IN NOME DI MIA FIGLIA di Vincent Garenq, 2016

Vincent Garenq con quest’ultimo suo film ancora una volta ci racconta una storia vera, un caso di omicidio che per molti anni ha tenuto con il fiato sospeso l’opinione pubblica francese per tutta una vasta serie di implicazioni politiche e sociali, che questo fatto di cronaca aveva sollevato. L’intenzione del regista, infatti, non è stata tanto quella di esporre il trentennale iter giudiziario avviato da André Bamberski per l’uccisione della figlia Kalinka da parte del patrigno, il medico tedesco Dieter Krombach, quanto piuttosto di esplorare la personalità di un uomo che ha dovuto per buona parte della sua vita lottare al fine di ottenere finalmente giustizia.

Bamberski, commercialista di maniacale rigore, porta avanti la propria battaglia legale scontrandosi non solo con la sua ex moglie che, sin da principio, difende ad oltranza il  nuovo compagno, ma anche con la burocrazia giudiziaria francese vistosamente in difficoltà a causa dell’ostruzionismo da parte della giustizia tedesca che, a tutela del proprio cittadino, tende a rallentare le indagini.

Bamberski è un ottimo Daniel Auteuil, interprete di spessore ed intensità, adatto a ricoprire il ruolo di un uomo in bilico tra l’ossessione nel portare avanti la propria battaglia legale ed il suo pudore che lo induce a chiudersi in un riserbo che si manifesta nella reticenza a parlare dei propri sentimenti, restando sempre coerente con sé stesso e limitandosi ad agire solo ed esclusivamente in memoria della figlia crudelmente stuprata ed uccisa.

A supportare Daniel Auteuil ci sono altri due bravi interpreti: Sebastian Koch nella parte di Dieter Krombach, uomo apparentemente per bene e molto rispettato dalla cittadinanza, e Marie-Josée Croze in quella di Dany, ex moglie di Bamberski, donna innamorata del suo uomo e disposta a tutto pur di non compromettere il suo amore.

In nome di mia figlia vanta una sceneggiatura molto rigorosa, curata in parte dallo stesso regista, che riesce a trasmettere intense emozioni grazie a scene toccanti ma equilibrate, in cui è assente qualsiasi forma di morboso voyeurismo. L’arco di tempo in cui si svolge l’intera vicenda ha la durata di trent’anni e Vincent Garenq, pur non potendo entrare nel dettaglio di tutti gli eventi realmente trascorsi, è riuscito a regalarci una pellicola essenziale e fluida nella sequenza delle situazioni, dividendo il film in capitoli temporali ben cadenzati che non hanno affatto appesantito la narrazione, ma che al contrario spingono lo spettatore alla disperata ricerca di un finale liberatorio.

data di pubblicazione:08/06/2016


Scopri con un click il nostro voto:

1 commento

  1. Sono perfettamente d’accordo con questo commento: il film si fa seguire e si resta colpiti dai meccanismi che la società mette in atto per difendere il colpevole

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ricerca per Autore:



Share This