrà dato a chi è più veloce, più economico e più affidabile...”. Torna anche in questa pellicola un altro tema molto caro al regista: il grande paradosso dell’uso della tecnologia, nata come mezzo per ridurre o facilitare il lavoro, ma che invece viene usata per aumentare le ore di lavoro al fine di una maggiore produttività, strappando le persone alla loro vita, agli affetti. Un vero e proprio sfruttamento ai limiti dello schiavismo che si consuma sotto i nostri occhi, e che ha trasformato in pochi anni l’intero tessuto sociale perché ha influito negativamente sulla vita familiare degli individui.

Il film genera una commozione profonda, un vero e proprio pugno nello stomaco, nel cuore e nel cervello di ognuno di noi, perché ci comunica qualcosa di disumano che sta accadendo ora ed il regista non ci fa sconti, neanche sul finale.

Prenderne atto e riorganizzare protezioni a tutto questo, come dice il grande Ken Loach, è forse il dovere degli uomini del nuovo millennio.

data di pubblicazione:06/01/2020


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2 Commenti

  1. Ken Losch ha inteso rappresentare,con questo nuovo film,la realtà lavorativa di precariato dei tempi odierni.
    Un mondo del lavoro assoggettato ad uno sfruttamento che sta ,man mano,distruggendo la dignità dell’uomo in nome della globalizzazione e dell’automatismo .
    Una precarietà della vita senza stabilità che mina i rapporti familiari.
    Un susseguirsi incalzante di eccessivi “INCIDENTI” negativi,rende, però,tutto troppo drammatico rischiando il paradosso

  2. Il cinema come denuncia sociale non è da tutti. Loach ci riesce bene perché si capisce perfettamente che per lui, da sempre attivista politico di sinistra, il tema affrontato è sempre qualcosa di autenticamente vissuto. Il film, come ben specificato nell’articolo, induce ad una profonda riflessione sulla società di oggi, apparentemente tollerante ma decisamente spietata e discriminante…

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