LES BEAUX JOURS D’ARANJUEZ di Wim Wenders (2016)

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Dialogo tra un uomo e una donna all’ombra di un placido bersò. La natura circonda i personaggi e si fonde nei loro racconti poetici; ma sulla luminosa e trasognata atmosfera estiva incombe l’oscura attualità.

Una luce calda e intensa abbaglia gli Champs Elysee, la Tour Eiffel e la Senne. Le inquadrature dei più affascinanti luoghi della capitale francese si susseguono lentamente, e dolcemente si allontanano dal centro storico per portarci in un incantevole giardino del suburbio bucolico parigino: una sequenza emozionante e resa ancor più efficace dalla profondità espressiva che dona il 3D. Sensazioni confermate dallo stesso regista in conferenza stampa che, alla nostra domanda su quale fosse il motivo che lo ha spinto a ricorrere al cinema tridimensionale, ha risposto affermando di voler optare per tale tecnica innovativa per coinvolgere maggiormente lo spettatore, in guisa da circondarlo dei suoni provenienti dallo stormire delle fronde e dal cinguettio dei volatili; e di carezzarlo virtualmente con le foglie degli alberi.
Sul giardino paradisiaco dove si è posata la cinepresa, si affaccia la stanza di uno scrittore, il cui sguardo fisso nel vuoto etereo è alla ricerca d’ispirazione. Un tavolo, due sedie e una mela: è quanto basta per dare inizio ad una nuova storia. Seduti sotto un rigoglioso pergolato – e suggestionati dal frutto del peccato originale – un uomo e una donna iniziano un periglioso jeux d’amour verbale. Nel dialogo platonico che coinvolge i due, l’entusiasmante Sophie Semin si racconta al confidente, il quale è abile nel ghermirle i segreti più inconfessabili sul rapporto con il suo sesso e con l’altro. Ed è in questo scambio di esperienze, perfuse da afflato poetico, che emerge con forza dirompente la natura, quale elemento onnipresente e determinante nelle azioni di ognuno di noi – sia nella sua veste pura e candida che in quella laida.

Wim Wenders sceglie di riadattare per il grande schermo l’opera teatrale di Peter Handke. Un testo profondo dove le anime dei due personaggi si scontrano e si fondono, ancorché senza violenza; una rappresentazione con un forte impatto emotivo, specialmente per i temi delicati che vengono toccati. L’adattamento cinematografico, tuttavia, difetta della sublime empatia che solo la mise-en-scene teatrale può conferire al pubblico, specialmente per un testo di tal fatta.

Una pellicola che indubbiamente porta a riflettere sulle relazioni tra uomo e donna, ma che al contempo finisce talvolta per essere un’opera estetizzante: un divertissement en plein air.

data di pubblicazione: 02/09/2016







1 commento

  1. Un Wim Wenders certamente non incisivo come ci si aspettava/augurava, anche se il suo esperimento di restituire la fissità della stasi attraverso la profondità del 3D non lascia indifferenti.

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ricerca per Autore:



Share This