DOGMAN di Matteo Garrone, 2018

In un’angusta toilette per cani un minaccioso pitbull ringhia contro un esile figura di uomo che prova a tranquillizzarlo, prima di accingersi a lavarlo ed asciugarlo. Esplode così il detonatore di Dogman, l’ultimo film di Matteo Garrone, rilasciando nell’aria quella tensione sospesa, quel disagio e quell’apnea emotiva che permangono sino all’ultima incredibile scena.

Una storia ambigua di un rapporto ambiguo, un fatto di cronaca ingombrante come punto di partenza per un racconto al limite, nella migliore tradizione del primo Garrone, quello de L’imbalsamatore e Primo amore, il più forte ed il più toccante, che esaspera e sublima i personaggi delle sue storie.

In una periferia senza tempo di un moderno far west, Marcello (interpretato da uno straordinario Marcello Fonte, Palma d’Oro a Cannes dove il film è stato presentato in Concorso) è un uomo piccolo e mite, che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Sofia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino (interpretato dal bravissimo Edoardo Pesce), un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere.

Continuamente vittima di bullismo e soprusi, ormai stremato da una vita di umiliazioni, Marcello decide di seguire le orme di Simoncino e di diventare il suo aiutante in una serie di rapine: ormai in balia del suo carisma e legato da lealtà e dipendenza, Marcello finisce col tradire non solo la sua stessa moralità, ma anche i suoi compagni di quartiere. Il peso delle proprie azioni diventa sempre più insostenibile, sino a dover pagare con il carcere la sua “fedeltà” all’amico violento. Dopo aver perso tutto e tutti, arriva finalmente per Marcello la presa di coscienza, insieme a un’irrefrenabile sete di vendetta: portando sulle spalle il suo “trofeo”, Marcello cercherà di farsi notare da quella gente che tanto conta per lui, anche se quel trofeo è solo un fardello troppo pesante da esibire, sollevare e sopportare, come la più dolorosa ed amara delle sconfitte.

Un film profondissimo, fatto di sfumature di grigio, come lo sono tutti i conflitti tra il forte e il debole, in cui i cani sono testimoni e osservatori della bestialità umana. Una periferia al limite del surreale, non ben identificata, un luogo dove le figure estreme di Garrone vivono, dove le loro vite si incontrano e si interscambiano tra gentilezza e violenza, umanità e orrore.

Marcello, nella sua instabilità emotiva e di malato slancio affettivo, non solo accondiscende alle angherie del suo aguzzino, ma addirittura arriva a sacrificarsi per lui dopo avergli salvato la vita.

La lotta per la sopravvivenza non ammette compassione; quel pugno nello stomaco però e quel disagio non trasferiscono solo dolore ma anche tenerezza ed aiutano a guardare oltre, perché l’umanità è anche questo.

data di pubblicazione:01/06/2018


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1 commento

  1. Film assolutamente sconvolgente sia per l’interpretazione del protagonista sia per le intime sensazioni che lo stesso suscita. Basta il suo sguardo per farci intendere cosa sta intimamente provando e rivelare il suo stato emotivo più genuino. Un uomo solo che trova affetto e comprensione solo dai cani che accudisce. Un vero capolavoro che consiglio di vedere e che qui Rossano ha commentato molto bene fornendo perfettamente cosa il film vuole trasmettere allo spettatore usando un linguaggio a volte brutale ma comunque intriso di una sconfinata tenerezza.

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