LAZZARO FELICE di Alice Rohrwacher, 2018

Alice Rohrwacher ci racconta una favola moderna, intrisa di poesia ed estetica, con radici che affondano nel passato e si nutrono della lirica di pellicole come Miracolo a Milano, e di ambientazioni che ci riportano ad Olmi e al suo L’albero degli zoccoli. La giovane regista con Lazzaro felice ci esorta a salvare la bontà in quanto valore universale senza tempo né luogo, e le conferisce una fisicità incarnandola in un giovane contadino di 20 anni dallo sguardo dolce ed indifeso, sempre disponibile con tutti, felice di stare al mondo pur non sapendo di chi è figlio, il cui spirito puro e semplice, che crede in valori come l’amicizia ma in un modo quasi sacro, riesce a trasmetterci quel religioso senso di perfezione che appartiene solo a chi da’ senza mai volere nulla in cambio, a chi ama senza pretendere di essere amato.

 

Nella tenuta agricola dell’Inviolata, la cattiva Marchesa Alfonsina de Luna, madre distante di un figlio viziato ed egoista, per coltivare tabacco sfrutta una cinquantina di persone ignare della realtà esterna alla loro comunità contadina, trattandoli ancora come mezzadri dell’Ottocento (e non siamo nell’Ottocento), che ricevono da lei solo la possibilità di sopravvivere sui suoi terreni, avendo pagliai e stalle come abitazioni, e le notti di luna piena a volte come sola fonte di luce notturna. In questo posto, non ben identificato e dove gli ignari mezzadri parlano un misto di vari dialetti, vive Lazzaro che viene sfruttato dai suoi stessi familiari, fanalino di coda di una catena di sfruttamenti che dalla marchesa si propaga senza soluzione di continuità. Decenni dopo, Lazzaro riapparirà, tornato – per magia o per miracolo come il suo stesso nome ci suggerisce – per cercare quei posti perduti che troverà profondamente cambiati; i suoi compagni sono lì, giustamente invecchiati al contrario di lui per il quale il tempo sembra non essere passato, e ugualmente poveri ma con una indigenza ascrivibile alla nostra contemporaneità. Passato e presente sembrano mescolarsi, ma Lazzaro rimane uguale a sé stesso, incarnazione di un cuore semplice e puro che la riduzione in schiavitù non è riuscito a schiacciare, ma che tuttavia non può sopravvivere all’indifferenza delle moderne metropoli dove non c’è più posto per la purezza d’animo. Solo un lupo, che per antonomasia è un animale cattivo, fiuta la bontà di Lazzaro, la riconosce e corre via libero tra i rumori della città, come avesse raccolto quel testimone per attraversare indenne i mutamenti dell’umanità.

Film da non perdere per comprendere bene dove stiamo andando e, se necessario, operare qualche cambiamento di rotta.

data di pubblicazione:20/06/2018


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1 commento

  1. Anche a me questo film è piaciuto molto, non me lo aspettavo, mi ha sorpresa e rincuorata. In un mondo di egoisti e sfruttatori a tutti i livelli,un’anima pura come quella di Lazzaro che si concede agli altri senza mai chiedere nulla, all’inizio appare quasi ridicola, fuori luogo ma poi, fedele a se stessa risulta vincente, indica la direzione giusta verso cui tendere (come la musica che relegata in una chiesa dove non è permesso ai poveri ascoltarla, decide di seguire Lazzaro e i suoi). Non c’è buonismo in questo film,si parla di bontà ma forse in un modo in cui non siamo abituati ed è pieno di trovate, analogie e accostamenti sorprendenti e mai scontati.Lo consiglio a tutti quelli che sanno fare i conti con sé stessi e a coloro che hanno voglia di chiudere la stagione con un bel film

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