FREEHELD di Peter Sollet (Festa Cinema di Roma 2015- Selezione Ufficiale)

Ellen Page non ha più il visino della ragazzina, un misto di provocazione e tenerezza che aveva in Juno; in Freeheld ha quello di Stacie, una ragazza innamorata delle moto e dei motori e di Laurel (Julianne Moore), una poliziotta integerrima che vorrebbe che il loro amore restasse una cosa privata, ben custodito tra le mura domestiche. Ma l’amore è capace di rompere gli argini che Laurel ha faticosamente costruito per poter avere una carriera pari a quella dei suoi colleghi maschi, e dopo un anno dall’incontro, eccole ristrutturare la casa che hanno scelto per vivere in coppia. Una villetta americana come ce ne sono tante, con giardino e cane, rispondente in tutto e per tutto ai desideri delle due donne che questo chiedono alla vita. Dalle note di regia di Peter Sollett apprendiamo che alla vera storia di Laurel Heaster e Stacie Andree e alla battaglia che la coppia ha combattuto per ottenere giustizia, era già stato dedicato il documentario premio Oscar di Cynthia Wade, e che lui quindi nel suo film, più che l’aderenza alla verità, voleva raccontare come emotivamente l’avevano vissuta Stacie e Laurel, “la storia universale di due persone che solamente cercano un modo per amarsi”. E un modo le due donne lo trovano fino a quando alla pluridecorata dectetive del New Jersey non viene diagnosticato un cancro ai polmoni con nessuna speranza di cura. È in quel momento che Laurel capisce di non avere più tempo e che l’unica cosa che vuole, anche se per questo dovrà esporsi pubblicamente, è che i funzionari della Contea di Ocean, i “freeholders” (i “proprietari”) riconoscano a Stacie il diritto di godere della sua pensione maturata in 23 anni di fedele servizio. Alla battaglia si uniscono l’attivista gay per i diritti civili Steven (Steve Carell) e il detective Dane (Michael Shannon), da sempre compagno di lavoro di Laurel e legato a lei da affetto e stima profondi.

Nella serata inaugurale del loro amore vediamo una splendida Julianne Moore e la Page davvero capaci di ricreare sullo schermo l’elettricità dei primi incontri, reale, senza sbavature né esagerazioni. Una cosa “normale”, di quella normalità che poi le due donne rivendicheranno spesso nel corso del film, straordinaria, ma solo come lo sono tutti gli amori allo stato nascente. Una naturalità invidiabile e lontanissima dai timidi quanto maldestri tentativi italiani. Ma ecco che la vicende soffre la prima evidente ellissi perché, in men che non si dica, sono demolite le resistenze di Laurel e la coppia vive una giornata romantica e felice sulla spiaggia. Il film si propone di raccontare, almeno nelle intenzioni del regista, una storia d’amore, ma diventa da subito invece un film di genere, di quelli che conosciamo bene sulle battaglie civili, di quelli che mentre ti raccontano dell’ingiustizia che stanno denunciando, allo stesso modo ti dicono quanto l’America è capace di porre in crisi se stessa e i suoi “credo” politici, ribaltando l’ingiustizia iniziale in trionfo finale.

Dobbiamo credere al forte amore delle due donne perché ce lo dicono, ma non lo vediamo cinematograficamente narrato, non lo sentiamo, se non in quella serata iniziale. Assistiamo sgomenti e commossi all’avanzare implacabile della malattia, così come all’immancabile momento (in questo genere cinematografico) in cui anche ai duri si scioglie il cuore, e gli agenti di polizia finalmente si recano in massa all’assemblea pubblica per sostenere la lotta della loro collega. Il tutto molto veloce, come se più che a un film stessimo assistendo a una parabola esemplare di una battaglia ben condotta, corretta.

E se il film non sostenesse un diritto sacrosanto che è quello di ottenere diritti uguali per tutti, che siano coppie di fatto o matrimoni, gay o eterossessuali, come lo guarderemmo? Cosa ne avrebbero fatto i Dardenne? Mentre Laurel sta morendo, Stacie le è vicina e continua a dirle che la ama; non nego di aver pensato a Love Story, alle lacrime versate su amori infranti dalla morte, perché anche quello è un genere cinematografico, l’amore che vince la morte che è annientamento. In questo caso l’amore vince (e per davvero), ma è il ritmo del film che non convince, nonostante tenga insieme in modo meritorio la battaglia civile di una comunità e la battaglia privata contro la malattia, l’amore e il diritto e, non da ultimo, quanto ancora costa a una donna essere riconosciuta professionalmente come o più dei suoi colleghi maschi, senza cedere a compromessi.

data di pubblicazione 19/10/2015







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