MANCHESTER BY THE SEA di Kenneth Lonergan, 2017

Lee Chandler (Casey Affleck) è un tipo taciturno che lavora come “factotum” presso un condominio, in una non meglio identificata località degli Stati Uniti. Passa le sue giornate in solitudine, facendo ogni genere di riparazioni presso case private per poi tornarsene la sera, dopo aver bevuto una birra al pub, a dormire davanti la TV in una stanza nel sottoscala del palazzo. Non appena riceve la notizia che il suo unico fratello Joe, malato di cuore da diverso tempo, è morto per un infarto, è costretto a tornare a Manchester, nel Massachusetts.

 

Lee, profondamente addolorato dalla perdita, sarà l’unico a potersi occupare del funerale e scoprirà, di lì a breve, che Joe lo ha nominato tutore di suo figlio Patrick ancora minorenne.

Questo non preventivato soggiorno obbligato a Manchester, per un periodo piuttosto lungo, farà prepotentemente riemergere in Lee ricordi dolorosi sino ad allora soffocati dal grigiore della sua esistenza, veri e propri demoni che corrodono giorno dopo giorno la sua coscienza. Ritornare alle proprie radici, in questa bella cittadina con il faro e le barche dei pescatori dove un tempo era stato felice, lo obbligherà a fare i conti con un passato che lo ha ineluttabilmente segnato.

Manchester by the sea di Kenneth Lonergan, è stato preceduto da giudizi estremamente lusinghieri quando, in ottobre, fu presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma.

In effetti il film si avvale di un cast di primissimo livello, con interpretazioni molto misurate, quasi sussurrate, senza eccessi, urla o atteggiamenti sopra le righe, tra cui spicca per bravura Casey Affleck nella parte del protagonista, candidato come miglior attore agli Oscar 2017. Seppur tutto questo sia un pregio, che sembrerebbe far discostare la pellicola dal solito cliché del drammone esistenziale americano, i 135 minuti pacati e lenti di questa storia irrimediabilmente senza ritorno non conferiscono profondità ma, al contrario, finiscono con l’annoiare lo spettatore costretto a seguire il susseguirsi della grigia vita drammaticamente prevedibile del protagonista. Purtroppo, pur riconoscendo la bravura degli interpreti, secondo il parere di chi scrive, si finisce con il ricordare Manchester by the sea anche per le troppe birre con annessa scazzottata, per gli scarponi da lavoro da “normotipo” americano, per certe strette di mano che sembrano cancellare con naturalezza anche le ferite più profonde, per gli incontri casuali che spazzano via come d’incanto ogni rivalità del passato e che avvengono nella più assoluta ed inverosimile pacatezza: tutti elementi che finiscono per collocare la pellicola irrimediabilmente in un filone già visto.

Come al solito, comunque, al pubblico il giudizio finale.

data di pubblicazione:19/02/2017


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3 Commenti

  1. Uno dei più bei film che ho visto quest’anno. Al di là della drammaticità del tema trattato, mi è piaciuta l’originalità della storia (assolutamente non rappresentata in modo romanzato), l’autenticità del protagonista e la sorpresa di veder rappresentato un mondo maschile solidale e complice dove le donne come succede raramente fanno da contorno. Un film al maschile ma che le donne dovrebbero vedere, dove non ci sono eroi buoni ma dove si ritrova un’incredibile umanità analizzata nella sua semplicità e limitatezza ed in cui è difficile non riconoscersi.

  2. Manchester by the sea l’ho trovato meraviglioso dall’inizio alla fine, la colonna sonora accompagna questa pellicola in maniera eccelsa.
    Casey Affeck, nella parte del protagonista Lee Chandler, è di una profondità incredibile e rende il dolore e la colpa tangibile . Centra in pieno il personaggio che non può essere salvato in nessuna maniera tranne quando si ubriaca e fa a botte con il malcapitato di turno al pub.
    Non c’è salvezza e non c’è redenzione per il protagonista e neanche il futile tentativo dell’adorato fratello nell’affidargli (dopo morto) il nipote, riuscirà a farlo vivere meglio.
    E’ un film raffinato e consapevole, dove il regista centra in pieno un obiettivo difficile: come rendere il sentimento della colpa per la morte dei propri figli.

  3. Ho visto il il film e durante i 135 minuti di pacata lentezza monotono e “monoumorale” della pellicola si finisce per non tollerare l’espressione passiva, a tratti cupa e inerme del protagonista Lee Chandler (Casey Affleck) – e francamente mi stupisce addirittura la sua candidatura all’Oscar con questo personaggio triste – il quale si divide tra lunghi silenzi fatti di sguardi vuoti con chiunque tenti di rapportarsi a lui e qualche scazzottata al pub dopo la solita birretta in solitudine. Non credo la storia narrata nei 135 minuti dovesse necessariamente passare per un personaggio e un clima generale così triste e pesante dove dall’inizio alla fine non si assiste ad alcuna evoluzione, nè ad una involuzione. La storia è tirata per le lunghe in modo del tutto ingiustificato, divenendo così a tratti un’agonia per lo spettatore.

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