SENZA LASCIARE TRACCIA di Gianclaudio Cappai, 2016

Senza lasciare traccia, primo lungometraggio di Gianclaudio Cappai, presentato in anteprima all’ultima edizione del Bari International Film Festival, solleva con orgoglio il vessillo del cinema indipendente che, nonostante tutto, riesce ad approdare in sala.

Bruno (Michele Riondino) ed Elena (Valentina Cervi). Una coppia come tante: una casa, due cani, i problemi di lavoro, i problemi di salute. Bruno è malato: nel suo corpo alberga “un intruso” invadente e rumoroso, che non concede tregua né alla sue membra né alla sua anima.

Elena deve partire per restaurare un vecchio dipinto e quando Bruno viene a sapere che la meta è lo stesso posto dove lui ha vissuto da bambino decide di accompagnarla.

Mentre Elena leva via con delicatezza la patina del tempo dalle figure così cupe e sofferenti che rappresentano il mito di Deucalione e Pirra, Bruno prova a restaurare la sua vita, irrompendo fragorosamente in una tenuta che ospita un padre (Vitaliano Trevisan) e sua figlia (Elena Radonicich) alle prese con problemi finanziari, stanchi guardiani di una fornace ormai dismessa.

La storia, inizialmente frammentata, si ricompone gradualmente davanti agli occhi dello spettatore. La fornace, enfatizzata visivamente dalla fotografia satura, diviene il luogo metaforico dell’Infermo e del peccato, ma anche del fuoco in grado di distruggere e purificare il senso di una colpa più soffocante dei fumi del carbone.

Il viaggio verso il passato è l’unica via che si apre a Bruno per proiettare finalmente la sua vita verso il futuro. Azzerare tutto, senza lasciare traccia, si mostra al protagonista come l’unica possibilità di rinascita e (quindi) di salvezza: proprio come il diluvio universale con il quale Zeus distrugge il genere umano, mettendo in salvo solo Deucalione e Pirra e affidando loro il compito di “ripartire da zero”. La vendetta di Bruno non ha mai la pretesa di ergersi a giustizia, ma il solo obiettivo di curare una sofferenza male che nessuna medicina è in grado di alleviare. Difficile dire se la terapia sarà davvero efficace o si rivelerà solo un blando ed effimero palliativo.

Il film di Cappai sconta forse un avvio eccessivamente macchinoso, recuperando invece nella seconda parte il pathos, soprattutto interiore, che individua l’autentica cifra narrativa della storia. La valenza simbolica della malattia di Bruno e del suo viaggio risulta a tratti eccessivamente esibita, perdendo nel finale l’occasione del guizzo capace di andare la metafora.

Senza lasciare traccia resta però un esordio convincente, sostenuto da un cast artistico e tecnico che non delude le aspettative.

data di pubblicazione: 15/04/2016


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