SMETTO QUANDO VOGLIO – AD HONOREM di Sydney Sibilia, 2017

La famosa banda dei ricercatori è al cinema con la sua ultima impresa. Un nuovo nemico ne ostacolerà il cammino, mettendo a dura prova le migliori menti in circolazione. 

 

In una società intrisa di serialità, mettere un punto non è mai facile. Farlo bene, poi, è ancora più complicato. Eppure, nell’ultimo capitolo della trilogia di Smetto quando voglio il regista salernitano Sydney Sibilia è riuscito a chiudere il cerchio con estrema cura dei dettagli, senza correre il rischio di cadere in storture o imprecisioni di ogni sorta. Una qualità da sottolineare, segno evidente di un grande lavoro di scrittura.

Smetto quando voglio – Ad honorem, questo il titolo della pellicola conclusiva, ha fatto il suo ingresso nelle sale lo scorso 30 novembre, a meno di un anno di distanza dalla precedente Smetto quando voglioMasterclass. Nel finale di quest’ultima avevamo lasciato i nostri ricercatori dietro le sbarre, stavolta perché traditi dall’ispettrice Paola Coletti. Ed è proprio dal carcere che le migliori menti in circolazione partiranno per compiere la loro avventura definitiva, la più importante di una carriera da insoliti criminali.

Guidati da un’intuizione del neurobiologo Pietro Zinni, il chimico Alberto, i latinisti Mattia e Giorgio, l’antropologo Andrea, l’archeologo Arturo e l’economista Bartolomeo, insieme alle new entry della seconda parte, Giulio e Lucio, si uniranno al terribile “Er Murena” per sventare un attentato terroristico. Mente del piano è Walter Mercurio, interpretato da un magnetico Luigi Lo Cascio, già incontrato in passato nell’adrenalinica scena dell’attacco al treno. Come nella più classica delle storie che abbia come protagonisti dei supereroi, lui è il villain da abbattere con tutti i poteri che si possiedono. E allora quali, se non l’astuzia, l’ingegno e il sapere appreso in tanti anni di studio?

Se con Masterclass il pubblico aveva soprattutto riso, guardando Ad honoremè innegabile che gli sia dato più spazio per riflettere, sulla precarietà e l’inefficienza di certi sistemi, sull’ingiustizia e sulla vita nel suo complesso. In un mix di generi che denota uno studio attento dell’arte cinematografica nella sua essenza, il risultato ottenuto è un’esplosione di creatività più unica che rara nel panorama attuale.

Inutile dire che gli impavidi accademici ci mancheranno tutti, ciascuno diverso dall’altro per specializzazione e caratteristiche individuali. Chissà cosa faranno adesso. Ma tranquilli: parafrasando una frase cruciale del film, di sicuro “si inventeranno qualcosa”.

data di pubblicazione:07/12/2017


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