PORCILE di Pier Paolo Pasolini, regia Valerio Binasco

29 Feb 2016 | Accredito Teatro

(Teatro Vascello – Roma, 16/28 Febbraio 2016)

Julian è un venticinquenne figlio dell’opulenta e potente borghesia tedesca. Ma ciò solo all’anagrafe, perché Julian non si sente appartenere a nessuno. Non riesce a condividere i suoi sentimenti neanche con la giovane Ida, che incessantemente (e infruttuosamente) lo corteggia. Respinge tutto e tutti: “Niente di ciò che è di tutti è mio”.

La mancanza di senso di appartenenza lo tormenta: non trova spazio nella società e al contempo non ne vuole far parte, però, se agisce da reazionario, finisce per sentirsi partecipe. “Io non ho opinioni. Ho tentato di averne, e ho fatto, in conseguenza, il mio dovere. Così mi sono accorto che anche come rivoluzionario ero conformista.”

Il suo senso di straniamento lo conduce a distaccarsi dalla comunità — in particolare dai membri della borghesia (che considera dei suini) —, ma la sua affezione nei riguardi di ciò che lo ha generato persiste e riuscirà a esternarla in una forma diversa: svilupperà una perversione sessuale nei confronti di quell’animale che per lui rappresenta quella categoria avversata: il maiale. Zooerastia, quindi, che diventa simbolo della diversità del giovane, ma che cela il legame indelebile con quella parte della società avida. Avidità che finirà per divorarlo.

Diversità, amore proibito, epilogo tragico, eventi che hanno segnato la vita di Pasolini e di cui è intriso questo spettacolo dall’intensa carica autobiografica; che traspare appieno anche grazie alla splendida interpretazione del personaggio di Julian da parte di Francesco Borchi, il quale mostra una notevole capacità d’immedesimazione nel personaggio.

La trasposizione teatrale di Valerio Binasco dell’opera è più diretta e meno concettuale rispetto al testo originario. Depurato dagli intellettualismi pasoliniani, lo spettacolo è di più facile comprensione e, pertanto, accessibile a un pubblico più vasto.

Non solo il testo teatrale ma, altresì, la scenografia è essenziale: sul palco sono presenti un impiantito dal colore rosaceo (che allude al colore della pelle dei suini) e uno sfondo cangiante — il quale all’occorrenza diventa cinque archi oppure cinque arbusti fioriti e intrecciati. Sagace anche l’utilizzo di una proiezione video per simulare il sipario, che, nel momento in cui cala per l’ultima volta, ci lascia con il ricordo della straordinaria storia di Julian: una vita devota all’amore e dallo stesso sentimento consumato. «Solo l’amare, solo il conoscere / conta, non l’aver amato, / non l’aver conosciuto» (Il pianto della scavatrice, Pasolini).

Durata degli applausi: 3’ 10’’

data di pubblicazione:29/02/2016


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