SERATA CELESTINI con Ascanio Celestini e Alessio Lega, accompagnati dal fisarmonicista Guido Baldoni

22 Mar 2017 | Accredito Teatro

(Teatro Vascello – Roma, 20/21 Marzo 2017)

“Musica cantautorale e storie dal forte impatto sociale, per una serata dal suono speciale”

 

Via Giacinto Carini. Civico 78. Siamo arrivati. Parcheggiamo e ci avviamo in direzione del teatro. Il consueto nugolo di persone assiepa l’ingresso del Vascello, pronto ad essere traghettato verso un nuovo spettacolo.

Ma non è una serata come le altre, lo si percepisce dal vociare concitato e festoso, dai gesti di sorpresa e stupore, dall’aria frizzante e rarefatta del primo giorno di primavera. C’è tuttavia qualcos’altro che rende l’atmosfera particolare e ancora ci sfugge; allora ci avviciniamo alla porta principale, mettiamo meglio a fuoco la situazione, e scopriamo il motivo di tutto quello scalpore: Celestini è lì, davanti alla porta principale, a discettare con il suo pubblico, come un avventore qualsiasi, come una persona comune.

Malgrado ciò, Celestini non è un quisque de populo, bensì è unico nel suo genere, è capace di infrangere le barriere tra pubblico e palcoscenico, tra attore e spettatore. Lo conferma guidandoci in sala e, una volta che tutti hanno preso posto, iniziando lo spettacolo.

Si comincia a spron battuto, con la voce incalzante di Alessio Lega e la fisarmonica lucente di Guido Baldoni, che raccontano la storia di un sindacalista arabo (regolarmente soggiornante in Italia) ucciso da un crumiro durante un picchettaggio. Una morte atroce, travolto da un muletto mentre esercitava il suo diritto di protestare. Con la canzone i due vogliono denunciare la scarsa considerazione che ha avuto un evento del genere, solo perché a essere colpito è stato un immigrato.

Ora è il turno di Celestini, il cantastorie contemporaneo, avvolto da abiti più grandi di lui, con la barba mefistofelica e la voce nasale che lo contraddistinguono; inizia con la storia di Domenica, una bambina trascurata dai genitori e indotta a rubare, poi narra di Viola, cresciuta da suore crudeli che la maltrattano, di seguito parla di Giobbe, lavoratore modesto in una fabbrica dall’atmosfera umile ma non umiliante, che tuttavia non riuscì a sopravvivere ad un attacco cardiaco per la mancanza di un defibrillatore nei locali dove lavorava.

Maltrattamenti, autolesionismo, morti sul lavoro, sono solo alcuni dei temi toccati da Celestini nel suo percorso a tappe musicali.

Il fascino esercitato dalla sua loquela, dalla sua recitazione, dalla capacità di rendere leggeri – attraverso l’uso misurato dell’ironia – argomenti più pesanti del piombo, rapisce anche i suoi compagni di viaggio, che lo osservano stregati durante l’esibizione.

Se indubbio è il talento dell’artista, meno pregevole è il risultato dello spettacolo nel suo complesso, in cui la parte musicale non sempre si lega alle storie narrate. Tra citazioni di Sergio Endrigo, Jannaci, Gianni Rodari e cantautori russi si perde spesso il filo conduttore (che probabilmente non c’è) e che sicuramente incide negativamente sulla rappresentazione.

Di certo è apprezzabile la volontà far conoscere un cantante che ha il pregio di tradurre capolavori musicali appartenenti alla tradizione russa (anche se così c’è il rischio di avere l’effetto contrario). Ed è proprio l’ultima canzone, quella lasciata per il finale, che ci consente di apprezzare il talento di Alessio Lega: con con la sua voce intrisa di emozione, ci canta la traduzione da lui realizzata della canzone “La nostra classe” di Jacek Kaczmarski (cantautore dissidente polacco).

 

“Quali nomi, quali voci ci diranno cosa è vero,
Se serbiamo le radici in esilio o al cimitero,
Siamo rovi o siamo gigli della vita sola e affranta,
E scordiamo di esser figli, foglie della stessa pianta,
Foglia della stessa pianta.”

data di pubblicazione:22/03/2017


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