DOPPIO AMORE di François Ozon, 2018

Chloe (Marine Vatch) è una donna giovane ed affascinante ma fragile e depressa da star anche male fisicamente. Inizia ad andare in terapia e si innamora, ricambiata, del suo psicanalista Paul (Jérémie Renier), interrotta la terapia i due vanno a vivere insieme. Dopo qualche mese però Chloe scopre che Paul le ha nascosto una parte oscura della sua vita e della sua personalità.

 

 

Preceduto dall’alone sulfureo sollevato al Festival di Cannes 2017 e visto, in anteprima italiana, in occasione dellVIII Festival del Nuovo Cinema Francese tenutosi a Roma ad inizio mese, eccol’attesa opera di Ozon, il poliedrico e talentuoso regista e sceneggiatore francese, di sicuro uno degli autori di maggior successo e fra i più interessanti del cinema d’oltr’Alpe. Doppio Amore è il suo 17° lungometraggio ed è stato adattato dallo stesso regista da un romanzo breve: Vita di Gemelli di J.C.Oates. Dopo il delicato ed intimista Frantz, il nostro regista torna sugli schermi in un genere e su un tema che non ci saremmo di certo aspettati veder riaffrontare. Il cineasta francese ritorna infatti al genere thriller di cui aveva già dato ottimi prodotti ai tempi dei suoi Swimming Pool ed Amanti Criminali. Lo spunto questa volta è tornare ad analizzare ancora una volta, uno dei temi a lui cari: l’esplorazione, la ricerca del “doppio di sé”, il doppio benefico o malefico, o, tutti e due contemporaneamente, che ognuno di noi porta dentro di sé. Il tema dei gemelli. Chi sono infatti i “doppi” che Chloe incontra? chi siamo noi? si domanda il regista, chi è, alla fin fine, la stessa Chloe? Quali sono e cosa si nasconde nelle zone d’ombra di ciascuno di noi? Bravo nel miscelare generi cinematografici diversi, Ozon ci offre un thriller brillante, erotico e psicologico rendendo omaggio ai thriller psicologici o sovrannaturali degli anni ‘70 ed ‘80. Il regista si inserisce scientemente nella scia dei Polanski, De Palma e Cronemberg, con anche notevoli richiami ad Hitchcock. Un tale approccio poteva essere schiacciante. Invece l’autore riesce, pur nella continua citazione dei Maestri, a rompere gli schemi, esce dall’esercizio del mero omaggio e tributo e, con talento prende in mano la narrazione con uno stile tutto suo personale, dandogli spessore ed autonomia. Ozon sembra letteralmente far sua la sceneggiatura e trascina lo spettatore in una serie di giuochi, piste e manipolazioni che già nel suo precedente Nella Casa aveva dimostrato di saper ben maneggiare. Doppio Amore, in linea con le regole del genere, è un film sufficientemente trasgressivo ed ansiogeno da poter facilmente trascinare l’immaginario dello spettatore in una serie di intrighi narrativi, giocando abilmente con la paura, l’erotismo ed il fantastico. Non tutto è però perfetto, a tratti ci si perde nei vari meandri, ci sono purtroppo degli effetti gratuiti che riducono l’impatto con il sottinteso e l’implicito, c’è qualche elemento un po’ kitsch ed un finale poi troppo spiazzante che lascia delusi. Comunque sia, pur con i difetti di cui sopra, il film è un bel viaggio nei labirinti del subconscio femminile, un buon pretesto per uno studio sulle personalità multiple. Intense le interpretazioni della sua icona M. Vatch e del suo attore feticcio J. Renier, giunto con questa alla terza collaborazione con il regista. Doppio Amore è certamente un film meno convincente di Frantz, anzi molto lontano dalla sua eleganza e bellezza, ma resta pur sempre un buon prodotto di genere, un buon dramma psicologico girato con maestria e mestiere pur con qualche furberia di troppo.

data di pubblicazione:22/04/2018


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2 Commenti

  1. Si tratta di un film molto particolare che , come spesso capita nei lavori impegnati, si può leggere in modi diversi.
    personalmente ho trovato nella trama una forte critica al mondo della psicoanalisi. La prima critica riguarda Paul , uno psicanalista che non riesce a gestire un transfert, si innamora della sua paziente e coerentemente interrompe la terapia, ma invece di accompagnare la sua paziente da un terapeuta meno vulnerabile va a convivere con lei, infischiandosene della scarsa stabilità di lei. la seconda riguarda critica il mondo dove si svolge alla terapia: appartamenti di super lusso tanto freddi quanto ricercati dove il paziente anche se non ha parlato sborsa centinaia di euro a seduta. La terza critica prende luogo nel ricevimento dei colleghi di Paul dove i commenti sui pazienti sono a dir poco pesanti. Mi sembra peraltro evidente che il fratello di Paul non esiste ed è frutto della mente instabile di Cloè che vede il fratello del suo compagno, la ragazza che i due fratelli si sarebbero contesi e la mamma di lei come estensione di se stessa in un momento estremamente turbato della sua vita.
    Film complesso, dove forse troppe elementi tutti insieme non hanno consentito lo svolgimento della trama organica, è a mio avviso un discreto film che per la sua complessità anche da un punto di vista delle citazioni cinematografiche e frodiate andrebbe rivisto con attenzione. vale il biglietto

  2. Alla visione cui ho assistito in un cinema del centro con un pubblico non becero , i commenti andavano da ” è una boiata pazzesca”a “ma cosa significa?”, c’era chi rideva in momenti di drammaticità costruita ad arte e chi si schifava per trovate inutilmente volgari. Basterebbe questo a stroncare un film e un regista che questa volta ha decisamente fallito. Se poi ci si vuol consolare con la bellezza della protagonista e il ritorno della icona Bisset allora si può anche vedere. Per masochisti…

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