MOEL di Marco Andreoli

19 Dic 2015 | Accredito Teatro

(Brancaccino, Roma – Dal 17 al 20 Dicembre 2015)

Quattro marcatori di prova poggiati sul palco indicano gli appartamenti abitati da altrettanti personaggi: Miriam, una ragazza proveniente dallo Stato di Oklahoma; Esh, un ameno chiromante di origini indiane; Osip, un russo che porta con sé una sospetta borsa nera; e Laura, una ragazza avvolta in una nube di mestizia.
La prima parte dello spettacolo si focalizza sulla figura del russo. Un sibilo proveniente dalla sua abitazione genera diverse reazioni nei vicini: la ragazza americana ritiene che quel rumore sia prodotto dalle operazioni per assemblare un fucile; il sensitivo crede, al contrario, che il  suono acuto e prolungato sia dovuto alla riparazione del tubo del lavandino; Laura invece non percepisce nulla perché si trova in uno stato di dormiveglia. In seguito a questo evento, nel condominio prende corpo l’idea che Osip sia un killer spietato (soprattutto mercé le congetture di Miriam), ma il russo svelerà che il rumore derivava dall’avvitamento di una moka con la filettatura arrugginita. È la prima avvisaglia che la “stratificazione delle illazioni” genera infondati sospetti.
Lo spettacolo prosegue con una serie di telefonate tra i vari personaggi: Miriam, tampinata dai creditori, chiede un prestito all’affabile Esh; mentre Laura riceve da Osip strane coordinate, rendendo la sua figura sempre più misteriosa. A quel punto, il russo, l’americana e il chiaroveggente vengono chiamati d’emblée in commissariato per rendere informazioni su Laura, che si scoprirà essere una crudele terrorista. Nella casa di Osip verrà rinvenuto un fucile, ma l’architetto di questo disegno malefico riuscirà a scamparla, dichiarando di possedere il porto d’armi e che utilizza il fucile in vista delle gare olimpioniche che si appresta a disputare quale atleta di tiro a volo.
Inaspettato è anche il comportamento del chiaroveggente, il quale si rivelerà essere uno spietato aguzzino che non lascia scampo all’americana per le somme che gli deve.
Lo spettacolo procede in modo caotico attraverso analessi e prolessi, in un intreccio inestricabile delle vicende che rende faticoso seguire il filo della trama.
La scenografia è scarna e gli elementi non sono ben coordinati tra loro: sembra di essere sulla scena di un crimine, ma non ci sarà nessuno omicidio; inoltre, in una scena della rappresentazione viene stesa una tovaglia sul palco — per dare l’idea di un tavolo — e vengono posti sopra bicchieri e portavasi, ma invece che sedersi fuori dalla tovaglia gli attori si accovacciano sulla stessa, ingenerando il dubbio che si tratti di un pic-nic.
Le numerose congetture, e lo scarto tra realtà e apparenza, sono le costanti di questa pièce. Il messaggio che trapela è che spesso dipingiamo le altre persone in modo errato, per questo è bene ricordarsi del monito di Virgilio “nimium ne crede colori”: non fidarsi delle apparenze.
Inatteso è anche il risultato di questo progetto teatrale: ad onta di un’invitante presentazione, la rappresentazione è convulsa e scialba.
La durata di Moel è breve, come il tempo degli applausi che si diradano velocemente.

data di pubblicazione 19/12/2015


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